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Samo Salamon: un mondo di variegate esplorazioni

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In neanche vent'anni d'attività professionale, il chitarrista sloveno ha maturato un ampio e diversificato ventaglio di esperienze, che si riflettono in una nutrita discografia. Ha pubblicato 35 album con etichette quali la Clean Feed, Fresh Sound, Not Two, Spasch, Steeplechase [clicca qui per leggere la recensione dei suoi ultimi 12 album] in organici comprendenti molti protagonisti del jazz contemporaneo, statunitense ed europeo, tra i quali Tim Berne, Mark Turner, Michel Godard, John Hollenbeck, Drew Gress, Stefano Battaglia, Gianluca Petrella, Tony Malaby, Tom Rainey, David Binney, Donny McCaslin.

Anche in veste di compositore ha sviluppato progetti con multiformi sintesi di jazz contemporaneo, musica classica e libera improvvisazione. In quest'intervista ci parla dei suoi ultimi lavori e rievoca i momenti centrali della sua carriera.

All About Jazz: Hai appena pubblicato il doppio album Dolphyology, dove interpreti, da solo alla chitarra acustica, le composizioni di Eric Dolphy. Come e quando nasce il progetto?

Samo Salamon: L'idea è nata due anni fa col primo lockdown. Tutti erano chiusi in casa e io trascorrevo le giornate suonando per ore la mia chitarra acustica, insegnando on line e ascoltando musica di ogni tipo. Tra le cose che ascoltavo di più c'era Eric Dolphy, che ho sempre amato come strumentista e come compositore. Ho iniziato a così interpretare i suoi brani sulla chitarra. Mi sono appassionato ed è nata l'idea di un progetto organico comprendente tutte le sue composizioni.

AAJ: Ho notato che recentemente suoni molto la chitarra acustica. C'è un motivo particolare?

SS: È vero. Negli ultimi due anni ho suonato molto lo strumento acustico, come nelle collaborazioni in duo con Hasse Poulsen e con Francois Houle. Ho iniziato con lo strumento elettrico ma in questo cambiamento non c'è una ragione particolare.

AAJ: Il duo con il chitarrista danese Hasse Poulsen è documentato dal disco String Dancers. L'ho molto apprezzato per la ricchezza con cui spaziate da atmosfere liricamente folk a marcate improvvisazioni free. Ce ne puoi parlare?

SS: Conosco da tempo la musica di Hasse Poulsen, uno dei miei chitarristi europei preferiti. Nel corso degli anni abbiamo suonato con le stesse persone ma mai insieme, ad esempio con Tom Rainey, Tim Berne e Tony Malaby. Sempre negli stessi mesi del lockdown, quando tutti i concerti erano stati cancellati, gli ho inviato una e-mail proponendogli un'incisione a distanza. Non è stata una collaborazione liberamente improvvisata ma s'è svolta sulla base di nostre composizioni, alcune delle quali scritte in collaborazione. L'intesa è stata immediata ed è stato bello lavorare assieme con due chitarre acustiche.

AAJ: Altri risultati di questi due anni pandemici sono stati Common Flow e Rare Ebb che ti vedono in trio col trombettista Igor Matković e col batterista Kristijan Krajncan. Ho molto apprezzato il lirismo delle tue composizioni e il magnifico sound della tromba...

SS: Sono due giovani musicisti sloveni davvero bravi e abbiamo suonato spesso assieme. È stato un progetto articolato con dieci mie composizioni arrangiate per due differenti formazioni. In particolare, nel primo CD Igor suona la tromba, Kristijan la batteria ed io la chitarra acustica mentre nel secondo Igor resta alla tromba ma io passo a suonare il basso elettrico e Kristijan il violoncello. Trovo che è una band fantastica per suonare dal vivo come abbiamo fatto al festival di Gorizia nello scorso mese di ottobre.

