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Rinascita a Chicago: le gemme dell’etichetta International Anthem

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Non è casuale che l'etichetta indipendente più innovativa nell'attuale panorama jazzistico (e non solo) sia nata e operi a Chicago. È noto infatti che la metropoli dell'Illinois è una delle capitali del jazz, avendo svolto un ruolo centrale in tutta la storia musicale afro-americana, talvolta paritetico con quello di New York.

Nel 2014 a quasi cinquant'anni esatti dalla nascita dell'AACM (peraltro ancora vitale) grazie all'International Anthem Chicago torna a catalizzare l'attenzione del pubblico del jazz. Ovviamente non esistono altri elementi che permettano di accostare le due realtà. L'International Anthem non è un'associazione di artisti ma un'etichetta discografica, creata quasi per caso da giovani bianchi, un musicista proveniente dall'area punk (Scott McNiece) e due tecnici del suono, (David Allen e Dave Vettraino).

L'humus che ha consentito tale nascita è lo straordinario e composito universo musicale di Chicago, alimentato da una tradizione gloriosa: limitandoci agli ultimi 70 anni ricordiamo il blues elettrico di Muddy Waters e Howlin' Wolf; Sun Ra; l'AACM; l'hip hop degli anni novanta; il free jazz di Fred Anderson e Ken Vandermark; il Chicago Underground Collective e l'Exploding Star Orchestra di Rob Mazurek; la multiforme galassia del rock sperimentale (Tortoise, Isotope 2017 ecc..).

«Chicago è nota per essere uno dei luoghi di nascita del jazz sperimentale, d'avanguardia e creativo—dice McNiece —Non importa quale sia la musica— elettronica o cumbia—abbiamo un approccio sperimentale. Molti dei nostri dischi sono stati prodotti in un contesto improvvisato. Inoltre il jazz creativo a Chicago è un lignaggio che si tramanda da generazioni. Gli Hear in Now, uno dei gruppi della nostra etichetta, suonano con l'Art Ensemble of Chicago. In altri generi, come il punk, quando vedi i rocker sessantenni degli anni ottanta è ridicolo—un vero tour della nostalgia. Nel jazz è il contrario. I musicisti più giovani e innovativi ammirano gli anziani».

Pur ribadendo che non si occupano esclusivamente di jazz («chiamateci "progressive," una label che sfida i confini»), nei quasi cinquanta dischi di un catalogo creato in sette anni, la presenza dei jazzmen è massiccia. In quest'introduzione abbiamo selezionato i più significativi: Rob Mazurek, Jeff Parker, Makaya McCraven, Jaimie Branch, Tomeka Reid, Ben LaMar Gay, Angel Bat Dawid, Junius Paul, l'ensemble Irreversible Entanglements.

Dicevamo che la nascita ufficiale dell'etichetta è il 2014 ma conviene tornare indietro di qualche anno per inquadrare il contesto.

Gli inizi

Scott McNiece è nato a Crown Point, Indiana, e ha operato come batterista di gruppi punk nella vicina Bloomington. Quando la principale band in cui suonava (The Prizzy Prizzy Please) si sciolse Scott si trasferì a Chicago, dove c'erano maggiori opportunità di suonare. Non aveva ancora le idee chiare sul futuro e s'iscrisse alla National Louis University progettando di fare l'insegnante. Per pagare l'affitto trovò lavoro in un locale, il Gilt Bar.

«Dopo aver preso a lavorare lì -ha raccontato in un'intervista a fauxsounds.com -(...) ho chiesto al proprietario se potevo creare delle playlist per la clientela e lui s'è dimostrato felice. Ho continuato a farlo gratis per molto tempo, finchè mi ha detto: "Voglio iniziare a pagarti per farlo." Penso che volesse creare delle aspettative per il lavoro. L'idea che qualcuno mi pagasse per fare una playlist era incredibilmente ridicola all'epoca per me e per molto tempo ho insistito che non mi pagasse. Sono passati altri mesi finchè i soldi sono diventati reali. Il proprietario aprì altri ristoranti nell'arco di un anno e ogni volta che ne apriva uno il mio carico di lavoro diventava più intenso. Così, nell'estate del 2011 stavo facendo il barista e lui venne nel bar e mi disse: "Ehi, penso che sia ora che tu diventi un curatore musicale a tempo pieno." Io risposi: Va bene. È fottutamente fantastico. Voglio assolutamente farlo».

