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Riflettori su Manuel Caliumi

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Parliamo con uno dei sassofonisti italiani più in vista della sua generazione, già segnalato dalla stampa specializzata e molto richiesto dai gruppi più innovativi. Fondamentale è la sua presenza nel quartetto Emong di Michele Bonifati e nel Blend 3 di Andrea Grossi, con cui ha inciso album di alto spessore, ottenendo eccellenti valutazioni critiche. In occasione dell'uscita dell'album Cortado del trio cooperativo Hack Out!, approfondiamo la sua conoscenza in questa sua prima intervista estesa.

All About Jazz: Negli ultimi tre anni risulti essere uno dei sassofonisti più richiesti dai gruppi emergenti e il tuo nome compare in una ventina di album. Tra i più recenti ci sono Cortado del trio HackOut! e Axes dell'Andrea Grossi Blend 3, col batterista Jim Black. Il primo è stato pubblicato dall'etichetta Caligola qualche settimana fa. Ce lo vuoi presentare?

Manuel Caliumi: Cortado è il terzo album di HackOut! un trio cooperativo formato da Luca Zennaro alla chitarra e Riccardo Cocetti alla batteria. L'organico s'è costituito entro il conservatorio di Rovigo ed ha pubblicato due dischi: Cedrus Libani e Sad Music for Happy Elevators. Il primo è stato registrato nel periodo della pandemia ed è uscito nel 2021 mentre il secondo è del 2023, frutto di una residenza artistica all'Istituto italiano di cultura a Parigi. Questo terzo album è frutto della residenza artistica fatta a Madrid a febbraio del 2024, sempre all'istituto di cultura italiano.

AAJ: Che ricerca sviluppate?

MC: Abbiamo riferimenti musicali molto diversi e la musica ne risente. Ci sono momenti molto liberi, altri composti e influenze che includono anche il rock. In tutti nostri lavori ci sono alcuni brani composti dai singoli che vengono però arrangiati collettivamente; altri ancora sono sviluppati dall'inizio alla fine in modo collettivo. Ricordo che a Madrid avevamo una saletta dove provavamo tutti i giorni e si concepivano i brani partendo da zero. È interessante lavorare con Luca e Riccardo perché con i nostri differenti background cerchiamo di muoverci in una scrittura diversa da quella tradizionale sperimentando timbriche, spazi, equilibri tra scrittura e improvvisazione radicale, oppure tra suoni acustici ed elettrici: mentre sax e batteria sono esclusivamente acustici, Luca è un chitarrista elettrico e spinge in quella direzione.

AAJ: Parlaci di Axes dell'Andrea Grossi Blend 3 con Jim Black.

MC: Con Andrea, il leader del trio, ci siamo conosciuti al conservatorio di Parma, dove ho frequentato il triennio. Il nostro percorso discografico inizia nel 2019 con Lubok, prosegue nel 2020 con Four Winds in un ampio organico, continua nel 2022 con Songs and Poems ospitando la cantante Beatrice Arrigoni ed oggi siamo al quarto capitolo con la presenza di Jim Black. Con Andrea si è creato da diversi anni un rapporto simbiotico, sia musicale che umano, la parte compositiva è sua ma l'ensemble lavora come un collettivo. Sia io che Michele abbiamo l'interesse nel ricercare insieme un suono unificante che possa funzionare con la musica di Andrea.

Questo disco ha una direzione un po' diversa perché avere un batterista come Jim Black indirizza molto la direzione musicale. Il progetto con Jim Black è stato un percorso lungo ed Andrea ha progettato la scrittura proprio per quel batterista, non per un drummer qualsiasi. Il trio è nato come organico senza batteria ed anche per noi è stata una sfida lavorare nel nuovo contesto. Come avevamo già fatto con l'ingresso di una voce abbiamo portato avanti l'idea di sperimentare nuovi equilibri e nuovi ruoli. Nei mesi scorsi abbiamo ripreso a suonare col solo trio ed è stato bello riscoprire l'identità originaria della formazione.

