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Roberto Bonati: la coerente complessità della creazione
Courtesy Elisa Magnoni
L’arte vive nelle diversità, mentre oggi le differenze vengono spesso sacrificate a favore dell’omologazione, motivo per cui assistiamo ad una generale ed importante crescita della capacità esecutiva, ma con poco desiderio di poesia
Roberto Bonati
Dopo esattamente diciassette anni, Bonati ci ha concesso questa esauriente e profonda intervista, in cui vengono ricapitolate tutte le componenti del suo composito mondo musicale, soffermandosi fra l'altro sulle tre importanti edizioni discografiche edite negli ultimi mesi: Parfois la nuit con il Madrerla Trio, The Gesture of Sound, The Gesture of Colour alla testa della Chironomic Orchestra e Si erano vestiti della festa, in cui il leader dirige la Parma Frontiere Orchestra. Inoltre viene tracciato un bilancio dei trent'anni di direzione artistica del festival ParmaJazz Frontiere e viene posta una particolare attenzione sulle svariate esperienze di collaborazione con protagonisti della scena europea e importanti istituzioni musicali, per lo più scandinave ma non solo, realizzando attività formative, laboratoriali e produttive, sfociate in concerti nei rispettivi festival. Di molto altro ancora si tratta in questo incalzante colloquio, in cui Roberto Bonati si conferma "musicista completo."
All About Jazz: Cominciamo dalla tua attività di docente al Conservatorio di Parma. Per te l'insegnamento è fonte di ricerca e definizione del tuo mondo musicale?
Roberto Bonati: L'insegnamento è stato per me una grande scuola, un'occasione di studio, di approfondimento e di organizzazione del sapere, ma soprattutto di riflessione profonda sul fare musica. Amo questo lavoro ed è per me molto importante il rapporto umano e musicale con i giovani musicisti, assistendo alla loro crescita e alle trasformazioni che avvengono durante il percorso. Insegnare è una speranza verso il futuro.
Ma credo sia importante qualche considerazione su Jazz e Conservatorio, sulla didattica e i suoi significati. Quando iniziai ad insegnare, nel 1994, l'entrata del Jazz nei Conservatori avrebbe potuto rappresentare un volano per fare un pacifica ma vera rivoluzione all'interno della scuola, portare aria fresca, superare le barriere linguistiche, aprire un porta verso la contemporaneità, ma ciò si è verificato solo in piccola misura, per molte cause: un apparato sempre più burocratizzato; la diffidenza, spesso reciproca, tra i diversi linguaggi e dipartimenti; le problematiche di arruolamento del personale docente e un sistema di assunzioni che non tiene conto delle esigenze delle singole scuole e che tende a omologare; la politica del numero di studenti e l'assimilazione dei corsi jazz a somiglianza del percorso "classico"; non da ultimo, una nostra insufficiente consapevolezza, come musicisti, del potenziale che possiamo esprimere.
A questo si aggiunge il rischio concreto di adottare in modo acritico metodologie didattiche d'oltreoceano. È difficile trovare la giusta strada per insegnare e oggi il rischio è quello dell'accademia, l'accademia della tradizione, degli "stili" e quella dell'"avanguardia." L'arte vive nelle diversità, mentre oggi le differenze vengono spesso sacrificate a favore dell'omologazione, motivo per cui assistiamo ad una generale ed importante crescita della capacità esecutiva, ma con poco desiderio di poesia. In questo senso credo che si stia perdendo una grande occasione, ma resto dell'idea che l'entrata del jazz nei programmi ministeriali rimanga un evento storico e una grande possibilità che dobbiamo a Giorgio Gaslini.
AAJ: Negli scorsi mesi hai pubblicato tre importanti CD, tutti prodotti per l'etichetta ParmaFrontiere. Possiamo parlare, ormai dal 2012, di autoproduzione? Che scelte e criteri attui nell'attività di produttore di lavori tuoi e di altri?
