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Corrado Beldì il poliedrico: su NovaraJazz e non solo

Corrado Beldì il poliedrico: su NovaraJazz e non solo

Courtesy Emanuele Meschini

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Dopo aver partecipato a NovaraJazz per un paio di giorni nel 2008 e nel 2011, ho incontrato di nuovo il suo direttore artistico Corrado Beldì al Talos Festival di Ruvo di Puglia nel 2014, quando di scena era l'Instant Composers Pool. Mi trovai di fronte un quarantenne giovanile, estroverso, sempre pronto a una risata contagiosa e alla compagnia. Nel 2018 fu scelto per subentrare a Gianni Pini alla presidenza di I—Jazz, l'associazione che raccoglie la maggior parte dei festival italiani. Più avanti, venni casualmente a sapere che il novarese Beldì ricopriva anche altre cariche prestigiose in ambiti del tutto diversi: vicepresidente di Confindustria Emilia-Romagna, socio e presidente di uno stabilimento di produzione di argilla espansa e premiscelati per l'edilizia, oltre alla partecipazione ad altri comitati, gruppi di lavoro, commissioni...

Ma non è tutto... Più recentemente, una mattina di febbraio, ascoltando Pagina Tre su Radio 3 con sorpresa apprendo che, sempre lui, è l'autore di un articolo su Il Foglio riguardante il recupero urbanistico di un quartiere milanese. Da quel momento non ho potuto fare a meno di avviare ulteriori ricerche; ho scoperto così la sua copiosa e poliedrica attività di giornalista/autore sulle testate più disparate su carta e on line: oltre a Il Foglio, Zero, Boxe Ring, Rolling Stone, Vogue Italia... Per lo più articoli di costume e di cultura nel senso più largo del termine, caratterizzati da una verve sfrenata, uno stile incalzante, un'inventiva e un tono ironico da far invidia a qualsiasi scrittore.

Intervistare un tale personaggio, "un giovane rampante" si sarebbe detto in altri tempi, oltre che mosso da invidiosa ammirazione mi fa sentire un po' a disagio, ma pieno di curiosità che poco alla volta vengono soddisfatte dalle sue risposte sintetiche e taglienti. Ovviamente si è parlato tanto di jazz, della prossima edizione di NovaraJazz, che si svolgerà dal 3 al 13 giugno, ma di molto altro ancora!

All About Jazz: Come riesci a conciliare tante attività diverse... tutte ad alti livelli professionali?

Corrado Beldì: Cerco di fare le cose che mi interessano davvero. Credo che l'amore per le arti sia molto utile al mio lavoro di imprenditore, così come lo spirito organizzativo possa giovare alle attività musicali di cui mi occupo. Il desiderio di restituzione ovvero quell'inutile ambizione di conquistarsi il paradiso in terra, fa il resto.

AAJ: Oltre a questi ambiti professionali, rivelaci quale è la tua vera passione.

CB: La mia più grande passione è la scrittura. Peccato mi manchi il tempo per scrivere quanto vorrei. Tutta colpa di una vita troppo intensa. Eppure, se non facessi nulla, non avrei di che scrivere.

AAJ: Pratichi sport?

CB: Pratico il pugilato e talvolta la corsa, senza ostacoli. Ho avuto passioni intense ma passeggere per calcio, golf, tennis, judo, sci nautico e alpino e poi anche per il tiro con l'arco, lo snowboard, il telemark, la pesca a mosca e altre discipline che ho finito per dimenticare.

AAJ: Quanto ti dedichi alla lettura? Quando e cosa leggi?

CB: Vivo da venticinque anni senza televisione; leggo soprattutto la sera, meno di quanto vorrei. Saggi sull'arte di ogni tempo e romanzi del Novecento. Quotidiani economici, riviste di architettura, inserti culturali, retro dei dischi, poesie...

AAJ: Quali sono oggi gli obiettivi dell'Associazione I-Jazz?

