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Jazzfest Berlin 2025

Jazzfest Berlin 2025

Courtesy Daniele Torresan

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Jazzfest Berlin 2025
Haus der Berliner Festspiele, Quasimodo Jazz Club, A-Train Jazz Club, Chiesa monumentale Kaiser Wilhelm
Berlino
30 ottobre—2 novembre 2025

Già nella prima serata di questa sessantaduesima edizione, il Jazzfest Berlin calava senza indugi una delle sue carte vincenti, con Wadada Leo Smith e Vijay Iyer sul grande palcoscenico, la Große Bühne della prestigiosa Haus der Berliner Festspiele. Il silenzio sospeso dell'ascolto, nella sala che contiene circa mille spettatori, dava la misura dell'intensità circolata tra musicisti e pubblico durante il concerto. I materiali erano quelli del disco recentemente pubblicato da ECM, Defiant Life, in parte frutto della stretta relazione tra i due musicisti, che secondo le stesse parole di Wadada intende "restare aperta davanti a vasti momenti di ispirazione, sui quali abbiamo riflettuto per un bel po' di tempo, senza volerli risolvere totalmente."

In parte basata sulle partiture degli stessi protagonisti, come il pregnante "Floating River Requiem," dedicato da Wadada a Patrice Lumumba, percorso dalle note e dagli accordi gravi del pianoforte, ribattuti come campane e colpi di martello, con arcana efficacia. Le note distillate della tromba si dipanano qui e per tutto il concerto con forza assertiva ed enigmatica, strozzate e aperte, avvitate e increspate. Una gamma ampia che ben conosciamo, ma che in questa occasione sonda le profondità abissali con purezza metafisica ancora maggiore. L'ombra di Miles appare in tante cellule melodiche, nell'intensità di inflessioni e introspezioni. Ma siamo indubbiamente nel campo di Leo Smith, nella luce tersa e cosmica delle sue narrazioni.

Iyer passa con intima sapienza costruttiva dal pianoforte al Rhodes all'elettronica, in lucidissima funzione generativa e propositiva, di contrasto e colloquio, di sostegno e sintesi. Musicista maturo, riferimento della scena attuale, forse è superfluo ribadirlo. Qui, nell'autentico incontro di titani, con una leggenda vivente da cui ha tratto ispirazione nel corso di due decenni, la cosa risalta in tutto il proprio nitore.

Altre carte di grande interesse vengono giocate dal festival nella prima giornata, a partire dalla chiacchierata pubblica nel foyer del teatro con lo stesso Wadada, che illustra la propria filosofia con il supporto delle proiezioni di sue composizioni, realizzazioni grafiche e simbologie originali, di notevole suggestione. Poi, ecco il concerto di esordio nella sala grande, che vede impegnato il trio Beyond Dragons di Angelika Niescier, Tomeka Reid ed Eliza Salem. Gruppo che apre un'edizione in cui la presenza femminile è folta e molto significativa.

L'introduzione di Niescier, con il sax alto teso e concitato, risponde a modo suo alla domanda che il festival di quest'anno poneva come traccia della propria esplorazione: "Dove corri, mentre il mondo va in fiamme?." Quesito che si pone Marc Ribot nel suo ultimo album Map of a Blue City e che l'appuntamento berlinese diretto dalla vivace Nadin Deventer ha fatto proprio. L'esuberanza della sassofonista germanica si stempera nel corso del concerto, con il violoncello di Tomeka che costruisce strutture tra morbidi ostinati e trasparenti contrappunti, e la giovane batterista in bella evidenza dinamica, ricca di varianti e intrecci metrici.

La prima serata si conclude al Quasimodo, storico club berlinese coinvolto nel festival insieme all'A-Train, dove Capatosta, trio di Tim Berne con Gregg Belisle-Chi alla chitarra elettrica e Tom Rainey alla batteria, dà fuoco alle polveri. Ben galvanizzato da un pubblico assiepato e reattivo, il trio macina energia contagiosa, con musica febbrile, estroversa, diretta ma ricca di sfumature. Tra i brani, spiccano "Oddly Enough," con gli unisoni brucianti di sax alto e chitarra, due personalità di generazione differente che hanno trovato densa empatia, e "Clandestine." La sintonia dei tre è speciale, le trame fitte e incalzanti arginano saldamente la vivace platea.

Purtroppo, l'accavallamento o la vicinanza degli appuntamenti nei club con le proposte nella Große Bühne non ci ha permesso di assistere agli altri concerti, seppure allettanti, là programmati. Siamo riusciti solamente a seguire il sound check di Ribot allo stesso Quasimodo, dove il chitarrista presentava il proprio ultimo lavoro, una mappa di città blu a lungo meditata negli anni. Proposta intima, quasi noncurante tra la chitarra (anche qualche pennellata di ukulele) e la sua voce sussurrata, di intonazione vaga e così suggestiva. È il lato più segreto e delizioso del chitarrista. Pregnante.

Si diceva della folta presenza femminile nel programma: le occasioni di prima qualità non sono mancate, in particolare con il sestetto Amaryllis di Mary Halvorson e il settetto della vibrafonista di origine messicana Patricia Brennan. Proposte nella stessa serata, vedevano quest'ultima impegnata in ambedue le formazioni, evidenziando la notevole attività e l'attenzione di cui è oggetto attualmente. Nei due organici era presente inoltre la tromba di Adam O'Farrill, altra figura di tutto riguardo della scena contemporanea tra i trenta e i quaranta.