RB: La scelta dell'autoproduzione risale al 2000, quando un produttore di una etichetta italiana al quale avevo proposto Le rêve du Jongleur con la ParmaFrontiere Orchestra e la Schola Gregoriana del coro Paër, mi disse: "ma questa è la musica della messa." Allora capii che, a meno che non mostrasse interesse un'importante e professionale etichetta discografica, non avrei più perso tempo per dedicarmi alla ricerca di un produttore. Decisi dunque di produrre i miei dischi in autonomia e così, dopo alcune pubblicazioni realizzate grazie alla disponibilità di Raimondo Meli Lupi con l'etichetta MMRecords, ho fondato ParmaFrontiere. L'etichetta ha pubblicato finora, oltre ai miei lavori, alcuni dischi di musicisti interessanti come Michael Gassmann e di giovani artisti che sono usciti dal nostro Conservatorio: il duo Pericopes con Emiliano Vernizzi e Alessandro Sgobbio, la pianista Roberta Baldizzone, la cantante Elena Rosselli. Vorrei, nel prossimo futuro, pubblicare alcuni concerti del festival.
AAJ: Spesso all'interno delle edizioni dei dischi inserisci poesie, tue o di altri. Ci puoi parlare di questa tua passione e attività creativa segreta, che affianca quella musicale?
RB: La poesia è sempre stata una mia passione quasi segreta, che in gioventù mi ha fatto percorrere studi letterari. Molti miei lavori musicali, direi quasi tutti, hanno origine dalla letteratura, dal teatro o dalla poesia. Cerco testi sui quali lavorare, dai quali partire per iniziare a comporre, testi da mettere in musica o da recitare. Il rapporto con la parola e col testo è per me molto importante, evocativo, mi mette in una disposizione "altra," suggerendomi a volte una forma. Tornando alle poesie che io ho scritto, forse un giorno mi piacerà pubblicarle.
AAJ: Sia con la Chironomic Orchestra che la ParmaFrontiere Orchestra crei una sintesi personale di jazz e musica contemporanea. Che differenze, di organico, repertorio, impostazione estetica persegui con queste due orchestre?
RB: La ParmaFrontiere Orchestra nasce nel 1998; nel corso degli anni alcuni musicisti sono cambiati, ma circa un terzo dell'organico originario è con me fin dall'inizio: Riccardo Luppi, Mario Arcari, Paolo Botti e Michael Gassmann. Dopo i primi quattro dischi ci fu una lunga interruzione, dovuta principalmente a motivi economici, ma dal 2020 ci siamo ritrovati ogni anno con una nuova produzione. Con questa formazione la musica è stata, finora, in gran parte scritta: l'architettura è predisposta, quasi totalmente definita, pronta per essere provata e presentata in concerto.
Con la Chironomic Orchestra, con la quale lavoro dal 2015, invece non c'è nessuna partitura e utilizzo un vocabolario gestuale per dirigere l'improvvisazione. Alcuni gesti vengono dai vocabolari di Lawrence "Butch" Morris e di Walter Thompson, molti altri sono di mia ideazione. Anche questo, per me, è un lavoro di composizione che però avviene in senso dialogico e collettivo con l'orchestra, in tempo reale e senza gomma per cancellare. In questo caso le prove servono per esplorare le possibilità e i percorsi che possono nascere nel dialogo tra l'orchestra e me stesso. È un processo estremamente interessante e coinvolgente per tutti noi. Negli ultimi anni ho spesso utilizzato questo metodo di direzione gestuale, che chiamo Improvised Chironomy, anche all'interno di brani composti e strutturati sia con la ParmaFrontiere Orchestra che con vari ensemble coi quali ho lavorato in Germania, in Norvegia e in Scozia. Si aprono così delle finestre all'interno di un'architettura definita e si prendono strade devianti rispetto alla strada principale, storie nella storia, con o senza parametri prestabiliti per l'improvvisazione. Il lavoro con l'Improvised Chironomy è affascinante per noi e per il pubblico, in quanto si assiste alla magia della creazione in tempo reale.
AAJ: In Parfois la nuit invece esegui tue composizioni al contrabbasso dirigendo il Madreperla Trio, completato da Luca Perciballi alla chitarra ed elettronica e Gabriele Fava ai sax tenore e soprano. Come sono nati questo progetto e questo trio, con cui riesci a materializzare atmosfere del tutto particolari e suggestive?
