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Ricordiamo Michael Brecker

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Sono trascorsi più di dieci anni dalla morte di Michael Brecker, avvenuta il 13 gennaio 2007, il giorno dopo quella di Alice Coltrane. Brecker è stato il massimo e più influente sax tenore post-coltraniano ed è quanto mai doveroso ricordarne la vita e il percorso artistico.

Il 25 gennaio di quest'anno la comunità jazzistica di New York, decine di oncologi e persino l'ex presidente Clinton e consorte, hanno partecipato alla cerimonia di commemorazione tenutasi nella Appel Room del Jazz at Lincoln Center di Manhattan. Tra i musicisti c'erano Joe Lovano, Dave Liebman, Diana Krall, Wynton Marsalis, David Sanborn, Ravi Coltrane, Robert Glasper e molti altri. Com'è noto, Michael Brecker fu colpito dalla sindrome mielodisplastica, un disordine della produzione cellulare che l'ha portato alla leucemia e alla morte, dopo due anni di vane terapie.

Rileggendo la sua biografia ci sono alcune cose che colpiscono: lo squilibrio tra le centinaia di registrazioni come session man nel rock, di collaboratore o co-leader in vari ambiti del jazz (dai Brecker Brothers agli Steps Ahead) e i pochi dischi (appena una decina) incisi a suo nome nell'arco di un ventennio. Ed ancora il ritardo con cui ha iniziato la sua attività di leader, quando aveva ormai 38 anni ed era il massimo sax tenore della sua generazione da oltre un decennio.
Anche se votato nella Hall of Fame di Down Beat, il pieno riconoscimento del suo ruolo di innovativo caposcuola è venuto in primo luogo dai colleghi musicisti. Non solo centinaia di imitatori in tutto il mondo ma notevoli strumentisti come Chris Potter, Branford Marsalis, Donny McCaslin o Bob Mintzer l'hanno preso a modello. Dotato di una tecnica portentosa, di una singolare propensione melodica e di un sound seducente, Michael Brecker è stato un artista di sintesi: tra la dimensione acustica e quella elettrica, tra i concetti armonici di John Coltrane e l'enfasi di rhythm & blues e funk. In questo terreno ha sviluppato una personale ricerca tesa a espandere la dimensione timbrica, superando le divisioni tra acustico ed elettrico/elettronico. Nel corso degli anni ha progressivamente controllato i torrenziali fraseggi, le micidiali sequenze di patterns, a favore di una sintesi meditata, spesso con lirica concentrazione. Il magistero tecnico si fondeva nella capacità di esprimere e suscitare emozioni.

Nato il 29 marzo 1948 a Filadelfia in una famiglia propensa alla musica, studia prima il clarinetto, poi il sax contralto, infatuato di Cannonball Adderley, per passare intorno ai 15 anni al sax tenore. Da subito il suo principale modello è John Coltrane. "Fui abbastanza fortunato da ascoltarlo dal vivo —dichiara a Leonard Feather—appena un anno prima della sua morte. Dette un concerto a Filadelfia con la moglie Alice al pianoforte e non dimenticherò mai quell'esperienza." All'influenza di Trane si aggiungono quelle di Joe Henderson e Sonny Rollins.

Frequentando la ricca scena musicale cittadina, una delle massime esperienze formative è col batterista Eric Kamau Gravatt. Ragazzo dalla mente aperta, Michael non ascolta solo jazz ma anche rhythm & blues e rock. Dopo un anno all'Università dell'Indiana, nel 1969 si trasferisce a New York. "Non avevo studiato musica a scuola —ricorda in un'intervista a Stuart Nicholson (Jazzit, aprile 2007)—né frequentato scuole di musica (...) La maggior parte delle cose che ho imparato vengono dall'ascolto dei dischi e da alcune persone che a New York mi hanno particolarmente influenzato." Strumentalmente dotato, Michael brucia le tappe, in una scena musicale segnata dal nascente jazz-rock. Entra nei Dreams (una band comprendente anche Billy Cobham) e fa parte del cast di Score (Solid State, 1969) prima incisione a nome del fratello Randy, con Jerry Dodgion, Larry Coryell, Eddie Gomez e altri. Michael prende pochi assoli, ma già dimostra di staccarsi dal modello coltraniano manifestando (si veda "The Vamp") un'enfasi da honker. I Dreams si sciolgono nel 1971, quando Cobham entra nella Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin, ed all'inizio del 1973 i fratelli Brecker sono scritturati nel quintetto di Horace Silver, che Randy già conosce. Conclusa la collaborazione, i fratelli Brecker iniziano a suonare come turnisti e formano un gruppo con David Sanborn e Don Grolnick che si trova ogni domenica a casa del tastierista per suonare composizioni di Randy.