Le due formazioni si potevano definire speculari, non solo per le ragioni sopra esposte. Infatti mettevano in scena organici allargati, con esteso impegno per l'orchestrazione, per la dialettica tra gli strumenti e l'audace, intricata sovrapposizione di piani sonori e metrici, sia negli episodi scritti che in quelli di improvvisazione. Nella proposta di Halvorson, ridotta per l'assenza dei due sax rispetto al disco About Ghosts pubblicato lo scorso giugno, prevaleva l'impronta delle geometrie astratte, dei temi allusivi, ricchi di contrasti, con un repertorio tratto interamente dal lavoro sopra citato. Il suo smalto di leader, di chitarrista, di compositrice ha brillato in brani quali "Full of Neon," "Absinthian," "About Ghosts," con l'apporto notevole, oltre che dei solisti citati, di Jacob Garchik al trombone, Nick Dunston al contrabbasso, Tomas Fujiwara alla batteria.

Altrettanta compagnia di formidabili musicisti, a loro volta leader di proprie formazioni, schierava il settetto di Brennan, con Jon Irabagon al sax alto e sopranino, Mark Shim al tenore, Kim Cass al contrabbasso, Mauricio Herrera alle percussioni. Nuovo componente rispetto al disco Breacking Stretch, registrato nel 2023, alla batteria sedeva Dan Weiss. La sua sensibilità ha fatto risalto nel dialogo con Herrera, fitto ma arioso. Anche in questo caso, il repertorio era tratto dal lavoro nel CD, tra le realizzazioni più apprezzate dello scorso anno discografico. Qui le maglie si stringevano attorno a una personalissima visione del contatto tra aromi latino-caraibici e confidenza con le articolazioni polimetriche, stratificate della contemporaneità.

Numerosi erano i gruppi orchestrali presentati nel cartellone berlinese, ma quello che ci ha maggiormente convinto ha visto protagonista la Fire! Orchestra, organico diretto dall'inesauribile energia del sassofonista baritono Mats Gustafsson, che presentava la première mondiale del suo lavoro Words. Una lunga suite con episodi a forte contrasto dinamico ed espressivo, che ha concluso nell'ultima serata le proposte della grande sala tra l'esultanza del pubblico. Le varie parti, pur differenti e antitetiche nel loro utilizzo di gruppi strumentali eterogenei, con voci, archi, ance, ottoni, elettronica, pianoforte, chitarra elettrica, erano congegnate in un meccanismo narrativo di mirabile coerenza e dialettica. Nel nutrito organico, preponderante era la componente femminile e la provenienza era da tutta l'Europa, ma pure dal Canada (la trombettista Lina Allemano) e dal Brasile (la batterista Mariá Portugal, che ricordiamo due anni fa al festival berlinese nello strepitoso trio di Fred Frith).

Altra grossa formazione, illustre nella storia del jazz in Europa, era la London Jazz Composers Orchestra diretta dal suo artefice Barry Guy. Fondata più di mezzo secolo fa, da tempo non si presentava sulla scena e in questa occasione tornava con una nuova elaborazione di Guy della propria suite "Double Trouble." Con organico totalmente rinnovato attraverso l'introduzione di nuove leve provenienti da Gran Bretagna, Germania, Austria, Svizzera, Norvegia, Stati Uniti, con l'apporto ulteriore di due pianoforti, interpretati da Marilyn Crispell e Angelica Sanchez, l'orchestra ha lavorato diligentemente sulle partiture, ben lontana però dalle roventi interazioni dell'insieme con la gestualità di Guy, dalla libertà dinamica e creativa prodotta nei tempi migliori.

Guy si presentava anche all'A-Train il giorno successivo, in trio con la stessa Sanchez e con Ramón López alla batteria, ma per le ragioni già dette di sovrapposizione, con rammarico non abbiamo potuto ascoltare la performance, così come quella di James Brandon Lewis al Quasimodo e di Allemano, che ha portato il suo interessante e longevo quartetto all'A-Train. In quest'ultima occasione, eravamo impegnati alla sala grande, al concerto del quartetto di un veterano quale David Murray, che nella sua Birdly Serenade rispolverava con un certo affanno un passato di solista dalla forte vena drammatica al tenore e al clarinetto basso, allineando nel gruppo solisti eccellenti quali Marta Sanchez al pianoforte, Luke Stewart al contrabbasso, Russell Carter alla batteria.

Nella stessa serata, il set del quartetto di Makaya McCraven ha alimentato quella poderosa fusione di jazz, hip-hop e altre influenze nero americane che caratterizza la sua articolata vicenda, ricca di sfaccettature e contrasti. Un approccio spontaneo e muscolare, sviluppato a Chicago nella scena più estroversa e diretta della città ventosa. A Berlino il batterista ha portato un quartetto, con Matt Gold, fido chitarrista che si alterna a Jeff Parker nelle collaborazioni con Makaya, l'altrettanto fedele Marquis Hill alla tromba e il bassista Junius Paul, punto di riferimento tenace e pulsante di una proposta sincera e vigorosa.

Con i suoi circa seimila spettatori nell'arco di quattro giorni (il costante tutto esaurito nella sala grande), con la qualità delle proposte che captano le mappe più articolate della scena internazionale, con le iniziative e le attività collaterali rivolte in particolare alla formazione, l'appuntamento di Berlino ha ben risposto alla domanda iniziale. Resta un punto di riferimento imprescindibile della musica contemporanea.

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