RB: Molti anni fa sia Gabriele che Luca sono stati allievi miei e di miei colleghi al Conservatorio Boito; ci conosciamo dunque da molto tempo e, oltre ad avere basi comuni, sono entrambi dei veri "ricercatori." Sono musicisti molto diversi tra loro: Luca è un fantastico creatore di suoni e di paesaggi sonori, mentre Gabriele ha una vena lirica meravigliosa. Due personalità differenti che dialogano costantemente, offrendo al trio molteplici possibilità espressive.
Il risultato del nostro lavoro insieme è per me molto emozionante e siamo tutti e tre davvero soddisfatti del risultato di Parfois la nuit, della musica e del suono finale del disco, che è stato registrato, mixato e masterizzato da Simone Coen, un attento professionista che ha contribuito in modo determinante alla riuscita del lavoro. Noi tre abbiamo trovato un modo particolare di suonare insieme, molto fluido; l'assenza, a tratti, di una pulsazione regolare genera un flusso ritmico che trovo interessante, una polifonia a tre fortemente suggestiva, come anche tu hai osservato. Credo che la musica che facciamo abbia un impatto emotivo intenso ed è questo il risultato che più mi sta a cuore.
AAJ: Inoltre Gabriele Fava, presente in Parfois la nuit, ha vinto l'ultima edizione del Premio Gaslini. Ci puoi sintetizzare la nascita, gli obiettivi, i metodi selettivi del Premio?
RB: Anche Luca Perciballi, anni fa, ricevette il Premio Gaslini, ...sono l'unico del trio [RideN.d.R.] a non averlo ricevuto. Questo premio nasce nel 2015, un anno dopo la scomparsa del Maestro. Insieme alla moglie, Simona Caucia Gaslini, col sostegno del Pio Istituto Manara e della Biblioteca di Borgotaro e grazie all'impegno del dott. Vietti e di Elisa Del Grosso abbiamo creato questo riconoscimento dedicato alla memoria di Giorgio Gaslini. Viviamo in un mondo che corre veloce e che troppo spesso si dimentica dei Maestri e io sono molto felice di poter ricordare, attraverso un premio rivolto ai giovani, una figura fondamentale come Gaslini, che tanto ha fatto per la musica e per le giovani generazioni di musicisti.
La giuria è composta da Franco D'Andrea, Bruno Tommaso e me. Non si tratta di una competizione aperta a candidature: il premio, per così dire, cade sulla testa del prescelto. Attraverso i nostri contatti in Italia e all'estero cerchiamo un giovane musicista under 35 che presenti alcune caratteristiche di Gaslini, che sia cioè un performer ma anche un compositore, portatore di un progetto di creazione musicale. Fin dalla prima edizione, il musicista premiato riceve un riconoscimento in denaro e l'organizzazione di un concerto all'interno del festival ParmaJazz Frontiere. Il premio è stato gestito fino al 2023 dall'organizzazione di Borgotaro; dopo un anno di sospensione, da quest'anno è entrato a far parte delle attività di ParmaFrontiere all'interno del festival.
AAJ: Il festival ParmaJazz Frontiere quest'anno ha raggiunto la trentesima edizione. Qual è il tuo bilancio complessivo dell'esperienza di direzione artistica di questa manifestazione?
RB: Il mio bilancio è assolutamente positivo; abbiamo creato un festival con una identità precisa. Fin dal 1996 si è voluto aprire, nel nome delle Frontiere intese come luogo d'incontro e di confronto, uno spazio laboratoriale attraverso il quale tante produzioni musicali hanno preso vita. Il festival si è mosso da sempre secondo la triade produzione, formazione e ospitalità, presentando e commissionando nuove opere, dando spazio a produzioni di giovani musicisti, ma anche facendo convivere diverse generazioni all'interno dello stesso progetto, e ospitando musicisti, soprattutto europei e italiani, di grande rilievo sulla scena internazionale.
