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Joe Lovano: da New York a Bergamo

Joe Lovano: da New York a Bergamo

Courtesy Federico Buscarino

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Joe Lovano è di casa in Italia. Non so quanto in questo possa influire l'origine siciliana della sua famiglia; penso che la ragione sia da ricercare piuttosto, oltre che nell'estroversa giovialità del carattere, nella sua vocazione di globetrotter che lo ha portato in ogni angolo del mondo con le più svariate formazioni, sue o di altri leader.

In una delle sue prime apparizioni italiane, nel novembre 1990, partecipò a Jazz'n Fall di Pescara come membro del quartetto di John Scofield. In quella occasione, l'allora trentasettenne sassofonista, già ben noto soprattutto per la sua collaborazione ormai decennale al fianco di Paul Motian, si mise in evidenza per la grande ricchezza di idee e di accenti espressivi. Va ricordato, per inciso, che quella prima edizione del festival autunnale pescarese fu memorabile: oltre al Prime Time di Ornette Coleman e a Sonny Rollins, schierava infatti il Very Very Circus di Henry Threadgill e il nuovo sestetto di Tim Berne... si poteva pensare di meglio all'epoca?

Da allora penso che non ci sia stato un importante festival italiano che non abbia beneficiato della sua presenza, fino ad arrivare all'attuale felice contingenza che, dopo la sua acclamata partecipazione all'ultimo Umbria Jazz Winter ad Orvieto, lo vedrà fra poche settimane prendere parte a Bergamo Jazz, in veste però di direttore artistico. Nell'intervista che il sassofonista ci ha concesso tocchiamo appunto alcuni dei temi che caratterizzano la sua attività recente, senza dimenticare indispensabili aspetti biografici, per poi anticipare i principali dei suoi prossimi appuntamenti.

All About Jazz: Hai da poco concluso la partecipazione a Umbria Jazz Winter, dove hai collaborato con l'Umbria Jazz Orchestra, sotto la direzione e gli arrangiamenti di Michael Gibbs, oltre alla preziosa presenza di Steve Wilson, Peter Washington e Lewis Nash. Come valuti quell'esperienza e quei concerti (secondo me esaltanti)?

Joe Lovano: Avere l'opportunità di essere artista in residenza alla 30° edizione di Umbria Jazz Winter a Orvieto è stata un'emozione, un'esperienza gioiosa e fortemente motivante. Collaborare con l'Orchestra Umbria Jazz e con il Maestro Michael Gibbs è stato un onore. Michael ed io abbiamo trascorso diversi mesi a mettere insieme il repertorio, concentrandoci sui compositori da scegliere: Duke Ellington, Billie Holiday, Wayne Shorter e Carla Bley, nonché sui nostri original, miei e di Michael. Lewis Nash, Peter Washington, Steve Wilson ed io abbiamo inoltre una lunga e profonda storia per aver suonato insieme in vari tipi di contesti nel corso degli anni. Averli in scena ad Orvieto è stata davvero la ciliegina sulla torta. L'ensemble si è rivelato all'altezza della situazione e abbiamo trascorso quattro serate creative e potenti con della musica meravigliosa. Fra l'altro in quei giorni abbiamo celebrato il mio compleanno e quello di Lewis, oltre a festeggiare l'arrivo del nuovo anno.

AAJ: Fra poco si aprirà il Bergamo Jazz Festival, del quale sei stato nominato direttore artistico. Quali ragioni ti hanno spinto ad accettare l'incarico?

JL: Nel corso degli anni, tutte le volte che sono stato invitato non vedevo l'ora di suonare al Bergamo Jazz Festival, uno dei festival più trendy che ci siano. Quando mi è stato chiesto di diventarne direttore artistico sono stato entusiasta di accettare la sfida e non vedo l'ora di presentare un po' della musica più attuale del momento.

AAJ: Fra l'altro il festival si apre il 20 marzo con un appuntamento importante: il recente film Lovano Supreme, che Franco Maresco ha girato su di te in Sicilia. Come hai affrontato questa esperienza anomala? Che legame conservi con la Sicilia?

JL: Sono felicissimo ed entusiasta del film che Franco Maresco ha girato sulla mia vita, facendone il focus di un viaggio più complesso attraverso la storia del jazz in America, la vita di John Coltrane e le composizioni dedicate all'amore. Tutto s'intreccia: il movimento per i diritti civili, il contributo dei siculo-americani alla musica di New Orleans, l'arrivo dei miei nonni negli Stati Uniti all'inizio del Novecento... Le famiglie Lovano/Faraci di Alcara Li Fusi e le famiglie Verzi/Saranetti di Cesarò (paesi al limitare Nord e Sud del Parco dei Nebrodi n.d.a) costituiscono le mie profonde radici familiari e mi rendono quello che sono oggi.

AAJ: Quali sono state le difficoltà maggiori nel concepire e realizzare il programma? Che tipo di collaborazione hai avuto con gli organizzatori del festival?

JL: La disponibilità dei gruppi rappresenta l'ostacolo principale nella predisposizione del programma. Sono contento di come si sono sviluppate le cose per la programmazione di quest'anno. È stato bellissimo lavorare con tutte le persone di Bergamo Jazz per fare sì che tutto questo si potesse realizzare. Sono i partner migliori...

