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Tornano i tesori della Xanadu

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Proseguono le riedizioni dei dischi della Xanadu grazie all'accordo tra Zev Feldman e Jordi Soley di Elemental Music e la società The Orchard, attuale proprietaria dell'etichetta fondata da Don Schlitten. Dopo un primo assaggio di sei dischi uscito qualche mese fa, il nuovo capitolo della Master Edition Series è corposo e ci dà l'occasione per rievocare quelle magiche session e l'attività del suo fondatore.
In questa prima parte abbiamo raggruppato otto pregevoli album di sassofonisti, nella seconda ci occuperemo di incisioni guidate da pianisti e chitarristi.

Da tre decenni i dischi Xanadu erano spariti dalla circolazione, vista l'ostilità di Don Schlitten per i compact disc e il persistente rifiuto di convertire la produzione in vinile nel nuovo formato ("Non mi piace il suono del CD—diceva -lo trovo sgradevole (...) Così ho resistito fin quando ho potuto."). L'acquisizione del catalogo da parte della società The Orchard ha consentito un primo programma di riedizioni, che ora presenta splendide opere degli anni settanta.
Specializzata in be-bop e hard bop, la Xanadu ha raccolto in un decennio un catalogo di oltre 200 album comprendente lavori di Teddy Edwards, Barry Harris, Kenny Drew, Sonny Criss, Jimmy Raney, Ronnie Cuber, Bob Berg, Charles McPherson e altri maestri. Accanto alla Silver Series dedicata alle incisioni originali ne esisteva una seconda (la Gold Series) specializzata nel ripubblicare classici degli anni trenta e quaranta, prevalentemente boppers.

Don Schlitten, che varò l'etichetta nel 1975, era un produttore attivo già da vent'anni nel jazz, prima con la propria label Signal (poi venduta alla Savoy) e poi da freelance con Prestige, Muse e Onyx. Il nome Xanadu deriva dal poema "Kubla Khan" di Samuel Coleridge e indicava il luogo magico della memoria letteraria. Tra i molti artisti che hanno ripreso quel nome c'è il regista Orson Welles nel film "Quarto Potere." Xanadu era il mausoleo di Citizen Kane, il luogo in cui il magnate raccoglieva tesori d'arte di tutto il mondo. Un nome legato alla conservazione della bellezza artistica, dunque, che ha ispirato Schlitten nel suo intento di raccogliere il meglio del bop di quegli anni.
I dischi Xanadu restano famosi per la cura rivolta a ogni fase della produzione: dagli aspetti musicali alla fedeltà sonora, dall'editing in bianco e nero delle copertine alle note di presentazione. Un'attenzione che Schlitten poneva in primo luogo nei rapporti con i musicisti in sala di registrazione e col tecnico del suono.

Sonny Criss
Saturday Morning
2016
Valutazione: * * * * ½

Il primo sassofonista a incidere da leader per l'etichetta, il 1° marzo 1975, fu Sonny Criss in quartetto con Barry Harris al pianoforte, Leroy Vinnegar al contrabbasso e Lenny McBrowne alla batteria. Schlitten lo conosceva fin dal 1966, quando produceva i suoi album per la Prestige. Il sassofonista gli telefonò dalla California dichiarandosi pronto a registrare e il produttore organizzò velocemente una session, volando sulla West Coast. La fortuita presenza a Los Angeles di Barry Harris suggerì una partnership che non aveva potuto realizzare negli anni trascorsi alla Prestige. Il disco sancì il nuovo ritorno sulla scena musicale di un'esistenza travagliata. Fu purtroppo anche l'ultimo: Criss si uccise nel 1977 a 50 anni, dopo la notizia d'aver contratto un male incurabile.

Se Sonny Stitt era il massimo sassofonista d'impronta parkeriana nell'area di New York, Criss lo fu nella West Coast ma in Saturday Morning svela anche i suoi tratti personali. Eccetto il conclusivo "Confusion" (un bonus aggiunto in quest'edizione) il disco lo vede interpretare ballad o brani a tempo lento, in cui evidenzia la vena lirica, la dolcezza timbrica e l'intensità blues tipica dei sax contralto degli anni trenta. Il problema personale di Criss era la dipendenza da alcool, da cui non riuscì mai a liberarsi. "Anche in questa session —ricorda Schlitten-sgattaiolava fuori dallo studio per bere da una scorta che teneva in auto." A dispetto di ciò il disco è magnifico.