L'anno dopo Scott varò "Uncanned Music" per fornire playlist ai locali di Chicago ma quell'attività prese nuove direzioni per l'attrattiva esercitata in lui dal jazz: «Si trattava dei ragazzi che suonavano nel mio quartiere—riporta Ian Preece nel volume Listening to the Wind -e dalla mia prospettiva era una musica incredibilmente potente e rilevante ripensando a quanto semplice era il punk rock che avevo sentito per anni. Mi son detto: cosa potrebbe essere più punk, più cazzuto, più rivoluzionario di quello che stavano facendo questi musicisti d'avanguardia? Che mi sfidavano con suoni quasi inascoltabili. Ascoltavo la musica con un impegno che non avevo mai avuto ed ero più interessato e ispirato dalla musica come ascoltatore di quanto non lo fossi mai stato come musicista. È stato allora che ho iniziato a scavare più a fondo e imparare di più sul passato».

Tra i musicisti che ascoltava c'erano Jaimie Branch, Nick Mazzarella, Jeff Parker, Joshua Abrams, John Herndon e Rob Mazurek. «Ho pensato che sarebbe stato fantastico— continua McNiece -essere coinvolto in quella comunità il prima possibile».

Fu così che progettò di usare il locale seminterrato del Gilt Bar—il Curio -per ospitare alcuni di quei musicisti. Nell'estate 2011 McNiece lanciò la serie "Trio in Curio," con musicisti ogni lunedì sera poi, su consiglio di Nick Mazzarella, la formula cambiò ospitando una stessa formazione per più settimane.
Nel 2012 offrì a Rob Mazurek una scrittura mensile con l'impegno di suonare composizioni originali. Chiamò il suo amico ingegnere del suono David Allen e da quelle registrazione nascerà il primo album (il vinile Alternate Moon Cycles) della futura etichetta. Due lunghe esecuzioni di 16 e 15 minuti intitolate "Waxing Crescent 1" e "Waxing Crescent 2" incise da Mazurek alla cornetta con Matt Lux al basso elettrico e Mikel Patrick Avery all'organo. I brani sono un omaggio a Bill Dixon, scomparso qualche anno prima. Su un fondale sospeso, la cornetta amplificata espone lunghe linee immobili con i suoni d'ambiente del bar e della strada (rumori di bicchieri, la sirena di un'ambulanza) diventano parte integrante della performance.

Makaya McCraven

La seconda scrittura significativa fu con i piccoli organici del batterista Makaya McCraven presentati in un nuovo locale, The Bedford. In vari concerti, dall'agosto al novembre 2011, il batterista si esibì con il trombettista Marquis Hill, i bassisti Matt Ulery,Joshua Abrams e Junius Paul, il sassofonista Tony Barba, il vibrafonista Justin "Justefan" Thomas e il chitarrista Jeff Parker. Quei nastri live -ampiamente remixati in post-produzione dal batterista con innesti di elettronica ed elementi hip-hop—furono pubblicati nel gennaio 2015 nell'album In the Moment, quando ebbero modo di varare l'etichetta International Anthem. Il progetto fu reso possibile da una sottoscrizione del 2014 su Kickstarter che raccolse 15 mila dollari e portò alla pubblicazione dei primi tre Long Playing: i citati di Mazurek e McCraven e quello solista del cantante rock Ron Jacobs. In the Moment ha rappresentato la spinta propulsiva per tutto il lavoro successivo, aprendo le porte alla costruzione del catalogo. Sul versante della promozione un grande aiuto venne da Gilles Peterson che lo presentò al pubblico inglese, nominandolo album della settimana nel suo programma alla BBC. È ancora in rete il tweet che il noto DJ e produttore scrisse il 4 aprile: "We just had Makaya McCraven off the brilliant International Anthem label! #allwinners."

Jeff Parker

Il passo successivo è stata la pubblicazione del progetto di Jeff Parker, The New Breed. Il chitarrista dei Tortoise, che aveva dato un notevole contributo al disco di McCraven, propose a McNiece un suo progetto. Il risultato (che uscirà nel giugno 2016 col titolo The New Breed) presentava otto temi ricalcando la filosofia operativa di In the Moment: otto brani risultanti da una sintesi tra libere improvvisazioni strumentali, vecchi frammenti tematici sepolti nel suo hard disk e campionamenti riassemblati in post-produzione. Quando Parker propose a McNiece il progetto, chiedendo un anticipo per pagare i musicisti, questi accettò pur avendo le casse vuote. «Non avevo idea dove avremmo preso i soldi—ha ricordato poi—Eravamo al verde e dovevo prendere i soldi dal mio conto corrente personale, quei pochi che avevo». Jeff prese il sassofonista Josh Johnson, il bassista Paul Bryan e il batterista Jay Bellerose e iniziarono a lavorarci. «Circa 12 anni fa -ha detto il chitarrista in un'intervista ad observer.com -facevo molto il DJ e creavo beats e avevo dozzine di ore di musica con cui non avevo fatto nulla. (...) Ho visto tutta questa roba e volevo vedere come potevo mescolare il mio interesse nella produzione hip-hop con l'improvvisazione, l'arrangiamento e la composizione». Un anno di lavoro a intermittenza nello studio di Paul Bryan produssero i 40 minuti di musica consentendo all'etichetta i primi guadagni. The New Breed iniziò infatti a vendere prima del disco di Makaya (che negli anni l'ha superato con 30 mila copie vendute).

