Home » Articoli » History of Jazz » James "Plunky" Branch: Afrobeat, Funk e Spiritual Jazz

James "Plunky" Branch: Afrobeat, Funk e Spiritual Jazz

James "Plunky" Branch: Afrobeat, Funk e Spiritual Jazz
By

Sign in to view read count
Da circa un decennio il jazz statunitense e britannico vede l'emergere di giovani protagonisti che spezzano i confini tra i generi "colti" e popolari, operando una sintesi sfaccettata tra le molte espressioni della black music. Un torrente tumultuoso che viene alimentato dalle spinte politico-identitarie della comunità afroamericana (la rinascita dell'Afrofuturismo, il movimento Black Lives Matter), che infonde nel linguaggio del jazz moderno elementi di Afrobeat, Rhythm & Blues, Funk, Hip-Hop, fino a inglobare alcune espressioni della club culture e della scena dance.

In quest'universo variopinto sono tornati di forte attualità Sun Ra, John Coltrane e le diramazioni "spirituali" di Alice Coltrane e Pharoah Sanders, quale linfa per il cosiddetto "Spiritual Jazz" dei vari Shabaka Hutchings, Kamasi Washington eccetera. Uno dei meriti del fenomeno è la riscoperta di musicisti degli anni settanta che hanno svolto un ruolo significativo anche se circoscritto come Harry Whitaker (mitico leader dell'album Black Renaissance—Body, Mind & Spirit), Idris Ackamoor o James "Plunky" Branch.

Quest'ultimo sassofonista ha celebrato proprio quest'anno il cinquantenario del suo A Message from Mozambique, il primo album che fonde con chiarezza il jazz modale coltraniano con l'Afrobeat e il Rhythm & Blues. Il 2 settembre scorso Branch s'è esibito col gruppo Oneness al Millennium Stage del Kennedy Center e presentato l'ultimo disco Afroclectic, una collezione di brani smooth jazz e neo soul, purtroppo molto diversi dalle tumultuose improvvisazioni a base percussiva degli anni settanta.

Il passato del sassofonista e produttore merita d'essere ricordato per la lunga attività musicale da leader e il ruolo svolto come co-fondatore della Black Fire Records, l'etichetta indipendente afrocentrica che ha attinto alle scene jazz, funk e R&B di Washington e della Virginia. Nel suo catalogo troviamo il sassofonista Hamiet Bluiett, il flautista Byard Lancaster, il cantante e tastierista Wayne Davis, la Southern Freedom Arkestra del vibrafonista Lon Moshe, il Southern Energy Ensemble, l'Experience Unlimited. Per anni oggetto di ricerca dei collezionisti, gran parte dei dischi della Black Fire sono oggi riediti dalla britannica Strut Records e disponibili su Bandcamp.

James E. Branch—soprannominato dal padre Plunky—quando aveva pochi mesi, nasce il 20 luglio 1947 in una famiglia indigente di Richmond. A sette anni inizia a prendere lezioni di piano dall'organista della chiesa mostrando talento e passa allo studio di altri strumenti (clarinetto, oboe, percussioni) nel percorso scolastico. Vari insegnanti della sua adolescenza sono jazzmen professionisti ma i suoi ascolti di allora sono rivolti alla Soul Music di Otis Redding, James Brown, Etta James e dei cantanti Motown. La sua materia scolastica preferita è la chimica e ottiene una borsa di studio per studiare alla Howard University di Washington DC e poi alla Columbia.

Nell'autobiografia (Plunky -Juju Jazz Funk & Oneness, Coolgrovepress 2015), Plunky ricorda: «al secondo anno appresi che i chimici erano tutti al servizio del complesso militare, lavorando per produrre napalm e ogni sorta di armi di distruzione da scaricare sulla gente del Sud Est Asiatico, dell'Africa e del resto del terzo mondo. Fui pienamente deprogrammato e indottrinato (o vorrei dire illuminato) dalla politica di sinistra contro la guerra e dal movimento per i diritti civili».