Oggi ParmaJazz Frontiere ha un riconoscimento e un assetto organizzativo ben consolidato; sono grato al nostro ufficio e a tutti coloro che in questi anni hanno lavorato con noi e contribuito all'esistenza e alla crescita del festival, condividendo il nostro progetto. Ci sono stati momenti complessi, soprattutto dal punto di vista finanziario, punctum dolens. Da qualche anno però abbiamo avuto un importante riconoscimento entrando a far parte dei festival supportati, per progetto, direzione artistica e storicità dal Fondo nazionale dello spettacolo dal vivo.
AAJ: E come ci puoi sintetizzare l'edizione del trentennale che si è conclusa in novembre?
RB: Se guardo a questi trent'anni trascorsi, oltre ad un senso di vertigine per il passare del tempo, vedo un filo rosso ideale che unisce le varie edizioni ed è forse questo l'aspetto che considero più importante. Dell'edizione del trentennale sono particolarmente soddisfatto: abbiamo presentato undici produzioni originali, ospitato artisti che hanno fatto la storia del festival come Gianluigi Trovesi e Arve Henriksen, accolto musicisti "nuovi" per il pubblico italiano, come Steffen Schorn e Morten Halle; abbiamo inoltre lavorato intensamente sulla formazione con laboratori per gli studenti del Conservatorio Boito e del Liceo Musicale Bertolucci, mantenendo viva una collaborazione per noi fondamentale con le istituzioni musicali della città. Se questo trentennale è un traguardo importante e significativo, lo abbiamo comunque vissuto come una tappa di un percorso: molte cose abbiamo fatto, tanto resta ancora da fare.
AAJ:Presumo che ti rimanga sempre qualche progetto non realizzato nel cassetto. Quali sono i tuoi progetti prioritari per il prossimo futuro?
RB: Sono tante le cose che vorrei realizzare. Sto preparando l'uscita di due dischi della ParmaFrontiere Orchestra: Quel principio è l'acqua, registrato nel 2023 e il più recente Be a Candle in the Darkness, il mio progetto dedicato alla tragedia della Palestina che ho presentato quest'anno al festival. Sempre con la PFO vorrei finalmente registrare anche Stabat Mater, che attende da alcuni anni. Un secondo disco con il Madreperla Trio è in cantiere, insieme ad un nuovo lavoro in solo dopo Vesper and Silence di qualche anno fa. Sono inoltre in attesa dell'esito di alcuni bandi per progetti di large ensemble per il prossimo anno e incrocio le dita. Mi piacerebbe infine mettere insieme un'orchestra con musicisti europei coi quali ho collaborato in questi anni. Vedremo cosa ci riserva il futuro.
AAJ: Hai sempre collaborato con realtà straniere, sia in residenze e laboratori in cui avete partecipato tu e i tuoi partner, per lo più parmigiani, sia nella programmazione di ParmaJazz Frontiere. Nel 2008 fu la volta del sestetto turco Abis. Cosa ricordi di quella esperienza?
RB: Quella con Abis è stata un'esperienza molto interessante, suonammo ad Ankara e poi qui a Parma col quartetto Musica Reservata. Mettemmo in relazione, attraverso l'improvvisazione, la nostra musica col maqam, la musica tradizionale turca. È stato un vero incontro tra linguaggi. Ho mantenuto rapporti con Cenk Guray, il leader di Abis, e nella prossima primavera tornerò ad Ankara per registrare con lui e tenere una master class all'Università.
AAJ: Da diversi anni ormai la tua attenzione si è orientata verso i paesi del Nord Europa. Ci puoi raccontare quale fu l'input che innescò queste collaborazioni?
