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Lee Konitz: Il Ricordo di D'Andrea, Fasoli, Giuliani, Pieranunzi, Rava e Tommaso.

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"Fin dall'inizio Lee Konitz è stato nel jazz una personalità artistica tra le più originali". Enrico Pieranunzi
Il sassofonista Lee Konitz è stato una delle figure più influenti del jazz moderno non solo per il suono unico al contralto e un senso dell'improvvisazione senza eguali, ma anche per essere rimasto nell'arco della sua lunga carriera sempre fedele a sé stesso ponendo la musica come protagonista assoluta della sua espressività, senza inutili esibizionismi.

Dopo aver militato nell'orchestra del pianista e compositore Claude Thornhill a Chicago entra a far parte del nonetto di Miles Davis—conosciuto anche con il nome di Tuba Band—che lo invita su suggerimento del sassofonista e arrangiatore Gerry Mulligan, per le registrazioni di Birth of the Cool. Nel '55 registra il disco Lee Konitz with Warne Marsh a cui seguirà, sempre con Marsh, il disco Live at the Half Note con la presenza di Bill Evans, Jimmy Garrison e Paul Motian.

Nel corso degli anni Lee Konitz svilupperà uno stile del tutto personale elaborando nuove tecniche di improvvisazione, incarnando il modello di musicista jazz "outsider" refrattario a mode e gabbie commerciali.

Per ricordare il sassofonista chicagoano abbiamo intervistato alcuni dei principali musicisti italiani che hanno avuto modo di collaborare con lui.

Enrico Pieranunzi lo ricorda come un artista che ha rappresentato "una sintesi unica ed irripetibile di tradizione e coraggiosa innovazione. "—e continua. È noto che il suo "eroe" fosse Lester Young, punto di riferimento fondamentale anche per Charlie Parker. Ma nonostante la comune derivazione l'approccio allo strumento di Konitz andò in direzione opposta rispetto a quella di Bird. Il fraseggio di Konitz, il suo delicato lirismo e le sue penetranti invenzioni armoniche lo resero da subito più che riconoscibile. Nel celebre Birth of The Cool di Miles Davis, Konitz, appena ventunenne, si dimostra già in possesso di una personalità speciale. L'aerea eleganza e il fascinoso distacco del suo sax sono lontanissimi dall'estetica dominante in quegli anni. Insomma, fin dall'inizio Konitz è stato nel jazz una personalità artistica tra le più originali. Ufficialmente era un rappresentante di quel "cool jazz," che ebbe in Lennie Tristano con cui Konitz studiò, uno dei più influenti ispiratori ma confinarlo in quella corrente, come troppo spesso si è fatto, è estremamente riduttivo. Il suo sax alto ha attraversato decenni di jazz rimanendo sempre fedele ad uno stile peculiare fatto di ricerca, inesausta capacità narrativa, lunare, inconfondibile astrazione. Il Konitz improvvisatore era un geniale compositore in tempo reale, refrattario alla banalità e ai cliché, sempre sorprendente, capace di inerpicarsi su percorsi melodico-armonici arrischiati che ti coinvolgevano per la forza e la sincerità dell'eloquio musicale.

Per Claudio Fasoli "non c'è una sola innovazione importante attribuibile a Lee Konitz al sax alto, basterebbe la sua concezione del suono, del tutto personale a quei tempi, ma lo è rimasta sempre. Poi aggiungerei il carattere della sua narrazione. Per quanto riguarda il suono è ovvio che alla lontana anche lui è derivativo da Lester Young, come Charlie Parker d'altronde e mille altri, ma la sua personalizzazione determinata dall'uso moderato del vibrato, la tessitura assai equilibrata nel rapporto delle frequenze alte e basse costitutive del suono e la scioltezza dove una pronuncia energica caratterizza linee assai logiche e perentorie, rendono unico tutto quanto suonava e ha sempre suonato nella sua vita."