Dagli inizi a Juju



Branch lascia così la chimica per dedicarsi interamente alla musica. Nel 1967, alla Columbia forma il suo primo gruppo, The Soul Syndacate, ottenendo un buon successo nei college ma le violente proteste studentesche (con gli arresti di massa) che coinvolgono l'università lo inducono a cambiare aria e trasferirsi da New York e San Francisco. Dopo la combattuta parentesi del servizio militare torna a San Francisco iniziando a suonare professionalmente in gruppi jazz, R&B e latin. La svolta significativa della sua carriera avviene quando entra nel gruppo del percussionista sudafricano Ndikho Xaba, che lo avvicina alle musiche africane. Nel 1971 con quell'ensemble partecipa all'incisione di Ndikho Xaba and the Natives, riedito nel 2015.In quei mesi Plunky e tre partner del gruppo di Xaba vengono scritturati per suonare nell'ensemble di una produzione teatrale afroamericana intitolata "The Resurrection of the Dead," dal forte clima identitario. La relazione musicale è talmente intensa e condivisa che il gruppo decide di continuare dopo la rappresentazione: «Volevamo un nome che rispecchiasse la nostra dedizione verso la cultura africana e ci chiamammo Juju».

Nasce uno stile fortemente percussivo e ritualistico, orientato politicamente verso il nazionalismo nero. Juju è un gruppo cooperativo comprendente Plunky Nkabinde al sax tenore (ossia Plunky Branch), Al-Hammel Rasul (Tony Grayson) al pianoforte, Lon Moshe (Ron Martin) al vibrafono, Ken Shabala (Kent Parker) al contrabbasso, Babatunde Lea alla batteria e Jalango Ngoma (Dennis Stewart) ai timbales. Le composizioni sono principalmente di Rasul caratterizzate da tempi dispari, 11/4, 7/4 o 5/4. Quella musica è documentata nel citato A Message from Mozambique: colpiscono i torrenziali interventi free di Plunky—influenzato da Sanders—l'articolata e possente dimensione percussiva, l'acceso clima modale, l'approccio atonale di piano e vibrafono, il clima ritualistico. Juju s'esibisce in club, festival e raduni politici nella Bay Area collaborando con John Handy, Santana, Sun Ra, Bill Summers e altri.

Nel 1972 il gruppo trasloca a New York per cercare un'etichetta che pubblichi il disco e si accorda con la Strata-East, l'innovativa label fondata da Stanley Cowell e Charles Tolliver che costituirà da lì a poco un modello per l'imminente lavoro discografico di Plunky con la Black Fire. Il disco viene pubblicato nel 1973 e nel frattempo l'ensemble s'esibisce in luoghi dell'avanguardia, come lo Studio Rivbea di Sam Rivers e l'Artist House Gallery di Ornette Coleman, accanto a Frank Lowe, Rashied Ali, Olu Dara, Julius Hemphill ecc... Dà concerti anche al Lincoln Center's Alice Tully Hall. Di quell'anno sono state ristampate due registrazioni live: una serata del 24 agosto a Brooklyn (Juju—Live at the East 1973 Now-Again Records 2019) e un'altra alla Gallery di Ornette (Live at 131 Prince Street Strut Records 2021). Dell'anno successivo è invece Chapter two: Nia, pubblicato ancora dalla Strata-East e che chiude la fase free.

Oneness of Juju



Nel 1974 Plunky Branch lascia New York e torna a Richmond, Virginia per l'alto costo di vita di Manhattan. I musicisti del gruppo lo seguono e si stabiliscono nell'ampio stabile di un amico di Plunky, iniziando a esibirsi. Ma la loro impronta free non viene accolta favorevolmente in una comunità del Sud legata a gospel, blues e rhythm & blues. «Così dopo discussioni—ricorda Plunky—decidemmo di aggiungere trap drums e backbeat alla base ritmica e aggiungere suoni elettrici. Decidemmo anche di cambiare il nome in Oneness of Juju». Al posto di Jalango (che torna a San Francisco) entra il batterista funk Ronnie Toler e Ken Shabala (che torna a New York) viene sostituito dal basso elettrico di Muzi Branch, fratello di Plunky. Ma il cambiamento più significativo viene con l'aggiunta dell'ottima cantante Jackie Holoman (Jackie Lewis), in arte Lady Eka-Ete. «Lei ammorbidì e cambiato il sound del gruppo—continua Plunky—senza diminuire il nostro intento centrale di entrare nella comunità con energie positive sulla negritudine e sul futuro».

