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Rosario Giuliani: Tradurre l'amore in musica

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La musica è l'attrice principale del nostro percorso
A fine gennaio è uscito per l'etichetta Jando Music e Via Veneto Jazz il nuovo disco del sassofonista Rosario Giuliani dal titolo Love in Translation, registrato assieme al vibrafonista americano Joe Locke, il bassista Dario Deidda e il batterista Roberto Gatto. Un disco che fra riletture di standards e brani originali ci porta a sondare le varie declinazioni dell'amore, espresso attraverso legami umani e artistici evidenti nell'interazione tra i quattro componenti del progetto.

Un altro passo avanti per guardare alla musica come "l'attrice principale del percorso" perché come espresso dallo stesso sassofonista "nel momento in cui decidiamo di metterci al primo posto rispetto alla musica è l'inizio del fallimento."

Anche in questo lavoro, come nei precedenti, risalta la capacità di Rosario Giuliani di esprimere un suono ben distinguibile, una voce del tutto personale, al sax alto e soprano, caratteristica che gli ha permesso di diventare nel corso degli anni uno dei sassofonisti italiani più apprezzati a livello internazionale. Tra le sue collaborazioni quelle con Phil Woods, Charlie Haden, Kurt Elling, Enrico Rava, Enrico Pieranunzi, Franco D'Andrea, Paolo Damiani e altri. Dopo gli studi classici, nei primi anni della sua carriera, ha avuto l'opportunità di suonare in alcune importanti colonne sonore composte da Ennio Morricone, Luis Bacalov, Armando Trovajoli, Gianni Ferrio. Tra le tante da segnalare la registrazione della musica dell'ultimo film di Federico Fellini "La voce della luna" scritta da Nicola Piovani. Rosario Giuliani si divide fra l'attività concertista, in studio e didattica svolta come docente al Saint Louis College of Music di Roma.

All About Jazz: Come nasce Love in Translation, il tuo ultimo disco in quartetto?

Rosario Giuliani: Il disco nasce dalla collaborazione con il vibrafonista Joe Locke, con il quale, dal lontano duemila, ho condiviso diversi progetti discografici e live. Ho partecipato a un suo album dal titolo Love Is Pendulum registrato all'Avatar Studio di New York con l'etichetta americana Motema Records, e qualche anno prima lui è stato ospite di un mio disco dal titolo Images registrato per l'etichetta francese Dreyfus Jazz insieme a Joe La Barbera, batterista del trio di Bill Evans, e John Patitucci al contrabbasso. La prima collaborazione dal vivo avvenne nel 2000 grazie ad un'idea di Carlo Pagnotta, direttore artistico di Umbria Jazz. Joe Locke era l'artista residente con il suo quartetto a Umbria Jazz e Carlo Pagnotta gli propose di avere me come ospite. Sin dal primo momento che ci siamo incontrati è nata subito un'alchimia magica.

AAJ: Quali sono le affinità umane e musicali che ti legano a Joe Locke da oltre vent'anni?

RG: Siamo completamente diversi sia musicalmente che caratterialmente, ma come ho già detto tra di noi è scattata un'alchimia speciale che ci ha portato a capirci e rispettarci reciprocamente. Tutto questo ci ha dato la possibilità di instaurare un rapporto di amicizia che si è naturalmente riversato nella musica.

AAJ: Che cosa racchiude il termine "Love" del titolo?

RG: Mi ero reso conto che tutti i brani scelti per il disco, in maniera non intenzionale, avevo all'interno del titolo la parola "love." Alla fine abbiamo fatto una scelta, ci siamo consultati ed è venuto fuori il titolo Love in Translation che non vuole essere nient'altro che la traduzione dell'amore in musica. Ogni brano è stato riarrangiato e reinterpretato con il maggior rispetto possibile, perché alcuni brani sono stati già eseguiti da altri grandi jazzisti del passato. All'interno ci sono le culture musicali americana, francese e italiana. Anche questo fa parte della "traduzione dell'amore" l'amore per le altre culture, che rappresentano l'essenza della musica.