Charles McPherson
Beautiful!
2016
Valutazione: * * * * ½

Nell'agosto 1975, preceduta da una session di Al Cohn (Play It Now), Schlitten chiamò a incidere un altro "parkeriano" che aveva prodotto alla Prestige: Charles McPherson. La lunga collaborazione nei gruppi di Charles Mingus s'era conclusa l'anno prima e il sassofonista operava come freelance. Il produttore confermò Duke Jordan al pianoforte, il noto partner di Parker nei dischi Dial che attraversava un periodo sfortunato (suonava sporadicamente e da 5 anni si manteneva guidando un taxi), e chiamò Sam Jones al contrabbasso e Leroy Williams alla batteria. Appena uscito dal furore mingusiano, McPherson affronta un repertorio di standard con molte ballad, con assoli caratterizzati da un eloquio suadente e ricco di sfumature. La riflessiva profondità armonica di Jordan, la limpidezza melodica dei suoi assoli ("Body and Soul," "But Beautiful"), portano l'incisione a livelli esemplari.

Charles McPherson
Live in Tokyo
2016
Valutazione: * * * ½

Nell'aprile 1976, la Xanadu promosse un tour in Giappone di McPherson e altri artisti, ricavandone tre dischi live: il quintetto del sassofonista e due trii guidati da Jimmy Raney e Barry Harris con la ritmica del quintetto (che tratteremo nella seconda parte di quest'articolo).
Registrato nell'ampia sala da concerti dell'hotel Nakano Sun Plaza, McPherson e i suoi presentano un programma variopinto, che spazia da classici del bop come "Bouncing with Bud" e "Groovin'High" a "Desafinado," un blues e un paio di liriche ballad. Tutto si snoda coniugando magistero tecnico e poesia.

Teddy Edwards
The Inimitable
2016
Valutazione: * * * ½

Sempre attento ai maestri del bop meno in vista, Schlitten chiamò a New York nel giugno '76 Teddy Edwards, che abitualmente risiedeva in California. La continua lontananza da New York svantaggiò il sassofonista in termini di notorietà anche se registrò dischi epici accanto a Dexter Gordon e nel quintetto di Clifford Brown e Max Roach. Fu il primo sax tenore a essere influenzato da Charlie Parker piuttosto che da Lester Young o Coleman Hawkins e il suo eloquio anticipò Rollins. Negli anni ottanta trovò finalmente il successo collaborando con Tom Waits e altri cantanti ma nella metà dei settanta era in piuttosto in ombra. Per la session fu confermato il pianista Duke Jordan mentre al contrabbasso vennero Larry Ridley e alla batteria Freddie Waits.

Il disco è ancora una volta impeccabile. Si apre col memorabile "Sunset Eyes" (la composizione che Edwards scrisse per il quintetto di Brown e Roach del '54) e si chiude col sassofonista in un'audace e solitaria introduzione improvvisata di "Stella by Starlight." Gli altri brani sono eccellenti esempi di un bop d'alta classe, con Edwards e Jordan che s'impongono per eleganza melodica ed espressività. Tra i brani più ispirati c'è la ballad "Imagination."

Ronnie Cuber
Cuber Libre
2016
Valutazione: * * * *

Due mesi dopo, il 20 agosto, fu la volta di Ronnie Cuber. All'età di 35 anni il baritonista non aveva ancora un disco a suo nome ma s'era fatto una solida esperienza con Slide Hampton, George Benson, Woody Herman, Eddie Palmieri e altri. Il critico Ira Gitler l'aveva notato da tempo e gli consigliò di contattare Don Schlitten. "Non sono il tipo a cui piace chiamare qualcuno per registrare un disco —ha ricordato anni fa Cuber sulle pagine di Down Beat—ma talvolta capita di aspettare troppo a lungo, quindi telefonai a Don e fummo d'accordo di registrare con la sezione ritmica scelta da lui. Fui comunque felice di suonare con Barry Harris, Sam Jones e Albert Heath nel mio primo album. Non avevo composizioni originali ma preparai una lista di brani che pensavo ognuno conoscesse, ci trovammo nello studio e iniziammo a suonare."

