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Merano Jazz Festival and Academy 2024

Courtesy Ewald Kontschieder
Varie sedi
Merano Jazz Festival and Academy 2024
Merano
15-21 luglio 2024
Un festival può far scattare connessioni, relazioni, corrispondenze, sia sotto il punto di vista intellettivo, nella sfera dell'astrazione, che nella concretezza dei rapporti umani. La sinergia tra momenti di ascolto, proposte concertistiche e formazione musicale nella didattica di laboratori e masterclass è sempre stata una caratteristica di Merano Jazz, il festival nella città termale attraversata dal Passirio. Quest'anno le acque del torrente erano particolarmente vorticose e spumeggianti, vista la quantità di pioggia caduta nella primavera e nei primi mesi dell'estate. Un'energia che bene si sposava con il cartellone dei concerti e con l'attività della Academy, giunti a rimarchevoli traguardi: rispettivamente della ventottesima e della ventitreesima edizione.
L'attività concertistica, come sempre minimale nel numero, ma di notevole sostanza, metteva in campo tre appuntamenti di alto livello, combinati in modo tale che sembravano tratteggiare un ventaglio di stili, approcci, organici strumentali esemplari nella poliedrica qualità esperienziale della musica africana-americana. Una sintetica ma significativa gamma di situazioni, di stimolo non solo per il pubblico, ma anche per i quasi cento allievi provenienti da tutta l'Europa, che assiepavano le classi dell'accademia. Dove quest'anno pure la squadra degli insegnanti era ricca, con sedici titolari provenienti da otto Paesi. Tra loro, spiccavano i nomi di Dave Holland e John Scofield, protagonisti in duo anche del primo appuntamento concertistico, e naturalmente di Franco D'Andrea, fondatore dei corsi meranesi insieme a Ewald Kontschieder.
Torniamo ai concerti e alla loro valenza esemplare. In primo luogo, sollecitavano il confronto gli organici strumentali, dal duo di chitarra e contrabbasso, al trio con chitarra e ritmica, al quartetto con tromba, al sestetto timbricamente eclettico. Allo stesso modo, la varietà stilistica e di approccio delle proposte era di stimolo per l'ascoltatore attento. Eccellenti in tal senso sono stati i tre appuntamenti al teatro Kimm, visto che il trio con il chitarrista germanico Michael Sagmeister, collocato all'aperto in una piazza un tantino rumorosa e dispersiva, non ha evidenziato particolari virtù, esaltando l'aspetto muscolare, oltremodo estroverso del leader e mostrando la disposizione a nobilitare la proposta da parte dei suoi giovani collaboratori, i fratelli Andrea e Alessandro Ruocco, rispettivamente al contrabbasso e alla batteria.
Holland e Scofield, in dialogo nella serata d'apertura del festival, hanno confermato e potenziato la notevole impressione fatta nel tour europeo del 2021. La poesia dell'improvvisazione e la forza di una serie di brani composti nel tempo dai due musicisti, e ben radicati nella memoria affettiva di tanti ascoltatori, hanno portato il dialogo di contrabbasso e chitarra su alte corde emozionali, in un tessuto sontuoso, una comunicazione serrata ma ricca di spazio, di respiro, di storia da sondare e storie da raccontare. "Go Blow" e "Easy for You" di Scofield, "Not for Nothing" e "Mr. B." di Holland hanno acceso l'empatia con il pubblico. Un "See, Mine Are Blues" a rotta di collo e l'intenso classico "Memories of Home" hanno lasciato un alone di incanto.
La masterclass gestita dai due musicisti il giorno successivo ha proseguito sulle tracce dell'intenso dialogo estemporaneo, impostata come una chiacchierata a botta e risposta, nella quale si inserivano le domande degli allievi. Anche in questo caso, venivano ribaditi concetti come la condivisione di idee, la creazione dello spazio nella musica, la gioia della scoperta condivisa, l'importanza di imparare uno dall'altro e di sapersi ascoltare.
Con gli stessi stimoli e criteri, applicati a un quartetto, si poteva seguire il concerto successivo, del gruppo di Roberto Gatto con Alessandro Presti alla tromba, Alfonso Santimone al pianoforte e Gabriele Evangelista al contrabbasso. Una formazione che non si ascolta di frequente, ma che senza dubbio realizza l'idea elastica e aperta di jazz del leader, i cui ingredienti sono la pregnanza della comunicazione musicale, la coesione e lo stimolo tra talenti di generazioni diverse, lo sguardo attento sia alle radici della grande tradizione, che all'innovazione. L'inserimento, accanto a pezzi originali di Gatto e Presti, di brani come "De-Dah" di Elmo Hope, "Kool" di Mary Lou Williams, "Gardenia" di Gary Peacock, dava una misura di quanto la proposta spaziasse con sagacia nella storia del jazz, tracciando intuizioni tra storia e attualità. Una formazione pregiata nei contributi dei singoli, giocata tra l'eleganza di Gatto ed Evangelista e la misurata ma audace forzatura delle regole attuata da Presti e Santimone.
Una declinazione ancora diversa degli stessi principi è stata presentata da Sylvie Courvoisier con il suo Chimaera, che riproponeva alcuni brani del recente CD omonimo. Ispirandosi al lavoro del pittore simbolista Odilon Redon, riproponendo nei titoli dei brani alcune sue opere o evocandone le visioni fantastiche, la pianista compone ampi panorami sonori in cui le parti scritte e quelle libere si intrecciano con intensità. Risalta la sua capacità di assemblare le personalità giuste per il proprio lavoro, che contribuiscono in modo fluido alle combinazioni timbriche, ai contrasti tra masse sonore, tra episodi sospesi e coaguli su motivi circolari polarizzanti. Nei trenta minuti del brano iniziale, "Le pavot rouge," un tema arcano scaturisce, si immerge e riaffiora da un ostinato, sul quale respira e si snocciola una rete strumentale in costante metamorfosi.
La tromba di Nate Wooley scandaglia articolazioni insolite, qui solitaria rispetto all'abbinamento con Wadada Leo Smith nel disco. La chitarra e le alchimie elettroniche di Christian Fennesz disegnano contrasti, anche aspri, mentre il vibrafono di Kenny Wollesen e il contrabbasso di Drew Gress legano l'insieme con reti gentili e flessibili. La batteria di Nasheet Waits (a volte anche in abbinamento con Wollesen) costruisce geometrie nello spazio. Ma i ruoli sono continuamente messi in gioco, si trasformano con la musica, i musicisti sono al contempo gli attori le cornici. Il pianoforte della leader è costantemente presente, ma in modo impalpabile, un'impronta che dà forma e stile. Un mirabile esempio di relazione, apertura, esplorazione.
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