Jaimie Branch

Un momento centrale sul cammino dell'etichetta è stato il disco Fly or Die della trombettista Jaimie Branch. Nata a Long Island (New York) ma trasferitasi con la famiglia a Wilmette (Chicago), quando aveva 14 anni, Jaimie suonava la tromba già dall'età di nove e ha espresso gratitudine alla Windy City per la sua eclettica formazione (jazz, punk, noise, indie rock, hip hop, electronic). Dopo il diploma al New England Conservatory di Boston e il ritorno di qualche anno a Chicago, nel 2015 s'è stabilita a New York dove ha conseguito il Master's Degree in Jazz Performance. Il suo coinvolgimento con l'International Anthem è del 2016, dopo i concerti che organizzò al Manhattan Inn di Brooklyn chiamando a esibirsi i suoi amici di Chicago. Uno di questi la vedeva guidare un quartetto con la violoncellista Tomeka Reid, il bassista Jason Ajemian e il batterista Chad Taylor. Quel progetto è stato da lei riformulato dando continuità ai temi, inciso nell'appartamento di sua sorella a Brooklyn e riassemblato con interventi di Matt Schneider alla chitarra, Ben Lamar Gay e Josh Berman alla cornetta. Pubblicato il 5 maggio 2017, è un disco d'originale impronta post-free, in equilibrio tra radiose melodie folk, momenti sperimentali, veementi improvvisazioni e quadri di austero o astratto camerismo. Un debutto tanto conciso (soli 35 minuti) quanto magistrale, con Branch superlativa negli interventi in solo, in rapporto alle austere trame del cello o alle tumultuose percussioni. Il successo di quel lavoro ha portato all'incisione —ancora superlativa nel 2018 -di Bird Dogs of Paradise con Lester St Louis al violoncello al posto di Tomeka Reid.

Il catalogo s'arricchische

Il triennio 2017-2019 vede la definitiva affermazione dell'etichetta, con le opere di giovani fantasiosi artisti. Tra gli album più significativi ricordiamo Not Living in Fear dello string trio Hear It Now; Irreversible Entanglements del quintetto omonimo e il successivo Who Sent You?; Universal Beings di Makaya McCraven; Downtown Castles Can Never Block the Sun di Ben LaMar Gay; The Oracle di Angel Bat Dawid.

Formato dalla violoncellista Tomeka Reid, dalla violinista Mazz Swift e dalla contrabbassista Silvia Bolognesi il trio Hear It Now era nato da un progetto del promoter italiano Alberto Lofoco per il WomaJazz Festival del 2009 a Salsomaggiore Terme. Inciso a Chicago in due sessioni—nel 2012 e 2014—e pubblicato nel 2017, Not Living in Fear conferma il valore della formazione, evidenziato nel debutto per la Rudi Records e in varie occasioni concertistiche: improvvisazioni caratterizzate da alto interplay e composizioni originali caratterizzano una musica in equilibrio tra free jazz e classica contemporanea e chiari legami con la tradizione musicale afro-americana.

Nello stesso anno esce l'album Irreversible Entanglements con l'omonimo collettivo impegnato ad attualizzare forme e contenuti dalla New Thing degli anni sessanta, con testi di denuncia e improvvisazioni free. Dell'ensemble fanno parte la poetessa e attivista Camae Ayewa (Moor Mother) -il sax contralto Keir Neuringer, il trombettista Aquiles Navarro, il contrabbassista Luke Stewart e il batterista Tcheser Holmes. Sono l'unione di due differenti organici incontratesi a Brooklyn a un evento del 2015 (Musicians Against Police Brutality) e unitisi sulla base dei valori condivisi. Pochi mesi dopo, in agosto, hanno registrato il master che uscirà per International Anthem: accese improvvisazioni free a supporto dei possenti versi di Camae contro razzismo e potere.