"Provo una grande nostalgia per i primi anni settanta —dice Michael a Massimo Milano (Jazz, dicembre 1996)—perchè era il momento in cui le barriere stavano crollando. Fino ad allora il R&B era profondamente separato dal jazz, tutti i generi e gli stili erano radicalmente divisi fra loro; poi i confini hanno cominciato a diventare meno definiti e improvvisamente ci si è trovati di fronte ad una pagina bianca ancora da scrivere. (...) In termini più strettamente sassofonistici mi sono ritrovato a suonare in un ambito nel quale c'era ancora poca esplorazione, mentre nel jazz più classico imperversavano i giganti. Avventurarsi nel mondo del R&B con una sensibilità jazzistica offriva immense possibilità."
La neonata etichetta Arista di Clive Davis propone a Randy un contratto e questi porta il fratello, Sanborn, Grolnick e gli altri in sala d'incisione. Nel gennaio 1975 debuttano così i Brecker Brothers, gruppo jazz impregnato di funk e rock, che registra l'album omonimo. L'identità stilistica di Michael Brecker è in via di formazione e la vicinanza di quegli anni con Sanborn è significativa per la formazione del suo sound.

I BRECKER BROTHERS

La formazione incide sei dischi, dal 1975 al 1981 e dopo una lunga pausa rinasce nel 1992 (The Return of the Brecker Brothers) dando concerti e incidendo fino al 2004. Dalla seconda metà dei settanta lo stile di Michael inizia ad acquisire i tratti distintivi e nei primi ottanta è già maturo. Si vedano "Funky Sea, Funky Dew" (Heavy Metal Be-bop, 1978) e l'album Straphangin' del 1981, il più orientato jazzisticamente. Per la critica Michael Brecker inizia a essere considerato solo dal 1987, quando incide il primo album a suo nome. Le cose accadute nel decennio precedente sono ignorate o fortemente criticate come scelte commerciali. Eppure dai primi anni settanta, in una fase sbrigativamente etichettata fusion, Michael Brecker non si limita a lavorare con suo fratello come session man (i due diventano in breve richiestissimi) ma sperimenta nuove formule ritmiche e timbriche nella "contaminazione" col rock e l'elettronica.
Questo accade in molte jam session condotte assieme a Mike Mainieri e altri nel progetto "White Elephant," una band a geometria variabile, diretta dal vibrafonista dal 1969 al 1972. "È stata un'oasi per tutti i musicisti di studio —dice Mainieri in un'intervista a Down Beat del 20 aprile 1978—. Dopo aver suonato tutta quella merda durante il giorno ci trovavamo per provare quello che avevo scritto. Cose ricche di vamp. Suonavamo per molte ore, all night long, con ragazzi come George Young, Frank Vicari, Michael e Randy Brecker, Ronnie Cuber, Jon Faddis, Steve Gadd. (...) Realizzammo un doppio album ma l'etichetta fallì poco dopo. Tutti quei grandi musicisti e nessuna casa discografica dietro di noi, nessun manager, niente. Solo per il gusto di suonare assieme. I ragazzi si pagavano pure il biglietto per arrivare alle serate."
Ragazzi innamorati della black popular music e del connubio con l'elettricità. Quei critici che li giudicavano "furbacchioni" interessati solo ai soldi si sbagliavano. Ascoltando quelle session si resta colpiti dalla potenza espressiva di Michael e dalla freschezza del collettivo.