Secondo Enrico Rava tra la fine degli anni quaranta e gli inizi dei cinquanta Lee Konitz è "l'unica alternativa al fraseggio di Charlie Parker. All'epoca era uno dei più imitati sassofonisti che ci fossero, soprattutto in Europa, ma anche negli Stati Uniti, basti pensare a Paul Desmond. Lui è tra quelli che hanno inventato il jazz moderno. Nel tempo ha cambiato modo di suonare, ha abbandonato un po' la lezione di Lennie Tristano inventandosi altre cose. È uno che non ha mai suonato una nota banale. Ho avuto il piacere di suonare diverse volte con lui ed ogni sera era qualcosa di diverso, di inaspettato, cercava sempre l'essenza del fraseggio."

Franco D'Andrea mette in evidenza "come per Lee Konitz l'ombra di Lennie Tristano fosse un peso come era successo nel caso di McCoy Tyner nei confronti di John Coltrane, quindi probabilmente fece di tutto per scrollarsi di dosso questa ombra; si rendeva conto del problema di essere visto sempre come il "discepolo" di Tristano e perciò si è avvicinato a tante altre cose. Konitz è stato un grande strumentista, improvvisatore, un rivoluzionario rispetto al linguaggio del jazz. Aveva personalità. Per il resto Konitz è molto riconoscibile. A lui piaceva dialogare, avere molte avventure musicali diverse, era uno a cui piaceva divertirsi con la musica e questo significava conoscere persone e cambiare orizzonti. Alle fine per lui la musica era un "meeting" continuo."

Nel 1969 Lee Konitz partecipa al disco Stereokonitz del contrabbassista Giovanni Tommaso. Il progetto vede la presenza anche di Enrico Rava tornato da poco da New York in Italia, che ha la possibilità in quella occasione di conoscere per la prima volta il grande sassofonista. L'incontro con Giovanni Tommaso invece avviene qualche tempo prima della registrazione del disco. come ci racconta lo stesso Tommaso. "Noi del Circolo del Jazz di Lucca lo invitammo a fare un concerto nella nostra città accompagnato da Renato Sellani, Franco Cerri al contrabbasso e Gil Cuppini alla batteria, era il '58. Lo rividi al Five Spot di New York nel '59 con il sestetto di Tristano, fu una grande emozione. Passò da Roma nel '69 e riuscii a coinvolgerlo in una session alla RCA, fu il mio primo disco da leader. C'erano Rava, D'Andrea e Gegè Munari. Lui portò alcuni brani e io ne scrissi altri per l'occasione. Il sound di Lee era inconfondibile e già questo lo poneva nella fascia più alta dei grandi creatori, ma anche il fraseggio che sapeva costruire con frasi lunghe e asimmetriche era una delle sue peculiarità. Un genio!."

Franco D'Andrea viene a contatto con la musica del sassofonista attraverso un disco comprato "a Merano dove c'era un negozio il cui proprietario aveva un'attenzione particolare per il jazz, in particolare quello californiano, e tra gli altri c'era anche un disco di Lee Konitz in quartetto dal titolo Very Cool per l'etichetta Verve. Riascoltandolo capisco perché a quell'epoca mi colpì così tanto: la musica era in qualche modo derivativa da Lennie Tristano però c'era una brillantezza che mancava nel pianista, nel senso che quella di Konitz era più estroversa, originale e solare. Konitz era fantastico e mi ero convinto che lui fosse un nastro nascente di una musica nuova che prendesse una direzione diversa rispetto a quella di Tristano. Questo mio iniziale interesse per Konitz non ha avuto seguito perché col tempo la mia attenzione si era spostata verso altre cose. Ho poi avuto modo di incontrare Lee Konitz nel '68 per la registrazione di Stereokonitz che abbiamo fatto insieme a Giovanni Tommaso ed Enrico Rava. Una mia frequentazione vera e propria con Lee, però, inizia più tardi, negli anni '80. Realizzammo una serie di concerti in duo, piano e sassofono, circostanze in cui ci siamo conosciuti meglio anche sotto il profilo umano. A un certo punto Paolo Piangiarelli fondatore della Philology, che aveva fra i suoi musicisti preferiti Lee Konitz e Phil Wood, decise di metterli insieme in un live a Umbria Jazz nel 2002. Io capitai insieme alla mia sezione ritmica con cui suonavo nella serata in cui i due si cimentavano con il repertorio di Konitz. Non avevo mai suonato insieme a lui i suoi brani, ma solo standard, perché a lui piaceva fare così. In quella serata ritrovai la solarità e l'originalità di Konitz e mi domandai 'ma perché a un certo punto ha deciso di suonare solo standard o di essere ospite di altri gruppi non formando mai un suo gruppo regolare concentrandosi sulla sua musica?' Konitz avrebbe potuto fare questa cosa... e quando l'ho sentito in quell'occasione ad Umbria Jazz sono un po' "resuscitato," è stato per me come riallacciarmi a quel disco che avevo comprato al negozio di dischi di Merano, tanto tempo prima, in cui Konitz suonava la sua musica. Ed è stato molto bello!"