Le parole di Luke Stewart sono chiare: «Musicalmente l'idea era di riprendere gruppi come il New York Art Quartet e varie altre collaborazioni tra gruppi free e poeti. Eravamo tutti ispirati da Amiri Baraka e la sua collaborazione con il New York Art Quartet ha rappresentato un momento chiave che sentivamo necessario rivisitare». A quell'esordio sono seguiti Homeless/Global nel 2019 e Who Sent You? nel 2020.

Di Makaya McCraven ci siamo occupati a fondo su questa testata ma non possiamo sorvolare su Universal Beings, per l'importanza artistica, il successo di pubblico e il positivo riverbero su tutta l'etichetta. Quell'opera—incisa tra l'agosto 2017 e il gennaio 2018 -ha consacrato il batterista e compositore di Chicago tra le massime personalità emergenti del jazz. Un lavoro registrato con quattro differenti formazioni comprendenti Joel Ross, Tomeka Reid, Brandee Younger, Shabaka Hutchings, Nubya Garcia e Jeff Parker. Un progetto che esalta i suoi innovativi concetti produttivi: nastri di esecuzioni live di suoi gruppi remixati in post produzione, con innesti di elettronica ed elementi della Club Culture e dell'hip-hop.

Gli album Downtown Castles Can Never Block The Sun e The Oracle ci consentono di tracciare un profilo di Ben LaMar Gay e di Angel Bat Dawid, ancora poco noti al pubblico italiano del jazz. Entrambi appartengono ad una nuova schiera di visionari artisti afro-americani che fondono canto, poesia, elettronica e numerosi stili musicali (libera improvvisazione, synth-funk, hip-hop coi suoi sottogeneri, house eccetera) in forme nuove, spesso remixate in post produzione.

Ben LaMar Gay

Cornettista, polistrumentista, cantante ed eclettico compositore, LaMar Gay ha pubblicato il primo disco a suo nome a 40 anni, dopo varie esperienze effettuate a Chicago e in Brasile. Nato nel South Side di Chicago, ha studiato alla Northeastern Illinois University, ha insegnato per alcuni anni ed è entrato a far parte dell'AACM. Dal 2011 al 2013 ha vissuto in Brasile lavorando come DJ e MC (Master of Ceremonies) e collaborando con vari musicisti brasiliani. Tornato a Chicago ha svolto numerose e diversificate collaborazioni (George Lewis, Nicole Mitchell, Tomeka Reid, Jeff Parker, Coultrain, Makaya Mc Craven, Theo Parrish, Jaimie Branch) sviluppando la propria identità. "Una cosa importante—ha detto a Giovanni Russonello del New York Times—è stata quando sono riuscito a connettere the samba man and the blues man." In quegli anni ha prodotto sette album senza poterli pubblicare e dalla loro selezione è nato Downtown Castles Can Never Block the Sun. Sono quindici tracce che si diramano in ogni direzione per ricomporsi in forme imprevedibili. Un cangiante affresco sonoro da valutare nella sua interezza in una logica di flusso. Volendo restare nelle vecchie abitudini e considerare i singoli episodi, possiamo accostare "Oh No... Not Again," brano dai riconoscibili stilemi jazzistici (un tema esposto dal leader alla cornetta che sfocia in un acceso e iterativo quadro elettroacustico improvvisato) e il tradizionale "Miss Nealie Burns" (geniale e frenetica cavalcata dove il tropicalismo di Tom Zé convive con jazz tradizionale, Klezmer e altro) con l'onirico paesaggio elettroacustico di "Galveston" o gli inquietanti fondali synth in lenta espansione di "Melhor Que Tem."

A questo notevole esordio l'International Anthem ha fatto seguire alcuni dei sette album mai pubblicati del cornettista: nel 2018 l'audiobook 500 Chains; Grapes (un'eclettica collezione di beat, paesaggi sonori, registrazioni casalinghe prodotte da Gay nel 2013 e 2014) e Benjamin e Edinho, raffinato incontro vocale e strumentale col chitarrista brasiliano Edinho Gerber (un magico equilibrio Nord/Sud con le influenze di Charles Stepney e Moacir Santos). Nel 2019 sono stati pubblicati Confetti in the Sky Like Fireworks (densi paesaggi sonori elettronici concepiti come musiche da film) e le sperimentali creazioni di East of the Ryan realizzate nel 2014. Se Scott McNiece non avesse integrato l'etichetta nella comunità musicale di Chicago (We try not to be cronyist about the musicians we work with. We're trying to build a community starting with a foundation and growing from the foundation) sia LaMar Gay che Angel Bat Dawid avrebbero avuto maggiore difficoltà a trovare uno sbocco internazionale.