AAJ: Nel disco oltre a brani di Charles Mingus, Cole Porter e Elvis Presley, troviamo anche due brani originali entrambi dedicati a due musicisti purtroppo scomparsi Roy Hargrove e Marco Tamburini: che importanza hanno per te questi due omaggi?

RG: Mentre cercavamo di creare la musica per Love in Translation Roy Hargrove ci ha lasciato. Hargrove è stato un musicista che ha caratterizzato un periodo ben preciso del jazz americano entrandoci in maniera prepotente, in particolare con il progetto di Herbie Hancock Directions in Music con Michael Brecker. È stata una grande perdita per il jazz americano, specialmente per quelli della sua generazione e per quella successiva. Joe Locke, da persona sensibile quale è, ha voluto omaggiarlo. L'omaggio a Marco Tamburini invece è nato durante la realizzazione della musica del disco The Hidden Side, album del 2016 per l'etichetta Parco della Musica Records. Due giorni prima di andare in studio Marco è scomparso in un tragico incidente stradale con la moto. La cosa mi ha toccato profondamente, poichè in passato avevo vissuto una tragedia simile e ho sentito forte l'esigenza di tradurre quello che provavo in musica.

AAJ: La musica espressa nel disco rivela una forte interazione tra te e Joe Locke ma anche con gli altri due componenti, Roberto Gatto e Dario Deidda.

RG: La forza di questo quartetto deriva proprio dall'unicità di ogni musicista: Roberto Gatto non è solo un batterista ma un musicista completo dotato di grande sensibilità, così come Dario Deidda, che suona uno strumento a metà tra il contrabbasso e il basso elettrico creando un suono unico, che possiede solo lui. Love in Translation parte dall'essenza dei singoli elementi grazie ai quali idee e musica sono state portate a compimento.

AAJ: Quanto influisce il tuo bagaglio musicale classico sul tuo modo di comporre e sul tuo approccio al jazz?

RG: Sono arrivato al jazz quando avevo 28 anni. Vengo dalla musica classica avendo suonato con l'Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma e successivamente con diversi importantissimi compositori di colonne sonore. Questo mi ha aiutato a crescere soprattutto come professionista e ad acquisire sicurezza avendo a che fare con orchestre anche di cento elementi. Da queste esperienze ho imparato tanto ed in particolar modo ho potuto osservare il lavoro che questi grandi maestri facevano con le immagini. Il collegamento che c'è tra immagine e musica è rimasto in me in modo molto prepotente e ha caratterizzato molto la mia musica. Quando la scrivo cerco di sentire le emozioni che ho dentro come se vedessi le immagine del film della mia vita.

AAJ: Che ruolo si ritaglia l'attività didattica nel complesso del tuo percorso musicale?

RG: Il lavoro didattico è una pagina importante della mia vita, direi fondamentale. Quando affronti questo tipo di lavoro contribuisci a far crescere i musicisti del futuro, è un altro modo per dimostrare rispetto verso la musica. Inoltre insegnando si impara tanto, spesso da uno studente di vent'anni vengo stimolato a tenere viva la mia energia.

AAJ: Quali sono i prossimi impegni in agenda?

RG: Ho in programma due date con Fabrizio Bosso in Febbraio, una a Cava dei Tirreni il 14 e l'altra il 15 a Roma all'Alexanderplatz. Sarò poi a Bangkok per il Thailand Jazz Workshop da 1 all'8 marzo e successivamente con il progetto Love in Translation insieme a Joe Locke, Dario Deidda e Roberto Gatto faremo un tour in Italia dal 17 al 27 di Marzo in diverse città, tra cui il Blue Note di Milano e La Casa del Jazz a Roma.

Foto: Roberto Cifarelli

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