Home » Articoli » Interview » Zeno De Rossi: Tradire la Tradizione

Zeno De Rossi: Tradire la Tradizione

Zeno De Rossi: Tradire la Tradizione

Courtesy Roberto Cifarelli

By

Sign in to view read count
Andare avanti senza perdere di vista il passato... "tradire la tradizione" con l’obiettivo di fare musica originale e che mi piacerebbe ascoltare
Da anni personalità artistica centrale del jazz e della musica improvvisata del nostro Paese, Zeno De Rossi è solito alternare alla realizzazione di progetti a proprio nome sia produzioni collettive, sia collaborazioni con artisti di caratura assoluta—basti pensare alle lunghe esperienze con Franco D'Andrea, Francesco Bearzatti o Roberto Ottaviano. Nell'ultimo anno e mezzo, quando la progressiva uscita dal brutto periodo della pandemia ha permesso la ripresa dell'attività artistica, sono usciti un buon numero di lavori, in gran parte da noi documentati, che lo vedevano protagonista in tutte queste forme. L'abbiamo incontrato per farci raccontare la genesi di quei lavori e come ha vissuto il tribolato periodo che li ha preceduti.

All About Jazz: Subito dopo la pandemia sono uscite molte cose che ti vedono protagonista, alcune come leader e altre come collaboratore. Inizierei però da quel che è venuto prima, chiedendoti come hai passato il periodo della pandemia—difficile per tutti, ma certo ancora di più per chi fa musica.

Zeno De Rossi: Sembra strano a dirsi ma quel periodo l'ho quasi rimosso. L'ho vissuto in una maniera forse ancor più surreale di tanti altri. Infatti, quando qua a nord non era ancora chiaro cosa stesse succedendo e quali mosse il governo volesse fare, io e la mia famiglia abbiamo deciso di andare a trovare i genitori di mia moglie che vivono al sud, in campagna; siamo partiti pensando di stare via una settimana o due, ma siamo scesi proprio il giorno in cui hanno deciso di mettere l'Italia intera in lockdown... Il risultato è stato che abbiamo passato là un anno e mezzo! Un'esperienza bella tosta, perché le scuole erano chiuse ed era necessario stare ventiquattr'ore al giorno con i bambini—e io ne ho quattro piccoli...—così sono arrivato quasi a invidiare tanti miei amici e colleghi che si lamentavano di essere bloccati a casa da soli! Oltretutto ero anche partito senza strumento, per cui per un po' non ho potuto suonare affatto; in seguito ho noleggiato una batteria da un negozio locale, ma era quasi un giocattolo... Solo tempo dopo sono riuscito a tornare a casa per riprendere un po' di cose, tra cui una delle mie batterie.

AAJ: Ma quel periodo come l'hai vissuto: con ansia, come un momento in cui fare una pausa o per scrivere qualcosa, o altro ancora?

ZDR: Con ansia no, ma neppure avevo il tempo per dedicarmi alla musica, preso com'ero dalla famiglia. Direi che per un po' di tempo l'ho considerata un'esperienza singolare, quasi bella, visto che tutto il mondo si era fermato e che io, trovandomi in piena campagna, forse per la prima volta in vita mia mi sono veramente goduto la natura. Poi—arrivato l'inverno, ripartita la seconda ondata, giunti a un anno e più di quella situazione—la cosa è diventata più pesante, nonostante il fatto che già durante la prima estate, quella del 2020, avessi comunque ripreso a suonare (con tutte le complicazioni di prevenzione e sicurezza che sappiamo). Sembrava una situazione ormai irreversibile e che la vita di prima, anche come esperienza musicale, non sarebbe mai più tornata.

AAJ: Quando poi le cose sono migliorate, come ha ripreso il lavoro?

ZDR: Paradossalmente, le estati del 2020 e del 2021 sono tra quelle della mia carriera in cui ho lavorato di più: tanta era la voglia di fare quel che non era stato possibile nei mesi di clausura, che nel giro di una settimana dalla riapertura delle sale avevo l'agenda piena. Ed è stato tutto molto bello, nonostante le mascherine e le altre misure di sicurezza, perché tutti avevamo una gran voglia di riprendere a vivere.