In questo disco è ancora marcata l'influenza di Pepper Adams sullo stile di Cuber ed i brani sono entusiasmanti. Già dalle prime note il sassofonista si presenta come un solista prodigioso: dotato di un timbro scuro in fraseggi spigolosi e ritmicamente serrati, dalla logica stringente. In questo senso sono esemplari i primi due temi, "Star Eyes" e "Rifftide" ma Cuber sa essere avvincente anche nel latino "Tin Tin Deo" e nella ballad "Misty." Conclude "Prince Albert," un bel percorso swingante, basato sulle progressione armonica di "All The Things You Are."

Al Cohn, Dexter Gordon, Barry Harris, Louis Hayes, Sam Jones, Blue Mitchell, Sam Noto
True Blue/Silver Blue
2016
Valutazione: * * *

Questa lunga session esce correttamente in un doppio CD ma alla sua prima pubblicazione era divisa in due differenti LP. Protagonisti sono Dexter Gordon e Al Cohn, sax tenori partiti come eredi di Lester Young che svilupparono poi stili personali.
Il motivo dell'incisione venne dalla presenza a New York di Gordon, dopo 14 anni di permanenza in Europa. Il sassofonista era occasionalmente tornato negli Stati Uniti ma mai a New York e il suo ingaggio al club Storyville suscitò entusiasmo tra critici e appassionati. Il ritorno in patria coincise con la riscoperta del be-bop e dei suoi protagonisti, dovuta anche ai dischi Xanadu.

Don Schlitten organizzò subito un'incisione in forma di blowin' session con Al Cohn—con cui Dexter non aveva mai registrato —Blue Mitchell e Sam Noto alle trombe e la sezione ritmica con Barry Harris, Sam Jones e Louis Hayes. La registrazione si sviluppò dunque in sei lunghi brani dove tutti ebbero spazio per sviluppare i loro assoli, in un clima saldamente ancorato alla tradizione boppistica, ricco di groove e fervore.

Bob Berg
New Birth
2016
Valutazione: * * * *

Il 12 maggio 1978 Bob Berg incise il suo prorompente debutto da leader a capo di un sestetto stellare comprendente Tom Harrell alla tromba, Cedar Walton al pianoforte, Mike Richmond al contrabbasso, Al Foster alla batteria e Sammy Figueroa alle percussioni.
Con i suoi 27 anni Berg era il più giovane del gruppo ma aveva già svolto significative esperienze, alcune delle quali condivise con Harrell e con Walton. Quest'ultimo lo aveva voluto nell'incisione Easter Rebellion II mentre era stato partner del trombettista nel quintetto e nell'orchestra di Horace Silver.

Il disco svela da subito, nel brano "You're My Thrill," gli influssi latini che Berg aveva assimilato nella recente scrittura con Tito Puente e che si ripropongono più o meno intensamente nel percorso musicale. Tutto si snoda all'insegna di un hard-bop ritmicamente estroverso e timbricamente brillante, con l'accattivante contrasto tra la viscerale passionalià del sassofonista e l'incedere elegante di Harrell. Il disco si chiude con un raffinato bonus track ("I'll Let You Know") di Cedar Walton in solo.

Cecil Payne, Duke Jordan
Brooklyn Brothers
2016
Valutazione: * * * ½

Ultimo album di cui ci occupiamo è una produzione di Don Schlitten realizzata il 16 marzo 1973, quando ancora collaborava con l'etichetta Muse. Protagonisti erano Cecil Payne e Duke Jordan, un sassofonista baritono e un pianista che condividevano una lunga partnership ma non incidevano assieme da oltre un decennio. S'erano entrambi formati coi maestri del be-bop nella seconda metà dei Quaranta (Jordan era nel quintetto di Charlie Parker e Payne nell'orchestra di Dizzy Gillespie) e nel decennio seguente vennero scritturati da Schlitten nella piccola label Signal. Ancora una volta vecchie conoscenze, dunque, e collaudate relazioni.

L'album è come sempre impeccabile. Un modern mainstream che si sviluppa attraverso brani originali di Payne e Jordan (uno dei quali il famoso "Jordu") e un paio di note ballad eseguite in trio con Sam Jones al contrabbasso e Al Foster alla batteria. "I Should Care" Jordan conferma d'essere un magnifico melodista, dal raffinato gusto armonico; in "I Want To Talk About You" Payne colpisce per la profondità del timbro e l'eloquio raffinato. Il resto del disco si sviluppa con variopinta inventiva con escursioni del sassofonista al flauto ("Cerupa"), reminiscenze afro-cubane (Cu-ba") e serrati temi bop ("Egg Head").

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