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Jazz em Agosto 2025

Jazz em Agosto 2025

Courtesy Petra Cvelbar

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Jazz em Agosto
Fondazione Gulbenkian
Lisbona, Portogallo
1-10 agosto 2025

Malgrado la "onda de calor" portoghese stia sfiorando la capitale, Lisbona è al solito pacifica nel suo tran tran saturnino, anche se il turismo invadente della Baixa ha già trasformato certo non in meglio la sua fisionomia.

Ma agosto è anche il mese del jazz (di ricerca e d'avanguardia, ormai elettronica) e lo spazio rinnovato della Fondazione Gulbenkian -con le architetture di Kengo Kuma -ha ospitato la consueta rassegna di "Jazz em Agosto," giunta all'edizione numero 41, con la direzione artistica di Rui Neves.

Le prime giornate sono state all'insegna della formula del trio, configurazione classica della musica improvvisata. Trii comunque del tutto diversi a cominciare da quello dei maestri William Parker, Cooper-Moore e Hamid Drake, che hanno chiamato "Heart Trio" un'immersione emotiva in una world music acustica che vorrebbe essere un'esortazione alla resistenza culturale contro l'omologazione che ci pervade. Pensate che Parker non ha nemmeno portato con sé il contrabbasso, circondato invece da flauti di varia provenienza, dal guimbri marocchino, dal duduk armeno e dal doussou ngoni. Cooper-Moore da tempo si esprime con strumenti auto-costruiti, come il cordofono diddley-bow, cui si sono aggiunti una sorta di violino elettrificato e uno xilofono dalla sonorità incantevole. Hamid Drake era l'unico a mantenere lo strumento da set jazzistico, la batteria, che ha innervato per fortuna un repertorio altrimenti un po' statico e umorale.

Davanti a queste operazioni le domande sono un po' sempre le stesse di anni orsono. Fino a che punto funziona l'appropriazione di retaggi musicali remoti (africani, asiatici, aborigeni) da parte di un occidente pur eterodosso come quello afroamericano? Il dibattito è aperto, di sicuro la lingua franca di questo trio è sorretta da evidente sincerità, da una rielaborazione interiore attiva, e infine da una classe indiscutibile, che guarda senza timore al lascito estetico incompiuto di Don Cherry. Vi è anche una certa dose di auto-indulgenza, ma diverse sequenze di poliritmia e le invenzioni continue di Cooper-Moore hanno garantito la riuscita del set.

Molte tracce di Don Cherry anche nel trio portoghese guidato dal trombettista Luis Vicente, che ha presentato il recente CD Come Down Here (Clean Feed). Vicente è strumentista lontano dai virtuosismi, legato a un'espressività introversa, che emerge a poco a poco durante le improvvisazioni, che evolvono a partire da temi scarni, derivati a volte dal folklore portoghese o brasiliano, a volte semplici piroette ritmiche, di gusto "ornettiano," dove la sonorità fragile, acidula della tromba conduce parti senza rete, squisitamente melodiche. Vicente conta sulla sicurezza ritmica del batterista Pedro Melo Alves e sul contrabbasso sontuoso di Gonçalo Almeida, autore di brillanti interventi anche in assolo.

Musica nera e "canto libero" anche per Darius Jones, sax alto, che con Chris Lightcap (basso) e Gerald Cleaver (batteria) ha fatto vibrare il repertorio di Legend of èBoy ( Aum Fidelity), con una coerenza formale di tutto rispetto, riuscendo a calibrare i diversi colori della musica -dark e grumosa, limpida e fluida, persino solare in una toccante ballad—portando in collisione un senso del blues primigenio e una scrittura invece più concettosa e reticolare. C'è spesso l'idea in Jones di tenere distinte le funzioni, con una sezione ritmica in costante fibrillazione e il sax invece a distendere i temi con note lunghe e ripetute, con il vibrato o meno, sino a creare densità e ad avviluppare l'ascoltatore in un profluvio di frasi. A volte viene in mente Julius Hemphill, altre volte Arthur Blythe, ma Darius Jones è ormai un maestro contemporaneo, senza bisogno di tanti paragoni. Lightcap e Cleaver perfetti nella triangolazione.

Che si è ripetuta in un altro trio, stavolta però con pianoforte e ritmica, con leadership della canadese Kris Davis alla tastiera, Robert Hurst al basso e Johnathan Blake alla batteria, a proporre i brani del fortunato Run the Gauntlet (Pyroclastic Records) oltre a nuove composizioni.

Il gruppo riutilizza diverse grammatiche del jazz per piano-trio senza farsene sopraffare, anzi imponendo un proprio punto di vista ritmico, che lo allontana dall'impostazione classico-moderna che privilegia la melodia. In questo senso, Davis forse fa un passo indietro come pianista e mette al centro la sua filosofia di arrangiatrice, conscia di avere al suo fianco due giganti dello strumento come Hurst e Blake, quest'ultimo davvero instancabile giocoliere dei tamburi e piatti, immobile nella postura quanto iper cinetico nelle scansioni del drumkit, con due rullanti a diversa intonazione. Un concerto di notevole spessore, anche se un po' distante dal punto di vista emotivo.

Nobile l'idea del festival di concedere una serata ad una giovane formazione portoghese. Quest'anno è toccato al quartetto del bassista Joao Prospero, che ha composto un ciclo di temi partendo dalla lettura dei romanzi di Haruki Murakami. E a dispetto di un'apparente tranquillità, trasparenza e docilità dell'insieme, non sono mancati i momenti sorprendenti e graffianti, dovuti alla batteria di Gonçalo Ribeiro, al piano di Miguel Meirinhos e alla chitarra di Joaquim Festas.