AAJ: E il pubblico? Secondo te ha ripreso a frequentare le sale o ha ancora della "ruggine"?

ZDR: Adesso mi sembra che anche il pubblico dei concerti si sia rimesso in moto, ma c'è voluto del tempo, perché all'inizio—un po' per timore o per inerzia rispetto al blocco della vita di società—era molto scarso.

AAJ: Muovendomi anche in altri ambiti, per esempio quello teatrale, la mia impressione è che il pubblico abbia ripreso, ma manchino ancora un po' di persone in là con gli anni. Ed essendo in Italia proprio loro il pubblico prevalente del jazz...

ZDR: Quello è un problema che forse è stato incrementato dalla pandemia, ma che è ormai cronico. Avendo la fortuna di poter suonare spesso anche all'estero, direi però che si tratti di un fenomeno non solo italiano: in Francia, per esempio, c'è sicuramente più pubblico, ma sempre di teste canute. Per mia esperienza, solo nell'est Europa ho trovato una più sostanziosa presenza di giovani.

AAJ: Sarebbe interessante capirne meglio le ragioni, attraverso seri studi di sociologia della cultura e aldilà delle risposte facili e parziali, quali possono essere la complessità della musica, la sua poca presenza e promozione da parte dei media, eccetera. Tornando a noi, quando le sale si sono riaperte tu eri però già pronto a presentare un po' di cose nuove.

ZDR: Sì, perché alcune ero comunque riuscito a farle durante quel periodo, altre erano rimaste fuori ma è stato quasi immediato riprenderle in mano. Per esempio, il nuovo CD di Rope—In the Moment, dedicato alla musica di Charlie Haden—l'abbiamo registrato proprio durante il secondo lockdown, nel gennaio del 2021, perciò era pronto per l'estate successiva, quella in cui le cose sono seriamente riprese. Invece This Is Always, del mio trio con Giorgio Pacorig e Francesco Bigoni, ha una storia curiosa: l'ultimo concerto che ho fatto prima che iniziasse il primo lockdown è stato un sabato del marzo 2020, al Pinocchio di Firenze con il gruppo di Paolo Botti, La Fabbrica dei Botti; il lunedì avrei dovuto suonare al Torrione di Ferrara proprio con il trio, ma la domenica fu chiuso tutto e il concerto saltò. La registrazione del disco uscito lo scorso anno è quella di quel concerto, che fu recuperato nel novembre del 2021.

AAJ: Ricordo bene il concerto del Pinocchio, al quale ero presente, perché anche se la situazione cominciava a essere preoccupante continuavo a frequentare molti spettacoli; ma voi venivate da nord, alcuni proprio da Milano, da dove arrivavano notizie pesanti, per cui ci venni con qualche inquietudine...

ZDR: Un'altra cosa che ho realizzato durante la clausura è 12 Meditations on Motian, esperimento di registrazione a distanza, in duo con dodici diversi chitarristi italiani. È nato un po' per gioco, un po' per uscire dall'empasse che ci impediva di suonare assieme: ho proposto a ciascuno di loro di registrare una parte per chitarra che avesse per filo conduttore la musica di Paul Motian, di cui io sono grande ammiratore e che sapevo essere anche un loro punto di riferimento artistico; su quella traccia io, dopo, avrei registrato la batteria. L'idea era farlo solo per divertimento, anche perché io, isolato in campagna, potevo registrare solo con lo smartphone; loro invece mi hanno inviato tutte registrazioni "professionali," così anch'io mi sono sentito in dovere di registrare in modo più accurato, cosa che ho fatto proprio quando abbiamo registrato l'album di Rope, trattenendomi in studio. Ne sono usciti questi dodici brani di cui siamo tutti piuttosto soddisfatti, a dispetto del non aver suonato assieme in presenza; sarebbe stato bello pubblicarlo su supporto fisico, anche perché l'illustratore fiorentino, nonché mio grande amico, Francesco Chiacchio aveva creato un disegno che illustrava ciascun duetto: non ci siamo riusciti, ma restano comunque disponibili sulla mia pagina Bandcamp.