AAJ: Com'è nata questa collaborazione?

MC: Andrea ha coinvolto Jim perché voleva proprio lui e non altri. Andrea e Jim s'erano conosciuti, non ricordo in quale contesto, erano rimasti in contatto e Jim s'è mostrato disponibile a realizzare il progetto, in un periodo meno affollato della sua attività. Abbiamo registrato l'anno scorso a novembre in quattro giorni intensi.

AAJ: Oltre ai diplomi con lode ai conservatori di Parma e Rovigo più varie masterclass, hai vinto una borsa di studio per il Columbia college di Chicago. Com'è andata?

MC: Una decina d'anni fa, in uno dei miei primi seminari, vinsi una borsa di studio per una masterclass con Dave Douglas a Chicago. Durò una decina di giorni a facemmo anche qualche concerto al Jazz Showcase suonando il suo repertorio. Fu una bella esperienza. Douglas era un po' severo e in quei giorni mi arrivarono dei giusti e proficui schiaffi morali. Già che ero là andai per una decina di giorni a New York e feci qualche lezione privata con Melissa Aldana, David Binney e Loren Stillman. È stato un periodo intenso anche se non lungo e tornai a casa molto caricato, con una lunga lista di cose da fare.

AAJ: Non hai avuto la tentazione di tornare o rimanere ?

MC: Per la verità sono ritornato a New York altre due volte, nel 2018 e nel 2024. Ovviamente New York è una città molto stimolante a livello musicale e ogni sera c'è l'imbarazzo della scelta di concerti da ascoltare o jam session a cui partecipare. Non ho mai avuto l'idea di trasferirmi perché avevo diversi progetti anche in Italia. Certamente è un grande impegno, ho amici che hanno fatto il grande passo ma non è come trasferirsi in una città europea...

AAJ: Andando un po' indietro negli anni. Come è nato l'interesse per il jazz?

MC: Io vengo da Carpi ed ho iniziato a muovere i primi passi nella musica quando i genitori m'iscrissero al corso propedeutico del locale conservatorio. Tutto nasceva dal forte interesse che avevo per la chitarra fin da bambino. All'età di 11 anni, finito il corso propedeutico bisognava fare la scelta dello strumento per entrare nel corso accademico ed io avevo in mente di scegliere la chitarra. I docenti vennero in aula per presentare i loro strumenti e quando sentii il sassofono cambiai rotta, fui completamente affascinato e decisi di provarlo. Iniziai a studiare facendo anche delle lezioni private. Ascoltavo di tutto ma mai jazz. In una lezione di qualche anno dopo un docente mi chiese: "Hai mai ascoltato Charlie Parker?" Io non sapevo proprio chi fosse. Lui prese un CD dalla borsa e mise su "Yardbird Suite." Da subito mi colpì l'iniziale pedale di contrabbasso ma quando entrò Parker rimasi folgorato. Non riuscivo a capire come il sax potesse riuscire a suonare in quel modo... mi sembrava qualcosa di extraterrestre. Al tempo prendevo ancora la paghetta e nei giorni seguenti mi precipitai in uno storico negozio di dischi di Carpi per comprare qualcosa di jazz. Un mio amico mi aveva accennato a John Coltrane e quando mi trovai in mano A Love Supreme fui colpito dalla copertina con quel volto enigmatico e non ebbi dubbi. Dal suo quartetto ebbi un'altra folgorazione, lo ascoltavo in continuazione e ancora oggi mi colpisce profondamente. Cambiai completamente i miei ascolti e la direzione delle cose.

AAJ: Le tue scelte espressive sono più orientate all'innovazione che al mainstream. Qual è il ruolo dell'improvvisazione nella tua musica?

MC: Direi centrale. Mi è sempre piaciuto improvvisare liberamente, anche in solitudine. Ad esempio mantenendo delle piccole cellule compositive a cui aggrapparsi durante l'assolo. Anche quando sono impegnato in contesti mainstream mi piace approcciarmi in quel modo, mantenendo l'armonia come boa a cui aggrapparsi ma costruendo il solo in modo libero.