AAJ: Restando a parlare dei tuoi partners, è il caso di ricordare la lunga collaborazione che intrattieni con Achille Succi e con Roberto Dani. Quali sono i motivi di questa lunga partnership?

SS : Ho incontrato Achille tramite il batterista Zlatko Kaućić, che me lo consigliò per l'incisione di Ornethology. Da allora apprezzo moltissimo il suo modo di suonare: è un incredibile clarinetto basso e sax contralto, uno dei migliori in circolazione. Inoltre è una persona davvero amabile, con un modo di fare sempre rilassato. Così, di tanto in tanto, quando ho un progetto adatto alla sua presenza lo chiamo e suoniamo sempre con grande piacere. Achille è un grande improvvisatore e il suo apporto è sempre determinante.

Anche Roberto è un musicista e una persona davvero speciale. Ha un approccio percussivo personale e un carattere gioviale che è poi importante quando si va in tour. Ho suonato molto anche con lui e ogni volta ne apprezzo le doti. Grazie a loro ho conosciuto Stefano Battaglia con cui ho suonato varie volte e realizzato un disco in duo. Amo tutti i musicisti di jazz italiani con cui ho collaborato: Gianluca Petrella, Ares Tavolazzi, Paolino Dalla Porta e altri.

AAJ: È sempre più difficile trovare spazi per la musica improvvisa vero?

SS : Direi dovunque in Europa, soprattutto se è musica completamente improvvisata. In quest'ambito uno dei massimi in Europa è il violinista Szilard Mezei con cui ho collaborato e inciso un paio di dischi con differenti trio. Come dicevo le occasioni sono poche ma qualcosa riusciamo a fare. Comunque nella mia musica le parti liberamente improvvisate non sono dominanti e convivono sempre in strutture scritte.

AAJ: Ti ha influenzato in qualche modo la musica tradizionale dei Balcani?

SS : Qualcosa forse quand'ero adolescente. Ascoltavo molto quei pezzi a tempo dispari del folk macedone e della musica gitana della Serbia. Sono cose che amo ancora ascoltare come faccio con tantissima altra musica: dal metal dei Meshuggah al rock in generale, dal blues a tutti i tipi di jazz, fino alla classica. In generale amo esplorare cose molto diverse, spesso poco conosciute.

AAJ: E cosa ascolti in questo periodo?

SS: Molto Bill Frisell. Ho poi ripreso ad ascoltare Ornette Coleman e le formazioni di Paul Motian.

AAJ: The Penguin Jazz Guide di Brian Morton e Richard Cook ha incluso il tuo Ornethology tra i migliori mille album della storia del jazz. Cos'hai da dire?

SS : È un fatto curioso perché è stato il mio primo album e sono rimasto sorpreso quando Brian Morton mi ha comunicato la notizia: "Davvero? Credevo fosse un buon disco ma non molto di più." È stato certamente un grande privilegio e un onore essere in una lista che comprende Charlie Parker, Miles Davis, Duke Ellington e centinaia di altri maestri. Io sono grande quanto un capello rispetto a loro. Sono passati ormai vent'anni e ricordo l'atmosfera molto rilassata dell'incisione e la bella coesione di quel gruppo anche in vari concerti europei. Diciamo che è stato un bell'inizio di carriera.

AAJ: Parlaci dei tuoi inizi musicali

SS : Ho iniziato a studiare chitarra classica all'età di sei anni ma a quattordici ero ormai stufo perché avevo approcciato le forme del blues e le musiche di Beatles, Dire Straits, Metallica, Red Hot Chili Peppers eccetera. Un giorno il mio insegnante di chitarra mi prestò un album di Ralph Towner e uno di Pat Metheny, The Road to You. Quest'ultimo fu qualcosa di magico e mi fece perdere la testa. Non sapevo come ma volevo suonare anch'io così. Iniziai così a trascrivere le melodie, gli assoli ed ascoltare Mike Stern, John Scofield e andando a scoprire Wes Montgomery, Jim Hall, Charlie Christian e altri classici. L'esplorazione del jazz ha riguardato anche altri strumenti, in particolare pianisti e sassofonisti.