RB: I rapporti con il Grande Nord sono iniziati da una grande amicizia con Misha Alperin che purtroppo ci ha lasciati nel 2018. Misha era docente alla Norwegian Academy of Music di Oslo: venne più volte a suonare al festival e a tenere master class al Conservatorio, e nacque tra noi un dialogo artistico molto profondo. Nel 2012 mi invitò a presentare Snow Flowers, un mio lavoro per piccola orchestra dedicato agli Haiku, durante il festival di musica da camera della Accademia di Oslo e da quel momento ho iniziato a frequentare regolarmente Oslo come musicista e come docente di contrabbasso. Da lì nacquero altre collaborazioni. Tor Yttredal, coordinatore del dipartimento Jazz, mi invitò a Stavanger e mi commissionò un lavoro per il Bjergsted Jazz Ensemble, un'orchestra che riunisce docenti ed insegnanti dell'Università di Stavanger. Da questa esperienza è nato il disco Nor Sea, nor Land, nor Salty Waves che trae origine dalla mitologia scandinava narrata nell'Hávamál, uno dei testi dell'Edda Poetica. Intanto io e Tor Yttredal avevamo iniziato a suonare in duo e registrammo il CD Some Red, Some Yellow.
AAJ: Questo rapporto intenso con esponenti scandinavi è poi continuato; con chi e con quali obiettivi laboratoriali si sono strette le collaborazioni in questi ultimi anni?
RB: In quello stesso periodo Anders Jormin, che era docente alla Academy of Music and Drama di Gothenburg, mi commissionò un lavoro per ensemble. Decisi allora di creare, all'interno del festival, l'European Academy Ensemble, un progetto di residenza per gli studenti delle scuole di Oslo, Stavanger, Copenhagen, Gothenburg e Parma, coinvolgendoli come compositori e performer: proponevo loro un tema poetico, storico o sociale e loro scrivevano la musica. In seguito, durante la residenza al festival, si riunivano, provavano insieme e presentavano il lavoro in concerto.
Dopo qualche anno di questa esperienza, insieme a Morten Halle, coordinatore del dipartimento Jazz di Oslo, abbiamo fatto un passo ulteriore. Attraverso il programma Erasmus, abbiamo ottenuto un importante finanziamento dalla Comunità Europea che ha permesso di creare The European Jazz Workshop, un progetto triennale che ha coinvolto cinque scuole europeeOslo, Norimberga, Amburgo, Glasgow e Parmae i festival collegati. Il progetto prevedeva la creazione di cinque large ensemble di venti studenti ciascuno. Nel corso di una settimana gli studenti si conoscevano e suonavano insieme ai docenti delle diverse scuole; tornati a casa, scrivevano la musica e, dopo alcuni mesi, si ritrovavano per una seconda settimana di prove e un concerto al festival della città ospitante.
È stata un'esperienza di crescita straordinaria, sia per gli studenti sia per noi docenti, fatta di sperimentazione, nuova musica e relazioni internazionali importanti per il loro futuro. L'ultimo concerto della prima edizione si è tenuto nell'ottobre 2022 al Teatro Farnese di Parma e dopo una pausa di un anno The European Jazz Workshop è ripartito per una seconda edizione proprio al Conservatorio di Parma e a ParmaJazz Frontiere, con la partecipazione delle scuole di Oslo, Norimberga, Vienna, Parma e Barcellona.
AAJ: Insegnamento, ricerca musicale, direzione del festival parmense, produzione discografica e concertistica, continue e importanti collaborazioni internazionali... Nella tua attività tutto si concatena e interagisce in modo sinergico e in piena autonomia, costituendo la tua autentica e originale unicità; nel contempo, al di fuori di Parma, come si spiega la tua scarsa presenza nel panorama jazzistico italiano?
RB: Sul piano personale e professionale è un fatto che ho avuto finora più possibilità e riconoscimenti all'estero che non in Italia e quindi molte cose sono successe per me altrove. Sarei ben felice di avere più occasioni di suonare la mia musica in Italia dove risiedo. Forse è una domanda che andrebbe posta agli organizzatori italiani [RideN.d.R.]. Tu parli di "autentica e originale unicità" e questo è per me importante, significa aver realizzato negli anni qualcosa di personale. Ciò è stato possibile cercando di capire quale fosse il mio desiderio di stare nella musica e quale fosse il mio mondo espressivo, che è lontano dal mainstream e, forse, è complesso da etichettare. Per quanto riguarda ParmaFrontiere il festival è assolutamente presente, soprattutto grazie al lavoro del vicepresidente Alberto Ferretti, all'interno dell'associazione I-Jazz, che riunisce molti festival italiani e con la quale collaboriamo in modo significativo da molti anni.
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