Per la stessa etichetta, la Philology, Enrico Pieranunzi e Lee Konitz registrano nel 1988 il disco Solitudes in duo, l'anno successivo Blew in quartetto e nel 1997 Ma L'amore No con la cantante Ada Montellanico ed Enrico Rava. Il pianista ci racconta così il suo incontro con Lee Konitz avvenuto in quel periodo "Il primo concerto insieme fu nel 1984, a Ferrara. Alessandro Mistri, promoter di un piccolo club, La Mela, ebbe l'idea di mettere in programma un nostro concerto in duo. Ero felice ed emozionato per quell'incontro. Da bambino avevo in casa due settantotto giri del sestetto di Lennie Tristano con Konitz e il suo suono così speciale, per certi versi misterioso, mi aveva sempre affascinato. Stava succedendo, a pochi anni di distanza, lo stesso incredibile miracolo accaduto con Chet Baker: essere cresciuto con i dischi di un'icona del jazz e poi trovarmi a suonarci insieme. Le due esperienze però, a parte l'elemento comune che da entrambi imparai moltissimo, furono piuttosto diverse. Con Chet in tanti anni di collaborazione il rapporto fu tutto interno alla musica, pochissime parole, emozioni potenti che si tagliavano nell'aria quando si suonava. Con Lee oltre al rapporto musicale nacque un rapporto intellettuale e d'amicizia durato decenni. Il suo sense of humor, la sua autoironia, la sua cultura ne facevano una persona particolare, in cui l'assoluto rigore e l'onestà musicale del performer creativo si univano ad una affettuosa affabilità. Ho ricordi bellissimi dei nostri incontri e delle nostre conversazioni, alcune, appassionanti, riguardanti la musica classica, che lui amava tutta, con un debole particolare per Bartok. Lee era dotato di un'apertura mentale enorme ed era un vero, audace sperimentatore. Una volta, poco prima di iniziare un concerto in un club di Roma disse a me e ai miei colleghi della ritmica "Allora ragazzi, si va: siete pronti ad improvvisare veramente?." Rimanemmo spiazzati da quella provocazione ma il concerto, grazie a quelle parole, venne fuori con una quantità di invenzioni e una voglia per il rischio che non s'erano mai sentiti così prima d'allora.

Sempre nel 1988 Lee Konitz registra assieme a Claudio Fasoli il disco Infant Eyes. Il sassofonista ricorda cosi quella seduta di registrazione: "Lee è arrivato puntuale. Siamo sistemati uno di fronte all'altro con un divisorio trasparente in modo che ci vedessimo. Io avevo previsto di alternare il sax soprano e il sax tenore mentre Lee avrebbe suonato solo l'alto. Con molta tranquillità abbiamo fatto una take per brano e poi siamo usciti. Era bello sentire le due voci dei sassofoni intrecciarsi, era bello per me pensare che registravo con Lee le composizioni storiche di Wayne Shorter. Avevo unito in una session due nomi fondamentali per la mia maturazione musicale: ambedue mi hanno insegnato a pensare con la mia testa, ad essere me stesso quando scrivo e quando suono"