Altro aspetto importante di quei mesi è l'incontro di Plunky con Jimmy Gray, il DJ, produttore e distributore dei dischi Strata-East nell'area di Washington DC. Da quell'incontro nasce la decisione di varare l'etichetta Black Fire con cui pubblicano il singolo (e poi l'album) African Rhythms. Il brano ottiene all'epoca un buon successo regionale ma dopo i campionamenti del produttore J. Dilla è stato riscoperto dai ragazzi della Club Culture ed è diventato un classico del funk, inserito in decine di compilation negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Il percorso dell'album continua spaziando tra contagiosi brani funk e funk jazz ("Kazi," "Tarishi," "Don't Give Up"), ballad soul jazz ("Incognito"), dolci iterazioni africane ("Funky Wood"), danzanti episodi per sax tenore ("Poo Too"/"Liberation Dues"). Oltre la versione ufficiale di "African Rhythms" ricordiamo la significativa registrazione live del 1975, ripresa al Crampton Auditorium dell'Howard University di Washington DC e contenuta nel CD Black Fire—Soul Love Now: The Black Fire Records Story (Strut 2020). La presentazione di Plunky ribadisce gli intenti identitari del brano, intrinseci al contagioso ritmo funk ballabile.

Black Fire Records



Come abbiamo detto, la Black Fire Records nasce dalla collaborazione di Plunky con Jimmy Gray. Nato a Washington nel 1937 (deceduto nel 1996) Gray è un appassionato collezionista di jazz dagli anni del liceo. Dopo il servizio militare diventa DJ alla stazione radiofonica della Howard University di Washington DC, WHUR-FM, dove trasmette jazz e R&B con grande successo tra il pubblico giovanile. Promuove e distribuisce i dischi Strata-East per l'area di Washington e l'enorme successo di Winter in America di Gil Scott-Heron rafforza la sua posizione in campo musicale. Con Plunky Branch decide di varare la Black Fire Records facendo tesoro delle difficoltà economiche incontrate dalla Stata East per mantenere la fornitura del disco. I due mantengono comunque la politica favorevole agli artisti (divisione al 50% dei profitti di vendita), la valorizzare della black music identitaria e la volontà di rendersi indipendenti dai grandi distributori (bianchi) nazionali. La scelta degli artisti aveva delle priorità. «Per il 50 per cento erano persone che apprezzavamo musicalmente o potevamo permetterci—ha detto Plunky a Down Beat nel luglio 2020—e per il cinquanta per cento persone con la nostra mentalità politica. Ogni gruppo di Black Fire, che fossero Wayne Davis o Baba Dontez oppure Southern Energy Ensemble o Lon Moshe era costituito da persone culturalmente progressiste. Attivisti».

Quei gruppi spesso si sovrapponevano e si scambiavano i membri ma tutti mantenevano il suono panafricano. Tra i dischi più significativi dell'etichetta, ora ristampati dalla Strut Records ne ricordiamo alcuni, tanto interessanti quanto poco noti. Inciso nel 1976, il disco omonimo del cantante e pianista Wayne Davis è una delle prime produzioni dell'etichetta. Di lui si sa pochissimo. Collaboratore della cantante Roberta Flack aveva debuttato nel 1973 nella mitica label di Ertegun, la Atlantic Records, con l'album A View from Another Place prodotto dalla stessa cantante. Poi due anni dopo lo ritroviamo in questo disco dove offre una prova di alto spessore, fortemente intrisa di gospel. A differenza di Wayne Davis, che resta in ambito regionale, l'ensemble Experience Unlimited ha un destino diverso. Nello stesso anno debutta per la Black Fire con Free Yourself—un entusiasmante concentrato di go-go funk con interventi jazz—e resta per anni confinato all'area di Washington, finchè nel 1988 il regista Spike Lee usa il loro micidiale "Da Butt" nel soundtrack del film "School Daze." Esplode così il successo con la vendita di un milione di copie e la carriera nazionale decolla. Leader del gruppo è il bassista Gregory "Sugar Bear" Elliot: punti di forza sono gli arrangiamenti della sezione fiati e il coinvolgente groove ritmico.