CB: Far crescere il sistema dei festival attraverso progetti di rete, aumentare le risorse a disposizione dei soci, offrire piani di formazione per tutti, sviluppare la produzione di nuovi progetti, aiutare i musicisti italiani a varcare i confini, dare maggiore attenzione ai temi sociali e ambientali.

AAJ: Quali sono i problemi principali che si trova ad affrontare?

CB: Sono i problemi del sistema paese: scarsa innovazione, posizioni ingessate, conflittualità, burocrazia, una resistenza diffusa alle pari opportunità.

AAJ: Come superarli?

CB: Andando oltre il limite, come quando abbiamo portato la European Jazz Conference a Novara: oltre duecento operatori da tutto il mondo, finalmente uno showcase italiano, un momento epocale.

AAJ: Ci puoi tracciare una sintetica storia di NovaraJazz?

CB: Mi invitano a parlare di Uri Caine e incontro Riccardo Cigolotti [a sinistra nella foto in apertura dell'articolo], architetto e appassionato che aveva invitato Butch Morris a Novara. Dopo due giorni ci diciamo "perché non facciamo un festival?." Lui appassionato di musica nera, io di musica europea, entrambi poco inclini a lavorare con artisti conosciuti. Non abbiamo niente da perdere. Ci diverte invitare a Novara musicisti che non potremmo ascoltare altrove.

AAJ: Il festival previlegia ambiti estetici specifici?

BC: Accanto al free jazz nero-americano ed europeo, entrambi amiamo i progetti orchestrali, il funky, l'afrobeat, le brass band, i pianisti sperimentali, l'Olanda, gli inviti fatti dopo aver ascoltato un artista, per la prima volta, non più di cinque minuti.

AAJ: Momenti da ricordare?

CB: Tanti! La conduction di Butch, Michael Nyman in duo con Evan Parker, la prima europea dell'Hypnotic Brass Ensemble e quella italiana di Mulatu Astatke e Ebo Taylor. L'ultima apparizione del Willem Breuker Kollektief. Il concerto della "nostra" European Orchestra di Wayne Horvitz in diretta sulla BBC. Enrico Rava e Louis Moholo-Moholo di nuovo insieme. Il ritorno dell'Instabile, dopo una residenza tra le risaie e poi quella volta che ho dovuto dire a Peter Brötzmann che Ornette se n'era andato, a cui il suo "Lonely Woman" ha fatto seguito quella sera sul palco dell'Auditorium Cantelli. E ancora una sera con Stan Tracey; ...mille aneddoti e serate con lo staff che ogni giorno costruisce questa nostra piccola grande realtà.

AAJ: Nel periodo pre-Covid come si articolava il festival nell'arco dell'anno?

CB: Tre settimane di festival tra maggio e giugno, una residenza nel Parco del Ticino curata da Enrico Bettinello, due settimane di concerti in città, fuori dei luoghi deputati. Musica nella natura e nelle architetture; qualche vecchio maestro, molti giovani anche italiani. Poi si aggiungono una stagione invernale a teatro, i concerti di Opificio Jazz Club ogni giovedì sera e gli aperitivi in jazz al Teatro Coccia, oltre ai laboratori per bambini e alle attività sociali.

AAJ: Quale era la composizione e la risposta del pubblico prima del Covid?

CB: Nei teatri un pubblico più maturo e appassionato, fuori dei teatri un pubblico più vario, interessato anche ai luoghi e alla scoperta. Molti giovani nelle serate clou del festival, soprattutto se legate a dj set o feste universitarie.

AAJ: ...E quale era la situazione economica per quanto riguarda le entrate (finanziamenti pubblici, sponsor privati, entrate da vendita biglietti)?

CB: Regione Piemonte, Mibact e Comune fanno il 45% dei nostri ricavi, il resto viene da sponsor, prevalentemente locali, e da bandi di fondazioni bancarie. Sono ancora troppo bassi i ricavi da biglietteria, ...forse perché siamo troppo radicali. La sfida dei prossimi anni sarà costruire un gruppo di amici del festival pronti a sostenere, con diversi profili, le nostre attività musicali e sociali.