A trent'anni dal loro primo incontro, nel 1997 Rava e Konitz registrano insieme il disco L'Age Mûr, ancora una volta è Paolo Piangiarelli il medium di questo lavoro in quartetto con Rosario Bonaccorso e Massimo Manzi che il trombettista ricorda cosi: " Un lavoro che amo molto. Una seduta di incisione bellissima in cui eravamo molto rilassati. Lee Konitz aveva quell'umorismo tipico ebraico-newyorkese e poteva essere anche molto duro. Per esempio, quando si suonavano gli standard odiava che i musicisti usassero il "Real Book." Voleva che si sapessero i brani a memoria, non voleva vedere un pianista che leggeva gli accordi, e quando succedeva si arrabbiava sul serio. Prima di questo disco avevamo suonato già parecchie volte insieme in diverse situazioni. Anni dopo, nel 2003, abbiamo registrato insieme il disco dal vivo a Umbria Jazz con il sassofonista Phil Woods, Stefano Bollani, Roberto Gatto e Ares Tavolazzi ."

Qualche anno dopo, nel 2010, per il suo Live at Village Vanguard, registrato insieme a Paul Motian e Marc Johnson, Enrico Pieranunzi propone uno dei brani più rappresentativi di Lee Konitz, "Subconscious-Lee," una scelta non causale-come ci spiega-"È un brano che adoro e che non è mai uscito dal mio repertorio. È sempre stato un modo per portare un po' di...Lee con me. "Subconscious-Lee" è un piccolo capolavoro che in trentadue battute sintetizza mirabilmente la filosofia armonico-sintattica di quel circolo che aveva alla sua testa il maestro di Konitz, Lennie Tristano. Pensai di suonare e registrare quel brano durante il concerto al Vanguard anche perché potevo contare su un contrabbassista fenomenale come Marc Johnson capace di esporre il tema del pezzo all'unisono con me, al mondo non ce ne sono molti altri capaci di farlo. Senza contare che un tema così "obliquo" e dall'andamento imprevedibile era perfetto per un batterista anch'egli decisamente originale come Paul Motian. Suonare quel brano, a New York, nel tempio mondiale del jazz, era un omaggio ad un grandissimo improvvisatore e ad un amico con cui negli anni ero rimasto sempre in contatto. Un omaggio dovuto, trattandosi di uno dei più straordinari ed originali artisti che la musica jazz ci abbia regalato e che ora, purtroppo, ci mancherà tantissimo."

Parlando dell'influenza che ha avuto Lee Konitz sulla sua crescita come sassofonista Claudio Fasoli dice "La sua presenza musicale i primi tempi è stata per me totalizzante: ascoltavo soltanto lui ed è stato decisivo nelle mie scelte in senso assoluto. Era fuori discussione che dovessi rintracciare ogni sua nota registrata reperibile, cosa che poi negli anni diventò impossibile data la frequenza delle sue pubblicazioni! Lee Konitz molto più di altri è colui che mi ha fatto comprare il sax alto."

Per Rosario Giuliani, sassofonista nonché docente alla Saint Louis College of Music di Roma "Lee Konitz è stato un vero e proprio maestro del quale conserverò per sempre ricordi indelebili. L'unicità del suono, il modo di creare frasi che sembrano poesie scritte con le note e la fluidità delle sue improvvisazioni sono un'eredità importantissima. Eredità che custodisco e cerco di trasmettere quotidianamente a miei studenti." L'energia di Lee Konitz e la sua voglia di andare dritto all'essenza senza confini del jazz non si era mai affievolita neanche negli suoi ultimi anni di vita.

Una capacità senza pari racchiusa nella riflessione di Enrico Rava, "È strano pensare che la musica più moderna, più all'avanguardia, non nel senso esteriore ma nel senso più profondo della parola, venga da musicisti che hanno superato gli ottanta come nel caso di Lee Konitz. Ultimamente girava da solo; alla sua età prendeva la valigia, il sax e andava dovunque, arrivava nei posti e suonava con i musicisti locali. Per me lui era e rimane il numero uno."

Un modello per le nuove generazioni di jazzisti a cui è affidato il difficile compito di portarne avanti, con lo stesso coraggio, il lascito artistico e umano.

Foto di Lee Konitz: Andrea Palmucci.

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