GLI STEPS AHEAD

Nella metà dei settanta la cosa si ripete nelle jam session al Seventh Avenue South, il club diretto da Michael e Randy, dove si pongono le basi per la nascita degli Steps Ahead. Il suo primo nucleo si forma nel 1979 con Brecker al sax tenore, Mainieri al vibrafono, Don Grolnick al pianoforte, Eddie Gomez al contrabbasso e Steve Gadd alla batteria (poi sostituito da Peter Erskine). I primi tre dischi, incisi col nome Steps, sono registrati in studio o in concerto tra il 1979 e l'81. Fino all'incisione di Modern Times del 1984 la band resta una formazione prettamente acustica ma la sua forza innovativa è tale da risultare sconcertante: nei referendum di Down Beat vengono votati anche come "gruppo elettrico" senza esserlo. Il sound personalissimo, ammaliante e fervido, di Brecker che prelude l'intervento in "Uncle Bob" (Step by Step, 1979) è la prima istantanea ufficiale di una stile inventivo e appassionante, che sa graduare l'intensità espressiva in seducenti chiaroscuri. Nel variopinto Paradox gli interventi di Michael si fanno veementi e temerari, fino ad assumere connotati free. I dischi sono editi dalla Nippon Columbia e in Occidente se ne accorgono in pochi.

In Jazz Journal International del dicembre 1984, Mike Mainieri si lamenta: "I critici ignorano un po' troppo questo gruppo e questi musicisti. Non abbiamo avuto recensioni o riconoscimenti né da The Village Voice, né dal New York Times. Ha parlato di noi il Down Beat ma in genere la stampa tiene un atteggiamento sbrigativo, perché siamo un problema. Mike Brecker ne è un esempio: non è quasi mai recensito. Se fosse nero e suonasse le stesse cose, sarebbe il nuovo genio."
Difficile dargli torto anche perchè la band aveva già pubblicato per Elektra Musician Steps Ahead con l'ingresso della pianista Eliane Elias. Un eccellente lavoro, complesso e sofisticato, che termina con una libera improvvisazione d'astratto camerismo eseguita da Gomez, Mainieri e Brecker.
Il successivo disco Modern Times documenta una prima svolta elettronica, che amplia lo spettro timbrico della formazione senza alterarne l'identità. È un disco importante perchè evidenzia un'estetica nuova nel connubio tra suoni acustici e sintetizzati, con un lirismo e una ricercatezza estranea ad altre formazioni "fusion." Eppure suscita polemiche. Michael Brecker continua a usare molto il tenore ma è già passato a imbracciare lo Steinerphone (ribattezzato poi EWI) un sassofono sintetizzato inventato da Ned Steiner. La relazione con l'elettronica di Brecker e di tutto il gruppo, si accentua col successivo Magnetic (Elektra 1986) che mostra inclinazioni pop ma anche delle gemme (ed esempio la struggente reinvenzione synth di "In a Sentimental Mood"). Dopo Live in Tokyo registrato il 30 luglio 1986 con solo Mainieri e Brecker della formazione originaria, il sassofonista apre il capitolo solista con la registrazione dell'album Impulse! intitolato col suo nome.
Agli albori dell'esperienza con gli Steps Ahead, Michael Brecker incide in veste di unico solista in un progetto orchestrale composto e diretto da Claus Ogerman (Cityscape Warner Bros 1982), consistente in una suite in tre parti e altri tre lunghe composizioni. Il progetto voluto dal produttore Tommy LiPuma vede un'orchestra di 65 elementi più un jazz combo con Warren Bernhardt, Eddie Gomez, Steve Gadd, John Tropea e altri. Su orchestrazioni generalmente leggere ma sempre eleganti, il solismo di Brecker svetta con virtuosismo e inventiva, evidenziando il timbro suadente e l'incedere appassionato della piena maturità. Esattamente vent'anni dopo l'esperienza di Brecker con un'orchestra d'archi si ripete nel disco American Dreams di Charlie Haden. Con gli arrangiamenti di Haden, Vince Mendoza, Alan Broadbent e altri, più partner come Brad Mehldau al piano, Brian Blade alla batteria e lo stesso Haden al contrabbasso, il sassofonista scrive un altro capitolo di suggestivo solismo.

