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Stefano Galvani: Jazz - Una Storia In Bianco e Nero

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Jazz -Una storia in bianco e nero
Stefano Galvani
372 Pagine
ISBN: 9788885750203
Bonomi Editore
2024

Fotografare il jazz: una coniugazione che ha percorso la vicenda di queste due forme espressive, allacciando una forte rete di corrispondenze ed empatie. Soprattutto nel periodo in cui il vinile dominava incontrastato la scena della fruizione domestica, la fotografia ha ricevuto un'investitura di responsabile prezioso della descrizione, narrazione, evocazione, al punto di rendere ragionevole l'affermazione "La fotografia è jazz per gli occhi." Pensiamo a fotografi come William Claxton, Francis Wolff, Giuseppe Pino, Roberto Masotti, che hanno accompagnato celebri etichette e artisti indimenticabili, spesso fornendo un contributo essenziale al carattere di dischi epici.

Per chi si è formato nel Ventesimo secolo come musicista, esperto, ascoltatore, appassionato di jazz, la fotografia agisce tuttora con la forza di una madeleine, in grado di destare atmosfere, emozioni, associazioni. In particolare il bianco e nero. Dunque, si presenta con chiarezza lineare già nel titolo questo volume di fotografie, Jazz—Una storia in bianco e nero, che presenta scatti di Stefano Galvani dalla metà degli anni Ottanta fino al 2009, quando il protagonista è Sonny Rollins al Teatro Dal Verme di Milano.

La cornice temporale, come racconta lo stesso autore nell'intervista con Luigi Onori che chiude il testo, è tracciata dagli scatti in analogico: "Ho voluto raccogliere gli scatti in bianco e nero su pellicola, perché quello era il mio linguaggio per la documentazione della musica e non solo." Il successivo passaggio al digitale ha cambiato totalmente le logiche, come sappiamo e come tiene a precisare Galvani, sottolineando tra l'altro la "magia" che si verificava, "a distanza di ore dallo scatto della fotografia, nel vedere l'immagine che lentamente appariva nel bagno dello sviluppo."

Galvani, collaboratore di tante riviste musicali, sia come fotografo che come giornalista, è pure autore di tante copertine e booklet, tra l'altro per le etichette Philology Records e Splasc(h). Come in numerosi altri casi, la sua attività nasce dalla passione per la musica, che si travasa nella fotografia, frequentando dagli anni Ottanta in poi festival e concerti in tutta la penisola, ma anche a Saalfelden, Willisau, Lugano. Recente, del 2022, è la pubblicazione dell'altro testo Stefano Galvani: Augusto Mancinelli o della sei corde, Guasco Editore. Omaggio a un amico e straordinario musicista, scomparso troppo presto.

La sensibilità della pellicola scivola come una metafora nell'anima dell'autore, anche in questo caso. Galvani lavora prevalentemente sul ritratto, sul primo piano del musicista. La formula più frequente nell'impaginazione da lui scelta sta nell'accostamento di due inquadrature dialoganti, a sinistra il musicista in azione, a destra un'istantanea con espressioni curiose, ironiche, singolari. Ma non si tratta di una formula rigida: talvolta le inquadrature nelle due pagine aperte sono tre, come nel caso di McCoy Tyner, Joe Lovano, Sam Rivers, Barre Phillips. Oppure a sinistra il musicista compare in una posa bizzarra, che ne coglie il carattere, in camerino nel caso di Bill Frisell, o in concerto, come nel caso della smorfia eloquente di Chick Corea. Dal camerino sono tra l'altro due scatti dedicati a Kenny Wheeler, il cui sorriso è opportunamente definito "sornione" dalla introduzione al volume di Claudio Fasoli. Con gli specchi che riflettono gli altri musicisti, tra cui Tony Oxley, in una serie di pagine che mettono in sequenza alcuni colossi della scena inglese, da John Surman e Keith Tippett a Norma Winstone e John Taylor, ancora con Wheeler, naturalmente nel trio Azimuth. Insomma, la logica sta nel gusto della composizione o dell'improvvisazione, e in qualche caso l'inquadratura si prende le due pagine, come accade giustamente alle intense istantanee di Ornette Coleman, Sonny Rollins, del quartetto di Wayne Shorter, a Stresa nel 2002.

Il volume si sfoglia e si risfoglia. Ci si sofferma con grande piacere su alcuni quadretti: la straordinaria espressione di Elvin Jones, che compare in copertina, si ripresenta sorridente all'interno, tra tamburi e piatti, o mentre gioca a rimpiattino, dietro una parete. Con una parete scherza Franco D'Andrea, appoggiandovi le dita come su una tastiera. E lo stesso pianista osserva (sembra dubbioso...) il leggio di Phil Woods, nello studio Fonit Cetra di Milano. Alcuni contenuti del libro stabiliscono una traccia dialogante: Miles e i suoi, Ornette e Cecil Taylor con i rispettivi collaboratori, i grandi protagonisti della scena europea e di quella nazionale, cui è riservata un'ampia parte. L'indice alfabetico permette poi di spostarsi a volo d'uccello, di trovare chi si vuole. Naturalmente, nella ricerca, è inevitabile che qualcuno manchi: è strano nel caso del grande Roy Haynes, al quale Galvani dedicò attenzione, nel corpus dei suoi articoli. Ma è cosa veniale, in questo lavoro prezioso.

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