AAJ: Ci sono stati altri sassofonisti dell'avanguardia storica particolarmente significativi?

MC: Ho molto ascoltato e posto attenzione al Coltrane dell'ultima fase a cui aggiungo Ornette Coleman, Eric Dolphy e tutta la fase innovativa degli anni sessanta, incluso il secondo quintetto di Miles Davis. Cito ancora Roscoe Mitchell e Steve Lacy che ho sviscerato negli ultimi anni quando mi sono messo a studiare il sassofono solo. Questo tema è stato anche l'oggetto della mia tesi al conservatorio di Rovigo.

AAJ: Alcuni dei partner con cui hai collaborato recentemente sono chitarristi, come Michele Bonifati, Luca Zennaro, Marcello Abate o Simone Basile. C'è una ragiona particolare, magari inconscia, visto che avevi iniziato come chitarrista?

MC: Ah.. è una domanda interessante. Non so proprio dirti se c'è qualcosa d'inconscio che mi spinge a rapportarmi con la chitarra... È vero che con le chitarre mi trovo bene e ho suonato molto con chitarristi, anche diversi nello stile. Per esempio il progetto HackOut!, di cui sono co-leader, è partito del suono della chitarra anche nella mia mente.

AAJ: I gruppi di cui fai parte hanno svolto significative esperienze all'estero, ospitati dell'Istituto italiano di cultura. E se non sbaglio sei in procinto di andare in India e in Cina con il trio HackOut! .

MC: Si, il tour è imminente e siamo molto occupati con i visti e l'organizzazione. La musica che presentiamo è quella di Cortado. Il tour partirà da Nuova Delhi, proseguirà in India per altre quattro tappe e giungerà nel sud della Cina per tre concerti, poi andremo a Hong Kong e chiuderemo con le ultime due date all'Istituto Italiano di cultura di Pechino e al locale Blue Note.

AAJ: Il 17 ottobre 2024, l'istituto Italiano di Algeri ha promosso un tuo concerto con due strumentisti algerini, un sassofonista e un percussionista. Già sulla carta appare come un'esperienza singolare. Ce ne vuoi parlare?

MC: Sono stato selezionato dal bando MIDJ "Progetto Air," per una residenza in una delle 15 sedi dell'Istituto italiano di cultura nel mondo. La città che mi hanno assegnato per sorteggio è stata Algeri e avevo il compito di preparare un progetto per due concerti con musicisti locali. Ad ottobre sono andato là, sono stato accolto benissimo dalla direttrice e dai collaboratori, ed ho iniziato a provare con il tenorista Arezki "Aki" Bouzid ed il percussionista Abdelhakim Aït Aïssa. Al primo incontro abbiamo improvvisato insieme senza niente di scritto ed ho capito che avevamo basi musicali completamente differenti. L'approccio ritmico in particolare. Negli incontri successivi abbiamo iniziato a provare alcuni brani scritti da me e c'è voluto del tempo perché iniziassi a entrare nei loro schemi ritmici, completamente differenti dai nostri. Alla fine il confronto è stato bello e proficuo, sia per me che per loro, ed i concerti hanno avuto successo. Per entrambi i concerti il pubblico era misto. Il feedback degli algerini è stato alto e la cosa più incredibile è vedere che ballavano. In particolare i due brani ritmicamente serrati hanno scatenato la platea e ci siamo trovati a suonare di fronte a un pubblico danzante. Hanno un rapporto stretto con la corporeità che noi europei abbiamo perso.

AAJ: Cosa c'è nella tua agenda per il prossimo futuro?

MC: Diversi nuovi progetti in cantiere. Tra quelli che si concretizzeranno nella primavera del 2025 c'è il trio HeartBeat di Alessandro Rossi, il quartetto Um/Welt di Marco Centasso e il quartetto di Max Trabucco con Federica Michisanti. Foto di Rocco Delillo.

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