Su un altro versante, molti i concerti dedicati alla nuova elettronica, alla manipolazione sonora, all'ibrido stilistico. Rafael Toral ha confermato una solida personalità nell'imbastire una cattedrale sonora a partire dalla sua chitarra, il cui trattamento elettronico ne trasfigura le sonorità, con stratificazioni moltiplicate fino a simulare un organo a canne risonante in una chiesa gotica. Le suggestioni del theremin fanno il resto, in un set che ha sofferto di lunghezza eccessiva. Toral inaugurerà la Biennale Musica il prossimo ottobre, con formazione allargata.

Impressionante la figura dell'anglo-iraniana Mariam Rezaei, che da due giradischi + elettronica domina un immane materiale sonoro, scolpito con un montaggio frenetico ma coerente, dapprima in solitudine, poi raggiunta dal rumorismo del chitarrista Julien Desprez e da Lukas König che suona la batteria come fosse un mitragliatore infallibile.

Desprez e Konig sono tornati, con la vocalist Audrey Chen, per il loro progetto Mopcut, con ospiti il rapper americano MC Dalek e Moor Mother.

Il set, costruito sapientemente a partire da atmosfere misteriose ma lanciato verso un climax parossistico, gioca sulla dicotomia tra il virtuosismo astratto di Chen e la vocalità poetico-drammatica di Moor Mother, in forma smagliante. Konig garantisce un groove asfissiante, molto rock-oriented, che tiene insieme la babele di linguaggi che si incrociano e formano un patchwork di gran godimento, anche se gonfiato un po' troppo nella durata.

Il progetto X-Rai Hex Tet combina e mescola atmosfere assai diverse, facendo interagire un sistema elettroacustico di gran fascino. La scena è quella della sperimentazione britannica, con Pat Thomas (piano, elettronica), Seymour Wright (sax alto), Paul Abbott e Crystabel Riley (batterie), Billy Steiger (celesta e violino), Edward George, elettronica, voce recitante.

Sostenuta da pulsazioni frammentate delle due batterie, la musica fluttua con un gioco delle parti raffinatissimo, che porta allo straniamento il racconto storico della voce di George, incentrato sulla colonizzazione britannica dell'inizio del Settecento e la conseguente schiavitu.'

Tra le righe, in questa musica orizzontale, tra silenzi ascetici e un pullulare di eventi puntillistici, fa sempre sensazione seguire i suoni parassitari del sax di Wright, tetragoni a anti narrativi, ma di affilata precisione.

Sul versante opposto, il math-rock di Ahleuchatistas, trio che propone da molti anni un'ossessiva visione sonora, costruita sulla ripetizione di arpeggi e riff (la chitarra di Shane Parish), che sprigionano un congegno ad orologeria con effetti a spirale, con pochi respiri o pause. Le influenze vanno da certi King Crimson alle composizioni per blocchi di John Zorn, vedi il gruppo Simulacrum, anche se qui forse l'influenza è inversa, dato che Ahleuchatistas ha ormai oltre vent'anni dì attività. Accanto ad un metronomico Danny Piechocki alla batteria, svetta la maestria di Trevor Dunn al basso. Sentirlo suonare è sempre un incanto e fa dimenticare una certa noia che assale nella seconda parte del set.

Shane Parish ha anche il giorno seguente offerto un set per sola chitarra al Grande Auditorium, ma questa volta lo strumento è acustico e il repertorio è di standards. Gran godimento.

Stessa sede per il duo Elias Stemeseder (tastiere, elettronica) e Christian Lillinger ( batteria), che ha presentato il nuovo lavoro, Antumbra.

La scena di Brooklyn era presente al festival con due punte di diamante come il trio Thumbscrew e infine il settetto di Patricia Brennan.

Thumbscrew ha ormai un affiatamento facile. Pur se trio paritario, è la personalità di Michael Formanek (contrabbasso) a suggerire l'impianto generale: scrittura predeterminata e un poco algida, dalla quale si sviluppa una conversazione a tre per linee parallele, sia su jazz swingante, che su moduli danzanti —tango, waltz...—declinati sfruttando l'inventiva dei solisti, che è magistrale. Mary Halvorson suona la chitarra qui in maniera piuttosto cool, compassata, tranne un feroce intervento distorto venuto fuori dal nulla, Tomas Fujiwara è batterista prezioso ed empatico, efficace anche al vibrafono, Formanek è colossale al basso. Successo di pubblico caloroso e bis con una versione sorridente di "Orange Was the Color of Her Dress, then Blue Silk" di Mingus.

Patricia Brennan è la compositrice del momento nella scena avant-jazz, dopo i riconoscimenti unanimi ricevuti da Breaking Stretch (Pyroclastic Records), proposto per intero nel concerto finale del festival. Ed in effetti Patricia è musicista meravigliosa, inventiva al vibrafono ma qui soprattutto brillante autrice di un repertorio intenso e coinvolgente, da non intendere superficialmente come una versione postmoderna della tradizione afrolatina. È musica essenzialmente ritmica, è vero,—anzi poliritmica—ma contiene tutta una varietà di sottotesti che emergono in ogni sequenza, trascinati da un gruppo da favola, perfetto sia nella dimensione "danzante" che nelle sfumature di un camerismo vibrante, mai di maniera. Eccellenti tutti, da citare uno per uno: oltre a Patricia Brennan, Adam O’Farrill alla tromba, Jon Irabagon e Mark Shim ai sassofoni, Kim Cass al contrabbasso, Dan Weiss alla batteria, Keisel Jimenez alle percussioni. Era l'unica data europea del gruppo.

Jazz Em Agosto si è concluso così, con un ennesimo sold out, un'organizzazione impeccabile, una riuscita artistica in crescendo.

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