Decisamente orientati all'estetica jazz sono i dischi di cui parliamo ora. Love Is When the Spirit Lies del vibrafonista Lon Moshe con la Southern Freedom Arkestra è registrato nel 1977 e mantiene un chiaro clima identitario e di esaltazione per le radici afroamericane. Moshe è partner di Plunky dall'inizio del decennio ma dopo l'incisione di African Rhythms vuol dar spazio al suo amore per il jazz. Non a caso l'album presenta i tributi per il suo maestro, il batterista Michael Carvin e per il vibrafonista Bobby Hutcherson. Con lui ritroviamo il percussionista sudafricano Ndikho Xaba in un gruppo modale d'impronta ritualistica, anche se non mancano episodi di serrato modern mainstream.

Negli anni ottanta l'attività produttiva della Black Fire si dirada anche per il distacco di Plunky Branch dall'etichetta. Rimasto unico produttore, Jimmy Gray si rivolge decisamente al jazz e ha modo di pubblicare uno dei prodotti migliori del catalogo: Bearer of the Holy Flame di Hamiet Bluiett. Per la limitata distribuzione dell'etichetta, l'album è rimasto nell'ombra, a dispetto del suo valore. È una registrazione live ripresa il 25 luglio 1983 allo Sweet Basil di New York con il baritonista accompagnato da John Hicks al pianoforte, Fred Hopkins al contrabbasso, Marvin "Smitty" Smith alla batteria e Chief Bey alle percussioni. Il disco documenta la sua limitata attività da leader del decennio e precede la session in studio di sette mesi dopo (Ebu, Soul Note 1984) con un repertorio in gran parte diverso. Bluiett mostra la sua devozione per Harry Carney nella ballad "I'll Close My Eyes" e le alte doti tecnico-espressive con molti assoli sul registro alto dello strumento. Gemma dell'album è il torrido "Headless Blues."

Uno degli ultimi dischi dell'etichetta è My Pure Joy del sassofonista e flautista Byard Lancaster. Il disco chiude simbolicamente il percorso dell'etichetta con un musicista dalla multiforme (ma prettamente afroamericana) collocazione stilistica, sintetizzata dallo slogan "From A Love Supreme to Sex Machine." Byard Lancaster ha fatto parte della stagione del free storico (con Sunny Murray, Sonny Sharrock, Bill Dixon), e partecipato a differenti contesti (Sun Ra, McCoy Tyner, Ronald Shannon Jackson, Odean Pope) pur mantenendo legami con la black popular music (Funny Funky Rib Crib 1974; Jungle Swing 1995 di Johnny Copeland) e con la dimensione modale e "spirituale" del jazz, derivata da John Coltrane. Nel 1992 Jimmy Gray lo documenta in My Pure Joy, con un gruppo di musicisti di Philadelphia più un ensemble percussivo nigeriano che caratterizza in senso etnico e ritualistico l'incisione. L'album esce tre anni dopo per le difficoltà finanziarie dell'etichetta ed è oggi disponibile in una nuova edizione.

Next >
The Vision

Comments

Tags


For the Love of Jazz
Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who create it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

You Can Help
To expand our coverage even further and develop new means to foster jazz discovery and connectivity we need your help. You can become a sustaining member for a modest $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination will vastly improve your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

More

Popular

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.