Angel Bat Dawid

Pubblicato nel febbraio 2019, The Oracle della Bat Dawid, ha rappresentato il debutto d'avanguardia più insolito e sorprendente del decennio. Nata Angel Elmore (il nome d'arte Bat Dawid significa "Figlia di Davide" in ebraico) la clarinettista, tastierista, cantante e compositrice di Chicago ha iniziato a occuparsi di musica a tempo pieno nel 2014, riuscendo in pochi anni ad assumere un ruolo di rilievo nella comunità jazzistica del South Side. Dopo aver partecipato alle jam session del Sonic Healing Ministries del sassofonista David Boykin, ha fondato il collettivo Partecipatory Music Coalition con musicisti che entreranno nella sua band "Tha Brothahood" : Adam Zanolini al basso, Xristian Espinoza al sax tenore, Norman W. Long ai dispositivi elettronici, Isaiah Collier alla batteria, Deacon Otis Cooke e Viktor Le Givens, voce.

The Oracle è un lavoro realizzato interamente da lei, registrando sul cellulare con un'app che le ha permesso di sovraincidere fino a sette tracce usando clarinetto, pianoforte, percussioni e voce, più samples e frammenti d'ambiente registrati durante i suoi viaggi, da Londra a Cape Town. L'unico altro musicista partecipante è il batterista sudafricano Asher Simiso Gamedze, nel brano "Capetown." Angel ha poi mixato il tutto in un piccolo studio della Radcliffe W. Hunter House della Saint Thomas Episcopal Curch. In gran parte del disco si respira un clima di forte spiritualità, incarnato in dolci melodie di sapore gospel e testi poetici cantati o declamati con forte partecipazione emotiva (vedi il conclusivo "Oracle"), su fondali di tastiere e contrappunti di clarinetto. La libera improvvisazione è circoscritta in "Impepho" (sovraincisioni di clarinetti) e nella lunga e veemente performance del citato "Capetown."

«The Oracle ha rappresentato una marca temporale che non può più essere ricreata. Anche quando l'eseguo con la mia band "Tha Brothahood" —ha detto l'artista a Cisco Bradley -i brani vanno in tutt'altra direzione, cosa che amo molto. Passando da me che suono tutti gli strumenti alla band di sette elementi, la musica assume tutt'altra dimensione. (...) Una delle ragioni per cui ho usato il mio telefono per registrare Oracle era perché più conveniente a esprimere le mie idee compositive». La cantante e clarinettista ha inciso sempre nel 2019 il mini LP Transition East e Angel Bat Dawid & Brothahood Live entrambi pubblicati nel 2020. Quest'ultimo è stato ripreso quasi per intero a Berlino ma la prima traccia risale al 2018 e la vede al SAE Institute di Chicago interpretare con veemenza la celebre "Enlightenment" di Sun Ra.

Junius Paul

L'ultima gemma discografica che abbiamo scelto è Ism, il debutto di Junius Paul, presenza centrale nei gruppi di Makaya McCraven e Marquis Hill. Il bassista è maturato nelle jam session del Velvet Lounge -il locale del compianto Fred Anderson-è entrato a far parte dell'AACM fino a diventare membro dell'Art Ensemble Of Chicago nel 2017. Queste credenziali non potevano sfuggire a Scottie McKenzie che su consiglio di Makaya l'ha sollecitato a progettare un disco. Per la stesura Junius ha impiegato tre anni, registrando con un cast di 15 musicisti in otto sessioni. Tra questi Makaya McCraven, Marquis Hill, Tomeka Reid, Justin Dillard, Tomeka Reid. Diciassette brani che realizzano una fotografia delle varie espressioni musicali presenti a Chicago e delle preferenze stilistiche dell'autore: troviamo molti brani (sia live che in studio) di taglio jazzistico e dai chiari riferimenti al free jazz, al Miles Davis elettrico, a Sun Ra e Gil Evans più patterns musicali di soul music, hip hop ed elaborazioni elettroacustiche realizzate con McCraven e Hill. Le linee dense e pulsanti del suo basso sono la spina dorsale di molti brani e spesso li caratterizzano: si veda il lungo assolo di "Asé" o il drive contagioso degli undici minuti di "Paris." Con l'ancor più lungo "Spocky Chainsey Has Re-Emerged" rappresentano il fulcro di un disco esemplare per sintesi tra modernità e tradizione musicale afroamericana.

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