AAJ: In quel periodo sono stati fatti tanti esperimenti, alcuni con la poco sensata pretesa di surrogare o perfino sostituire la musica dal vivo, altri semplicemente per cercare modi di far musica assieme che aggirassero i limiti resi necessari dalla situazione. Credo sia opportuno non sottovalutarli: alcuni anche in tempi normali possono costituire modi per fare cose altrimenti impossibili o troppo onerose.

ZDR: Sì, anche se per me allora è stata un'esigenza per riconnettermi alla vita musicale dalla quale mi sentivo da troppo tempo escluso. Sono soddisfatto del risultato e credo che in quel preciso momento storico fosse una delle poche strade percorribili, ma certo non vorrei mai che diventasse la prassi.

AAJ: Un altro album uscito appena finita la pandemia, anche se in questo caso il titolare non sei tu, è Break Seal Gently, con il chitarrista Biagio Marino.

ZDR: Sebbene sia un duo, questo è un progetto di Biagio, che mi ha coinvolto nell'avventura, ma che ha scritto tutte le musiche. È stata un'esperienza interessantissima, perché lui ha un mondo sonoro molto personale, costruito anche attraverso accordature molto particolari, cosa che ne ha fatto venir fuori un disco diversissimo dagli altri di cui parlavamo. Anche questo l'abbiamo registrato nello stesso studio, il Duna Studio vicino Ravenna, e siamo anche riusciti a suonarlo dal vivo cinque o sei volte. Spero arrivino altre occasioni: è una musica che mi diverto molto a suonare, perché contiene parti molto strutturate, ma anche tanta libertà di improvvisazione.

AAJ: Tornando ai tuoi due dischi, uno come dicevamo è dedicato esplicitamente alla musica di Haden e, tra l'altro, proprio nel brano centrale contiene la "chicca" della presenza alla voce della figlia Petra, che dà al disco un "effetto" emotivo particolare.

ZDR: Sono stato molto felice della sua presenza. Ci siamo conosciuti qualche anno fa tramite Bill Frisell, anche perché condividiamo un'esperienza particolare in comune: lei è parte di una fratellanza trigemellare e io sono padre proprio di tre gemelli (oltre al mio primogenito). Quando l'ho contattata per chiederle se volesse cantare un brano del nostro disco dedicato a suo padre, ha accettato con grande entusiasmo. Le tracce che ci ha mandato dalla sua casa di Los Angeles mi hanno emozionato molto perché si sente chiaramente che canta con grande e tangibile trasporto, cosa che mi ha confermato lei stessa. Il brano in cui interviene, "Shenandoah," è un brano tradizionale interpretato più volte dal padre e che, oltretutto è il nome della cittadina dell'Iowa in cui era nato.

AAJ: Nell'album del trio con Bigoni e Pacorig, invece, è di nuovo presente la figura di Motian.

ZDR: Il suo spirito, e quello di molti altri maestri aleggia in realtà sopra la mia testa ogni volta che suono... Però, in effetti, stavolta c'è anche qualche riferimento esplicito: uno perché "Shakalaka" è una sua composizione; l'altro perché il brano di apertura è intitolato con il suo nome. Si tratta di una composizione di Salvatore Bonafede, pianista siciliano a mio parere ingiustamente sottovalutato: negli anni Novanta, quando viveva a New York, suonava regolarmente con i grandi musicisti statunitensi, unico italiano a essere chiamato da gente come Joe Lovano o lo stesso Motian—ho il suo disco Plays con lui e Marc Johnson, ed è bellissimo. Ora so che insegna al conservatorio di Palermo, ma è raro che lo si veda in concerto. Un vero peccato.

AAJ: Qui si aprirebbe un capitolo a parte, relativo alla "scomparsa" di quei musicisti che, avendo iniziato a insegnare, riducono oltremisura la loro attività musicale.