AAJ: Dalla primavera 2020 cosa ha comportato per il festival la condizione pandemica in cui ci troviamo tutti coinvolti?

CB: Il festival 2020 è stato rimandato al 2021, ma abbiamo rimediato con una nuova programmazione estiva al servizio dei cittadini, con un nuovo festival multidisciplinare, NU Arts & Community, e una serie di concerti in streaming ripresi dalla nostra squadra di tecnici, grazie all'acquisto di nuove attrezzature.

AAJ: È possibile che questa emergenza comporti delle modifiche irreversibili nell'organizzazione e nella fruizione della musica dal vivo anche per gli anni futuri?

CB: L'esperienza della musica dal vivo non è sostituibile, soprattutto per chi crede nel valore della performance al di fuori dei luoghi deputati. Credo tuttavia che lo streaming apra nuove opportunità anche per noi.

AAJ: State pensando anche ad attività non musicali?

CB: Due nuovi progetti fotografici dedicati a Pietro Bandini e Umberto Germinale, oltre alle attività per bambini, anziani, categorie fragili e concerti in carcere.

AAJ: Quali scelte caratterizzano l'edizione 2021 che sta per cominciare?

CB: Ripartiamo con due residenze creative, un progetto italo—polacco e la produzione della nuova European Galactic Orchestra di Gabriele Mitelli, insieme a qualche solo da non perdere: Ernst Reijseger sotto la vertiginosa cupola di San Gaudenzio, Alexander Hawkins, John Edwards, lo splendido lavoro di Giancarlo Nino Locatelli su Steve Lacy. Inoltre un progetto di Silvia Bolognesi col nostro "artist in residence" Sabir Mateen e tante attività laboratoriali per i bambini, cui si aggiunge un programma supplementare al Sacro Monte di Varallo.

AAJ: Ci sono produzioni originali? Ci puoi fare qualche altro nome?

CB: LLovage e O-Janà, insieme per un nuovo progetto creativo, e la EGO di Mitelli sono produzioni originali. Si aggiungono, in questo strano 2021, NovaraJazz Collective con un repertorio rinnovato e la produzione musica danza che coinvolge Rosa Brunello e Siro Guglielmi. Per ora, stante le condizioni al contorno, preferisco non annunciare altro ma di certo da settembre ripartiremo con grande intensità.

AAJ: Quali le difficoltà per inserire in calendario musicisti stranieri con il dovuto anticipo e una sufficiente garanzia della loro presenza?

CB: Nessuna difficoltà, se dovremo annullare annulleremo, chiederemo il rimborso dei voli e troveremo un'alternativa. Fa parte del gioco.

AAJ: Sono previsti concerti all'aperto e/o al chiuso? Quali sono le riduzioni di capienza massima in base alle imposizioni del decreto ministeriale?

CB: Tutti i concerti saranno all'aperto, con backup (o annullamento) in caso di pioggia. Capienze molto ridotte, da un minimo di 45 a un massimo di 100 posti. Gli ingressi saranno a pagamento, ma a un costo simbolico: 5 euro con sconti per gli amici di NovaraJazz.

AAJ: Per NovaraJazz la diffusione nel territorio è un obiettivo qualificante e irrinunciabile?

CB: Non potremmo mai rinunciare ai concerti tra i boschi, nelle vigne, nei luoghi d'interesse storico, negli edifici religiosi e civili... Fanno parte del nostro modo di concepire la musica, comportando la vicinanza tra pubblico e performer, spesso l'abolizione della frontalità. Nell'ultima stagione abbiamo programmato concerti in 18 diversi comuni, perché rinunciarvi?

AAJ: Chi sono i tuoi collaboratori più indispensabili?

CB: Tutti, nessuno escluso.

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