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Poker di Jon Irabagon

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Il jazz di oggi è sicuramente policentrico, continuando in questo la sua stratificata tradizione.

Sempre più spazio trovano artisti americani di origini diverse. Tra essi, il sassofonista Jon Irabagon (sangue filippino) è emerso da un decennio con una forza dirompente, conseguenza di una preparazione enciclopedica, tradotta abilmente in un'ampia gamma di situazioni sonore.

Vincitore del Thelonious Monk Saxophone Competition nel 2008, segnalato quale sassofonista di primo piano in svariati Poll, Irabagon sembra in grado di suonare di tutto e forse anche qualcosa di più. Elemento fondatore di Mostly Other People Do the Killing, il sassofonista è anche nei gruppi di Mary Halvorson e Dave Douglas, oltre che nel trio di Barry Altschul e leader a sua volta.

Onnivoro per inclinazione naturale, compassato nella gestualità eppure prontissimo a raccogliere ogni sfida, sceglie di giocare partite a tutto campo rifiutando di ricoprire ruoli prestabiliti.

Una posizione non inedita eppure già sotto i riflettori da tempo che, se non aiuta forse a districare alcuni dilemmi estetici di fondo, spinge il nostro a produrre senza tregua musiche anche agli antipodi l'una dall'altra.

Jon Irabagon riesce bene in tutto. Può esporre tutta la storia dei suoi strumenti (tenore e soprano, soprattutto) all'interno della grammatica consolidata; può avventurarsi in scorribande citazioniste ai limiti del possibile; oppure esplorare il lato misterioso del suono senza rete, così come accettare l'estetica improvvisativa degli anni Settanta e rilanciarla alla luce dei linguaggi recenti.

Tutto questo è provato dai quattro ultimi CD che lo vedono o responsabile creativo o partner alla pari in progetti condivisi. L'ascoltatore è travolto da una quantità di stimoli, tanto da perdere la bussola. Esiste una strada che Irabagon vorrà davvero approfondire? Esiste una sua autenticità? Oppure è implicita nel suo agire una polivalenza programmatica che si fa beffe del rigore?

Jon Irabagon
Behind the Sky
Irabaggast
2015
Valutazione: * * *

La sua tecnica debordante brilla ad esempio in Behind the Sky, album di compostezza quasi classica, realizzato come tributo a persone perdute e dunque fonte di ripiegamento malinconico.

Vien fuori qui un legame curioso con certo jazz ben confezionato (ma non per questo superficiale) che in altri tempi ha visto il compianto Michael Brecker come mattatore. Griglie armoniche di precisione geometrica, ritmiche che variano dal medium tempo alla ballad alla bossa, una padronanza forse un po' stucchevole dei patterns. Eppure piace assai il gioco pianistico di Luis Perdomo, in grado di offrire sia tipiche coloriture latine ("Still Water," "Sprites") che rapinose magie billevansiane (l'assolo magistrale in "One Wish"); oppure l'atmosfera da Quartet West di Charlie Haden che pervade "Music Box Song."

È invece di sapore coltraniano il portamento di "The Cost of Modern Living," mentre le cose un po' più personali si possono trovare in "Obelisk." In alcuni pezzi il quartetto con Yasushi Nakamura (basso) e Rudy Royston (batteria) è raggiunto da Tom Harrell alla tromba che, pur delizioso come sempre, non lascia un segno memorabile.

Jon Irabagon
Inaction Is Anaction
Irabaggast
2015
Valutazione: * * *

Inaction Is Anaction, al contrario, è opera in solitudine di inusuale fattezza. Qui Irabagon porge il lato onirico di sé, abbandonandosi a surreali costellazioni sonore, prossime allo Steve Lacy più "animalesco" ("Acrobat") o a sequenze di melodismo quasi liturgico ("The Best Kind of Sad," "Ambiwinxtrous"), comprese tra parentesi quasi afasiche, di uno strumento che non sa o non vuole emettere suoni ma soltanto lacerti indecifrabili. Ancora una volta il solo sax confessa un'aporia di fondo nel rapporto con l'ascoltatore, costretto a calibrare una fruizione scomoda, del tutto a disposizione del performer. Ne vale la pena? Sì, ma non sempre.

Barry Altschul's 3dom Factor
Tales of the Unforeseen
TUM
2015
Valutazione: * * * *

Gli esiti più convincenti dell'Irabagon strumentista arrivano da Tales of the Unforeseen, maiuscola prova guidata da Barry Altschul, la cui batteria conserva intatta la lucidità e la fantasia di anni che furono, e con Joe Fonda al contrabbasso.

Qui Irabagon può elaborare l'intero spettro delle sue qualità improvvisative: suono flessibile, dal perfetto allo sgraziato, tecnica di respirazione e di emissione sbalorditive, intuizioni melodico-ritmiche inesauste. Altschul indica che la stella polare è sempre quella dei trii con Sam Rivers e Dave Holland, liberatori e sovraccarichi, veicolo di entusiasmanti galoppate in free-time. C'è un filo conduttore narrativo, c'è un Monk ("Ask Me Now") reinventato a dovere, persino una ripresa di Annette Peacock. Una curiosità: in "As the Tale Begins," verso il minuto 12, Irabagon si lancia in un intervento di sopranino con sequenze rubate di peso a Roscoe Mitchell. Mimetismo intelligente? Virtuosismo sterile? Decidete voi.

Mostly Other People Do the Killing
Mauch Chunk
Hot Cup Records
2015
Valutazione: * * * ½

Dopo lo sterile rifacimento di Kind of Blue, i Mostly Other People Do the Killing ritornano, infine, con un lavoro brillante come Mauch Chunk. È uscito dal gruppo Peter Evans, sostituito in pianta stabile dal pianista Ron Stabinsky, già ospite in Red Hot!. Si direbbe che il sound ne guadagni in compattezza, pur perdendo gli equilibrismi del trombettista. Lo stile si avvicina sempre più a quello del Microscopic Septet, anche se MOPDTK sono più sfacciati e primi della classe. Ogni pezzo contiene una dedica. I primi due riguardano Henry Threadgill e Caetano Veloso, e già questo può sbilanciare il vostro recensore.

"Mauch Chunk Is Jim Thorpe" guarda a certi stilemi Kansas City e apre in bellezza, mentre "West Bolivar" è una falsa bossa zeppa di trovate e di capovolgimenti testuali. Kevin Shea e Moppa Elliott giocano con nonchalance alla ritmica demodè, Stabinsky è pianista mobilissimo e polistilista (da Erroll Garner a Jaki Byard fino a Misha Mengelberg...), mentre Irabagon è in primo piano negli assoli, flussi che mescolano con sapienza (e un filo di saccenza) swing, bebop e free.

In definitiva uno dei migliori esiti della band.

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