ZDR: Si tratta di un fenomeno crescente, è vero, che mette in gioco tanti fattori oltre a quello economico, che pure conta. Io, per esempio, finora mi sono sempre tenuto fuori dall'ambito dell'insegnamento. Proprio di recente, tuttavia, ho deciso di partecipare a un bando come insegnante, con tanto di prova teorica e pratica; non l'ho fatto però solo per le necessità di stabilità economica dettate da una famiglia "importante" qual è la mia, ma anche per un'esigenza personale, biografica e artistica: ormai inizio ad avere una certa età e una lunga esperienza artistica, perciò mi piacerebbe trovare il modo di trasmettere e "passare" alle generazioni più giovani tutto questo e soprattutto l'amore per questa musica.

AAJ: Arrivati a un certo punto, occuparsi di non disperdere le esperienze più importanti che si ritiene di aver maturato ha senza dubbio senso. Forse però il fenomeno della "scomparsa dei musicisti" è dovuto al fatto che lo si fa troppo presto, o non lo si fa per questo...

ZDR: Sicuramente è vero che se hai le spalle più coperte hai forse meno voglia di affannarti per promuovere i tuoi gruppi e trovare concerti, o di spostarti per compensi minimi. Del resto è anche naturale cercare un'alternativa più stabile, vista l'estrema incertezza economica e la conseguente inquietudine della vita di un musicista, soprattutto in questo momento storico. Ricordo che quanto suonavo regolarmente con Vinicio Capossela, per quanto fossi sempre in tour e lavorassi in modo serrato senza avere il tempo di dedicarmi ad altre cose né alla mia musica, ero però molto più rilassato.

AAJ: Com'è per un jazzista lavorare con Capossela?

ZDR: Io con lui ho suonato tantissimo, dal 2003 al 2016; in seguito ha cambiato formazione, così per un periodo non ci siamo più frequentati. Poi, ad aprile del 2022, mi ha richiamato per uno dei progetti che porta in tour, nel quale riprende la musica dei primissimi dischi. Abbiamo fatto una ventina di concerti, anche all'estero, ed è stato molto divertente, come del resto era in passato, perché i suoi vecchi pezzi mi piacciono particolarmente, si prestano molto a un'interpretazione jazzistica. Mi ha anche chiamato per registrare un brano del suo nuovo disco che è uscito proprio in questi giorni. A parte questo, io tramite lui ho avuto la possibilità di suonare nei teatri e nei luoghi adibiti alla musica più belli d'Italia e non solo, ho conosciuto artisti straordinari che altrimenti difficilmente avrei avuto l'occasione di incontrare e ho forse ricevuto anche una maggiore visibilità personale.

AAJ: Tornando ai tuoi dischi, ne hai finito di registrare uno proprio in questi giorni...

ZDR: Esattamente! È un disco a cui tengo molto, a dispetto del fatto che sia molto diverso da quelli di cui abbiamo parlato fin'ora. Si tratta del secondo episodio di Zenophilia, un progetto originariamente nato come trio con Filippo Vignato e Piero Bittolo Bon, ma che adesso si è allargato a quartetto, con l'aggiunta di Glauco Benedetti alla tuba e che prevede in alcuni brani anche la presenza di Simone Padovani alle percussioni e di Dean Bowman alla voce. Dean è un cantante afroamericano straordinario che ha collaborato, tra gli altri, con Don Byron, John Scofield, Lester Bowie, Uri Caine, Steven Bernstein, Gary Lucas. Lo conosco fin dagli anni Novanta, quando faceva parte di un gruppo che si chiamava Screaming Headless Torsos e mi è tornato in mente quando stavo mettendo a punto il repertorio per questo disco. Ho poi scoperto che da qualche anno vive in Romania, per cui è stato più agevole farlo venire a registrare con noi, sempre nel solito studio. Il disco si intitolerà Come On Down (And Follow Us) e uscirà a settembre sempre per Hora Records.