IL PERCORSO SOLISTA

Nel 1987 -all'età di 39 anni, dopo venti d'attività professionale e centinaia di collaborazioni-Michael Brecker incide e pubblica il primo disco da leader, intitolato semplicemente a suo nome. Il sassofonista chiama Charlie Haden, Jack DeJohnette e Pat Metheny con cui ha già inciso nel 1980 il disco di quest'ultimo 80/81. Rispetto a quella formazione solo il sassofonista Dewey Redman è sostituito dal pianista Kenny Kirkland.
"A essere onesti —dice allora Michael a Saxophone Journal—non mi sono mai sentito pronto. Ho avuto per qualche anno offerte da varie etichette ma le ho sempre accantonate perchè avevo altri progetti in corso. Ma forse c'era una sottostante paura a frenarmi. Finalmente quest'anno mi sono sentito pronto ed ho accettato l'offerta di Ricky Schultz che ha fatto rinascere l'etichetta Impulse!."
In generale la musica del disco riprende l'impostazione di "Every Day" il tema più riuscito di 80/81: un percorso magnetico, con qualche momento dinamico e suggestive ballad. Dopo l'avvincente "Sea Glass," il sassofonista omaggia John Coltrane con un intervento mozzafiato in duo con DeJohnette sulle orme di "Giant Steps." L'incisione, prodotta da Don Grolnick, è prevalentemente acustica anche se a tratti appare l'EWI. Da incorniciare la lunga introduzione in rubato di "My One and Only Love." La critica dà ampio risalto al lavoro e il pubblico di Down Beat lo vota disco dell'anno, stimolando Brecker a continuare sul percorso solista.

Il secondo disco da leader, Don't Try This At Home, esce nel 1988 e vede il sassofonista in differenti organici (dal quartetto al settetto) con l'ingresso di Don Grolnick, Mike Stern, Adam Nussbaum, Joey Calderazzo, Herbie Hancock e la conferma di Haden e DeJohnette in qualche momento. Se questo lavoro gli vale il primo Grammy, il successivo Now You See It (GRP 1992) consolida la relazione con il giovane Calderazzo, che diventa suo pianista fisso per oltre un decennio. Collocati in una chiara dimensione jazzistica e caratterizzati da un'intelligente equilibrio tra dimensione acustica e sintetizzata (come tra virtuosismo e feeling), entrambi i dischi ricevono eccellenti valutazioni critiche.
Le successive collaborazioni extra-jazzistiche, come il tour con Paul Simon e la rinascita dei Brecker Brothers, non danneggiano più la statura artistica di Brecker.

Dai primi anni novanta al 2005, quando gli viene diagnosticata la sindrome mielodisplastica che lo porta ad un parziale ritiro, il sassofonista incide splendidi esempi di modern mainstream avanzato con ospiti prestigiosi, ottenendo consensi unanimi. Ricordiamo Infinity (Impulse! 1995) come ospite del trio di McCoy Tyner; il magistrale Tales from the Hudson (Impulse! 1996) con la riconferma di Metheny, DeJohnette, Calderazzo più l'ingresso di Dave Holland e McCoy Tyner presente in due brani; Two Blocks from the Edge (Impulse! 1998) col proprio quartetto; Time Is of the Essence (Verve 1999) assieme a Elvin Jones, Pat Metheny, l'organista Larry Goldings e altri.
Tutte opere pregevoli, dove Brecker sceglie definitivamente l'ambito acustico, esprimendo maggiore profondità timbrica e un virtuosismo più controllato. Qualità che si manifestano in modo esemplare nel disco successivo The Nearness of You (Verve 2001) interamente dedicato alle ballad. Il clima un po' monocorde del lavoro viene pienamente superato dal successivo Wide Angles (Verve 2003) inciso con una piccola orchestra, dove ritroviamo la sorprendente estroversione del sassofonista in sue composizioni arrangiate in prevalenza da Gil Goldstein.
Evitiamo di rievocare la cronaca dolorosa dei suoi ultimi anni di vita, che dimostrano peraltro forza di carattere e dedizione esemplari. In una pausa della malattia, cinque mesi prima di morire, il sassofonista incide Pilgrimage, ultimo album con un'altro magistrale organico: Metheny, Hancock o Mehldau, Patitucci e DeJohnette.

Come scrisse Gian Mario Maletto nella recensione su Musica Jazz: "In questi casi patetici il rischio è di stravedere ma qui va detto subito che si è sicuramente di fronte a un capolavoro (...). È l'intero arco dell'opera a suscitare ammirazione anche per l'energia sorprendente di quel sassofono, tanto potente, luminoso, eloquente da avvicinare il ricordo del modello coltraniano."
Basato su composizioni originali di Brecker, scritte nei mesi della malattia, Pilgrimage è un lavoro appassionante. Il canto del cigno di un artista da non dimenticare.

Foto: Roberto Cifarelli.

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