AAJ: Parliamo dei tuoi due mentori. Il primo è stato Zlatko Kaućić, il secondo John Scofield, che hai frequentato quando stavi a New York.

SS : Zlatko m'invitò a suonare nei suoi Kombos didattici e con lui ho iniziato a improvvisare. È stato il primo a farmi conoscere la musica di Ornette Coleman, di Eric Dolphy e altri maestri dell'avanguardia storica che mi hanno aperto la mente. Ho incontrato John Scofield quando avevo 17/18 anni. Mi ha invitato a New York e mi ha ospitato a casa sua per un paio di mesi. Passavamo il tempo suonando assieme, improvvisando sugli standard e mi ha dato molti consigli. L'accompagnavo in macchina a suonare e restavo ad ascoltare i suoi concerti. È stata un'esperienza importantissima non solo sul versante strumentale ma anche sulla motivazione. Grazie a lui ho capito che devi praticare continuamente e quando sono tornato in Slovenia mi esercitavo otto ore al giorno: studiando, trascrivendo ed esercitandomi sullo strumento. Per me Scofield è un amico con cui resto in contatto tramite mail. Cosa posso dire di lui? È uno dei massimi chitarristi viventi, un grande innovatore e sono felice di aver avuto il privilegio di conoscerlo e di imparare con lui. Abbiamo parlato molto di musica e mi ha dato utilissimi consigli su come suonare e pensare.

AAJ: Com'è Scofield nella dimensione privata?

SS: Quando hai 18/19 anni musicisti come lui sono per te degli eroi, li metti in un piedistallo. Era quindi buffo vederlo nella dimensione quotidiana, ad esempio la mattina in pigiama a prepararsi il caffè. Musicalmente parlando, passa anche lui molto tempo a praticare, ogni giorno.

AAJ: Ci sono altri musicisti americani con cui ti senti connesso in modo particolare?

SS: Il sassofonista David Binney è stato molto importante. Quando ero a New York è stato il primo musicista americano con cui ho collaborato, abbiamo suonato in vari locali ed è stato molto amichevole. Ha anche partecipato al mio secondo album Ela's Dream. Ho poi una forte connessione con Tony Malaby, uno di quei musicisti con cui ci si intende subito, ed ancora Gerald Cleaver, Tom Rainey, Drew Gress, Donny McCaslin, Loren Stillman, John O'Gallagher, John O'Gallagher... Con ognuno di loro è stata un'esperienza formativa.

AAJ: Hai dei progetti in corso?

SS : Sarà un anno impegnativo per me. In aprile usciranno due nuovi album. Il primo è un duo con Sabir Mateen mentre il secondo presenta un'orchestra di sedici improvvisatori da ogni parte d'Europa, con una forte presenza scandinava. Gli italiani sono Emanuele Parrini, Marco Colonna, Achille Succi e Silvia Bolognesi. In agosto sarà pubblicato un album in trio col bassista norvegese Arild Andersen e il batterista Bob Moses.

AAJ: Oh, che bella notizia. È tanto che non sento parlare di Bob Moses...

SS: Si, abbiamo un tour di quindici date in ottobre, con alcuni concerti italiani.

AAJ: Per quanto riguarda l'orchestra, dove avete registrato, in Slovenia?

SS: No. È stato un progetto a lunga distanza ma se lo ascolti non te ne accorgi assolutamente. Mi sono occupato del missaggio ed è venuto davvero bene.

AAJ: Ultima domanda. Cosa fai quando non suoni?

SS: Insegno in una scuola di musica, qui nella mia città, ogni pomeriggio dalle due alle otto. Poi mi piace cucinare, ascoltare musica e leggere. Leggo molti libri ma non mi piacciono gli e-reader. Ho bisogno del testo in forma cartacea.

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