Si tratta di un disco che potremmo definire soul, dove convivono appunto più anime a me care con riferimenti più o meno espliciti al blues di Jimmy Reed e di Ray Charles, agli echi latini di Ry Cooder o dei Latin Playboys, al downtown newyorchese degli anni '90, e poi c'è molto della mia passione sportiva con omaggi ad alcuni dei miei miti di gioventù. I brani sono quasi tutti miei, tranne qualche cover. Una di queste, che non finirà nel disco ma uscirà in un secondo momento, è una composizione di Motian che lui non ha mai registrato e che ho scoperto attraverso il programma radio di sua nipote Cindy McGuirl, che dopo la morte di Paul ha raccolto il materiale presente nella sua casa e lo ha diffuso attraverso una radio di Providence. Tra le tante cose, la nipote ha pubblicato due libri di sue composizioni, alcune delle quali inedite: una l'ho scelta per questo disco, un'altra l'abbiamo registrata l'anno scorso nell'ultimo disco di Guano Padano, con Bill Frisell come ospite alla chitarra.

AAJ: Bill Frisell è un altro musicista che torna continuamente nella tua musica, tanto che è appena uscito il secondo volume degli Unscentific Italians, Play The Music Of Bill Frisell Vol. 2, formazione di cui fai parte e che suona la sua musica.

ZDR: Non solo ne faccio parte, ma sono orgogliosamente uno dei membri fondatori! Anche quella è per me un'esperienza fantastica, perché suoniamo la musica con la quale sono cresciuto. Ho avuto la fortuna di vivere in una famiglia in cui si sentiva parecchia musica, perché mio padre non solo era appassionato, ma aveva anche fatto il musicista: prima che nascessi suonava il contrabbasso, anche se poi fu costretto a smettere. E anche uno dei miei fratelli per un periodo ha fatto il musicista, il percussionista. Ascoltando tanta musica, dal punto di vista jazzistico sono stato folgorato prima da Pat Metheny, verso i diciassette anni, e subito dopo da Frisell, in particolare da Lookout for Hope, del 1988. Quel disco mi ha aperto un mondo, era anche la prima volta che sentivo Joey Baron, ricordo che quando lo ascoltai pensai che quella era la strada che volevo seguire.

Ormai sono trent'anni che conosco Bill e che posso considerarlo un amico, per cui quando ci è venuto in mente di dar vita a Unscientific Italians l'ho contattato per chiedergli il suo assenso, lui ha risposto in maniera entusiasta. Visto poi che si diletta nel disegno, gli abbiamo chiesto anche di disegnarci la copertina. Nel caso di Guano Padano, invece, la cosa è anche simpaticamente bizzarra: diversi anni fa, quando abitava ancora a Seattle, prima di un suo concerto il fonico ha messo su un disco che lo ha colpito a tal punto che è andato a chiedere cosa fosse; "è un gruppo italiano," gli ha risposto il fonico, "dal nome strano: Guano Padano, lo mettiamo su sempre..." Lui è tornato a casa, s'è messo a cercare su Internet, ha scoperto che ci suonavo io e mi ha subito scritto una mail entusiasta! Da non credere...

AAJ: Mica tanto, perché effettivamente la musica di Guano Padano, fatte le debite proporzioni, riecheggia le atmosfere di Frisell. E come stupirsi se John Ford apprezza i film di Sergio Leone?

ZDR: Infatti il disco dello scorso anno s'intitola Back and Forth, avanti e indietro, che riprende proprio delle considerazioni che Bill aveva fatto su Americana, il nostro terzo disco, e cioè che Morricone si era inventato in Italia un suo suono "americano," pur non essendo mai stato in America. Un suono che una volta tornato in America, gli americani avevano appreso e fatto loro anche se era nato altrove, in un continuo andare avanti e indietro tra una sponda e l'altra dell'Oceano.

AAJ: In Lookout for Hope accanto a Frisell c'è anche Hank Roberts, che fa parte di un altro progetto bellissimo del quale è uscito il secondo CD nel corso del 2022: Pipe Dream.