AAJ: Tu hai già partecipato a Bergamo Jazz come performer, esattamente sei volte fra il 1991 e il 2016, con partner sempre diversi. Che ricordo hai del Teatro Donizetti e, in particolare, cosa ci puoi dire della tua pluridecennale amicizia e collaborazione con Paul Motian, con cui hai suonato anche a Bergamo?

JL: Per me, jazzista in tournée internazionali dalla metà degli anni Settanta, il Teatro Donizetti si distingue come uno spazio particolarmente spirituale e sacro per creare musica. La mia relazione con Paul Motion dal 1981 al 2011, anno della sua scomparsa, è ben documentata su disco come nella partecipazione ai festival più importanti. Direi che fra noi è stato amore pieno, espressione autentica e proiezioni di cose a venire...

AAJ: In passato hai già diretto altri festival o rassegne jazz? Dove e quando?

JL: Sì, nel corso degli anni sono stato residente e direttore artistico di numerosi altri festival jazz. Vale a dire, in estrema sintesi, i concerti nei fine settimana del Caramoor Summer Music Festival a Katonah NY, nel periodo 2003-2008, la programmazione della Knitting Factory, il Jazz Middelheim ad Anversa in Belgio, il SFJazz a San Francisco, il Tri-C JazzFest Cleveland, Ohio...

AAJ: Per la ECM hai inciso anche il CD Roma assieme a Enrico Rava, che è stato anche lui direttore artistico di Bergamo Jazz in passato. Che ricordo hai di quell'incontro e della personalità di Rava? Avete suonato insieme anche dal vivo?

JL: Enrico Rava ed io abbiamo una lunga storia insieme che risale a quando ci siamo incontrati per la prima volta nel 1983, quando io ero membro della band di Carla Bley. Roma, pubblicato dalla ECM nel 2019, è stata la nostra prima registrazione insieme, catturata dal vivo durante il tour del 2018. Enrico è uno dei miei musicisti preferiti di tutti i tempi. Sento il suo amore e la sua passione in ogni nota che suona; in futuro spero di poter condividere il palco con lui sempre di più.

AAJ: Nel tuo sito, affermi di usare dal 1999 i sax Borgani, fabbricati con grande cura a Macerata. Come hai conosciuto questa ditta italiana? Quali pregi riscontri in questi sax?

JL: Sono cresciuto suonando i sassofoni Selmer, Conn, Beusher e King che riutilizzo di tanto in tanto. Nel 1999 ho incontrato per la prima volta Orfeo Borgani ed è iniziato il nostro rapporto che continua tuttora. Da allora suono i sassofoni Borgani e ho avuto la possibilità di ottenere un modello esclusivo con corpo in argento spazzolato e tasti dorati. Adoro la sua ricchezza di suono, scuro e brillante al tempo stesso. Quasi tutto il mio catalogo di registrazioni su dischi Blue Note ed ECM ha catturato la mia espressività su un sassofono Borgani.

AAJ: Dopo la tua esperienza ad Orvieto quali sono stati i tuoi concerti più importanti fino ad oggi?

JL: Dopo Orvieto l'inizio del 2024 è stato ricco di momenti musicali creativi: una performance al Winter Jazzfest di New York in duo con Shabaka Hutchings, che era artista residente; due rappresentazioni di "A Raft, The Sky, The Wild Sea," concerto per sassofono solista e orchestra scritto per me dal compositore Douglas Cuomo, assieme all'orchestra sinfonica di Winston-Salem, nella Carolina del Nord; l'interpretazione di "Seven Limbs," un altro brano di Douglas Cuomo, per GatherNYC con l'Overlook String Quartet. Poi mi sono trasferito a Boston per la prima delle mie quattro residenze al Berklee College of Music all'interno del Berklee Global Jazz Institute. Infine segnalo l'ingaggio al Village Vanguard alla fine di febbraio con la prima del mio nuovo Paramount Quartet, completato da Julian Lage, Santi Debriano e Will Calhoun.

AAJ: Subito dopo Bergamo tornerai negli USA, dove terrai un concerto assieme a Ravi Coltrane in omaggio a Pharoah Sanders. Cosa ci puoi dire di questo appuntamento? Che ricordo personale hai di Sanders?

JL: Sono cresciuto ascoltando Pharoah Sanders assieme a John Coltrane nei dischi della collezione di mio padre; questa è stata la mia introduzione al suo suono e al suo spirito. Ascoltarlo e incontrarlo alcuni anni dopo al Village Vanguard mi ha cambiato la vita... Sono sicuro che sarà un tributo emozionante suonare in concerto al prestigioso SFJazz di San Francisco con Ravi Coltrane per celebrare il suo spirito.

AAJ: In seguito in aprile avrai un lungo tour con il tuo Trio Tapestry, che attualmente è una delle tue formazioni più longeve e collaudate, con alcuni CD all'attivo. Cosa ci racconti sul suo repertorio e sull'interplay al suo interno?

JL: Il Trio Tapestry rappresenta un concetto, un approccio al dialogo spontaneo e alla comunicazione all'interno della musica che esploriamo assieme. Marilyn Crispell, Carmen Castaldi ed io usiamo le mie composizioni come veicolo di un'espressione fluente, come possibilità di tessere un trama integrata...

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