ZDR: Hank è un altro dei miei eroi di gioventù. Lo conobbi nel 1992 quando suonò a Verona con i Miniature assieme a Tim Berne e Joey Baron, uno dei gruppi e dei concerti che hanno cambiato la mia vita. In seguito siamo rimasti in contatto e qualche anno fa mentre con Giorgio Pacorig, Pasquale Mirra e Filippo Vignato discutevamo sull'idea di formare un gruppo insieme, ci è venuto in mente di coinvolgerlo, dal momento che tutti noi eravamo suoi grandi estimatori. Lui ha accettato con entusiasmo e sin dal primo momento si è instaurato un bellissimo rapporto di amicizia e complicità. Con Pipe Dream abbiamo fatto due dischi e qualche tour (clicca qui per leggere la recensione di un recente concerto); stare in giro o in studio con Hank e gli altri ragazzi del gruppo è per me una grandissima gioia, c'è un grande spirito di amicizia e collaborazione e non vedo l'ora di poter riprendere a portare in giro la nostra musica.

AAJ: Ci conosciamo da molti anni, durante i quali di strada ne hai fatta tantissima, ma io ricordo ancora quando venivi a Firenze, giovane musicista emergente accolto con affetto dagli appassionati locali. Hai detto che tutti i tuoi progetti recenti sono in qualche modo connessi agli autori delle musiche che ti hanno aperto una via e con le quali sei cresciuto: come si legano le tue opere attuali a quegli esordi?

ZDR: Sono tutti pezzi della mia biografia artistica, ma sono anche tutti caratterizzati dallo stesso approccio, che avevo allora e che conservo tuttora: andare avanti senza perdere di vista il passato, sia che renda omaggio direttamente, come nel caso di Haden, Frisell, Motian o Shelly Manne, sia che certi modelli appaiano in filigrana nella mia musica, perché assimilati attraverso la mia formazione. Per dirla con Alfonso Santimone, che ha curato gli arrangiamenti dei due Unscientific Italians e anche del mio disco su Shelly Manne, si tratta di "tradire la tradizione" con l'obiettivo di fare musica originale e, personalmente parlando, che mi piacerebbe ascoltare.

AAJ: Ma questo vale anche per le tue numerose collaborazioni in progetti di altri?

ZDR: Tendenzialmente direi di sì, anche se in quel caso cerco di mettermi a disposizione di chi mi chiama cercando di aiutarlo a realizzare la sua idea.

AAJ: Penso per esempio alla tua lunga collaborazione con Bearzatti, nella quale tu e Danilo Gallo siete parte del progetto e pressoché insostituibili, oppure a quella con Ottaviano.

ZDR: Quelli sono i gruppi di Francesco e di Roberto, ma sono per me anche delle "famiglie," essendo ormai diventati in qualche modo anche i gruppi di tutti quelli che ci partecipano. Con Tinissima è tantissimo che andiamo avanti, dal 2006, e abbiamo fatto cinque dischi e un'infinità di concerti. Francesco originariamente ha un'idea piuttosto chiara del risultato che vuole ottenere, ma poi ognuno di noi porta il suo contributo e la propria esperienza, fondamentali per raggiungere il risultato finale. Anche con il gruppo di Roberto ogni volta che ci ritroviamo c'è un bellissimo affiatamento, sul palco e fuori. Eternal Love è un'esperienza che mi ha molto arricchito sotto tutti i punti di vista: succede sempre qualcosa di sorprendente sia quando suoniamo con l'abituale quintetto, sia quando siamo in trio. Lo scorso aprile Roberto ha dato vita a un'ulteriore estensione di Eternal Love, ospitando Samuel Blaser al trombone, Ralph Alessi alla tromba, proprio Bearzatti e Danilo —vedi le famiglie che si uniscono? —il vibrafonista Michele Sannelli e Gaetano Partipilo al sax alto, con il quale abbiamo suonato al bellissimo festival Musiche Corsare di Bari, organizzato proprio da Roberto. Il risultato musicale è stato direi davvero entusiasmante.

Ci terrei a citare anche un'altra esperienza fondamentale della mia vita artistica, quella con il gruppo di Franco D'Andrea, purtroppo adesso terminata. Abbiamo suonato insieme per moltissimi anni, durante i quali Franco ha esplorato ogni tipo di formazione—il trio, il quartetto, il quintetto, il sestetto, l'ottetto, il duo piano e batteria—mosso dal desiderio, tipico del suo carattere, di andare sempre avanti e sperimentare cose nuove. Collaborare con tutti questi musicisti è per me corroborante: mi sento talmente parte di questi loro progetti da sentirli anche miei, aldilà della titolarità. Ne stimo ideatori e componenti dei gruppi non solo come artisti, ma anche come persone.

AAJ: Tocchi un'altra cosa che ti volevo chiedere: quant'è importante per te l'aspetto umano per dar vita a un sodalizio artistico?

ZDR: È fondamentale! Certo può succedere di suonare anche con musicisti con cui c'è poca empatia fuori dal palco, anzi, sicuramente mi è successo e la musica che ne è venuta fuori magari ha anche funzionato in quel momento. Ma sicuramente per me lo spirito con cui si affronta la musica cambia completamente quando puoi lavorare con persone con cui hai affinità e con cui condividi interessi e valori anche fuori dal palco. Oggi come oggi se dovessi progettare un nuovo gruppo la prima cosa che valuterei è proprio l'aspetto umano: non includerei mai un musicista bravissimo, ma con il quale non c'è intesa fuori dal palco. Fortunatamente i musicisti bravi e con i quali mi trovo bene sono tanti e c'è una grande possibilità di scelta!

AAJ: Sono tra i tanti che si sono dispiaciuti della scomparsa di El Gallo Rojo: mi piacerebbe sapere da te com'è che è finita quell'esperienza.

ZDR: Anche quella si è conclusa in modo fisiologico. Eravamo in tanti, in quindici, e quando l'abbiamo inaugurata la maggior parte di noi era piuttosto giovane, poco meno o poco più di trent'anni. Poi pian piano tutti siamo cresciuti, alcuni si sono fatti una famiglia, hanno avuto figli, sono andati a vivere più lontano—qualcuno anche all'estero—e questo ha cambiato le esigenze e le priorità. Inoltre, molti sono stati scoraggiati dal crollo della vendita dei dischi, la produzione dei quali era uno degli obiettivi del sodalizio. Quindi sciogliersi è stata una cosa naturale che è dispiaciuta a tutti, ma che ci ha anche lasciato grande soddisfazione: in quegli anni abbiamo fatto settanta dischi, alcuni dei quali importanti non solo a parer nostro, anzi, da quello che sento ritenuti tali anche da musicisti più giovani di noi, che ne sono stati ispirati. E anche il fatto che un musicista come Franco D'Andrea abbia deciso di pubblicare alcuni suoi dischi con noi è una cosa che ci riempie ancor oggi d'orgoglio. Poi, appunto, le esperienze cambiano e alcune finiscono. È accaduto anche a noi. Credo però che tutti siano orgogliosi dell'esperienza fatta insieme, anche se a un certo punto ciascuno ha preso la propria strada.

AAJ: Resta anche il fatto che, pur non essendo stati la prima o la sola etichetta indipendente autogestita dai musicisti, per il modo in cui avere gestito la cosa anche aldilà del mero lavoro discografico siete stati un esempio importante per altri che sono venuti dopo.

ZDR: Forse sì, dopo sono venute diverse altre realtà importanti: io stesso faccio parte adesso dell'etichetta Hora Records, con la quale sono usciti i dischi del trio con Bigoni e Pacorig, di Rope e di Unscientific Italians, oltre a due dischi di Hobby Horse, il disco del quintetto di Federico Nuti e quello degli ARCH, uscito proprio in questi giorni. Per me è un po' una continuazione dell'esperienza avuta con El Gallo Rojo. È nata da un'idea di Filippo Vignato, accanto al quale collaboriamo anche io e Dan Kinzelman; una cosa piccola, che porta avanti fondamentalmente Filippo—uno straordinario musicista, ma anche una di quelle persone con cui amo collaborare e che è diventato rapidamente uno dei miei più cari amici, nonostante sia molto più giovane di me.

Comments

Tags


For the Love of Jazz
Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who create it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

You Can Help
To expand our coverage even further and develop new means to foster jazz discovery and connectivity we need your help. You can become a sustaining member for a modest $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination will vastly improve your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

Near

More

Popular

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.