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Jazz&Wine Of Peace 2024

Courtesy Luca D'Agostino
Varie sedi
Jazz&Wine of Peace 2024
Cormons e altre località del Friuli e della Brda slovena
23-27 ottobre 2024
Una presenzassenza ha caratterizzato la ventisettesima edizione del festival Jazz&Wine Of Peace, svoltasi dal 23 al 27 ottobre a Còrmons e, come sempre, nello splendido territorio che circonda la cittadina friulana: quella di Mauro Bardusco, da sempre direttore artistico della rassegna e che lo è stato di fatto anche di questa, completando il lavoro prima di andarsene prematuramente il 5 giugno scorso (clicca qui per leggerne un ricordo collettivo). Evocato a ogni spettacolo, a Bardusco sono stati dedicati esplicitamente due dei concerti in programma: giustamente, perché le sue scelte e la sua persona sono sempre state decisive per l'identità di un festival le cui fortune dipendono in primo luogo da una programmazione contraddistinta dalla varietà e dall'equilibrio, ma anche dal coraggio di presentare proposte ora estreme, ora poco note, ora provenienti da contesti geografici o artistici inusitati. La figura di Bardusco per tutti, Mauro già mancava, agli appassionati, ai musicisti e ai suoi colleghi del Circolo Controtempo, da non molto orfani dell'altro fondatore Fulvio Coceani, scomparso due anni orsono, ai quali adesso spetterà l'onere di sostituirlo degnamente.
Ma il festival, come avrebbe voluto Mauro stesso, è andato avanti e, anche quest'anno, ha presentato un programma ricco di eccellenze. Dopo un prologo con il piano solo di Jason Moran, il pomeriggio del 23 a Gradisca, la rassegna è stata formalmente inaugurata dal quartetto Blue Moka, il mattino del 24 presso la Cantina Jermann, a Dolegna: di questi due concerti si è detto un gran bene, e ci spiace non poterli documentare.
Il primo pomeriggio di Giovedì 24, presso il sontuoso Castello di Spessa, a Capriva, è stata la volta del concerto per sola chitarra dell'austriaco Wolfgang Muthspiel. Una performance intima e intensa, condotta con una certa libertà e molta improvvisazione, la cui prima parte ha richiamato la poetica di Egberto Gismonti, spesso con un accompagnamento ritmico battente sotto le linee degli arpeggi. Temi originali, perlopiù presi da composizioni proprie, ma anche nati sul momento, come testimoniato da uno suggerito dall'allarme di un telefono risuonato in una pausa. Dopo una mezz'ora aperta e sospesa, l'ultima parte ha presentato due improvvisazioni su temi non originali e tra loro diversissimi "All My Loving" dei Beatles e un movimento della prima suite per violoncello di Bach mutando così scenario, ma solo parzialmente, perché lo stile, i fraseggi, la perfezione del lavoro sulle corde sono rimasti i medesimi, così come l'apprezzamento del pubblico, attentissimo, che ha tributato all'artista lunghi applausi. Un concerto, in effetti, non meno sontuoso della sala in cui si teneva.
Giusto il tempo di percorrere i pochi chilometri che separano Capriva da Lucinigo, e a Villa Attems era pronto il quartetto del vibrafonista Joe Locke, al quale si aggiungeva il chitarrista italiano Matteo Prefumo. Tempi veloci e strutture tradizionali per una formazione brillante e allegra, con brani perlopiù originali, ma sempre dal gusto classico e swingante. Tutti molto bravi i musicisti, dal pianista Jim Ridl al contrabbassista Lorin Cohen, fino al batterista Vladimir Kostadinovic. Menzione speciale per il chitarrista genovese, abilissimo e dallo stile à la Metheny, autore anche di un eccellente brano. Ma la parte del leone non poteva che farla il sessantacinquenne vibrafonista, che ha esaltato i colori di cui è capace lo strumento usando le eco senza effetti speciali, ma in modo assai efficace, suonando con radiosa e contagiosa gioia. Innovazione e sperimentazione stanno altrove, ma la musica era vibrante, coinvolgente e suonata benissimo: il jazz è anche questo, e dà soddisfazione anche così.
Un po' meno soddisfazione l'ha invece data il quartetto della sassofonista londinese di origini nigeriane Camilla George, che ha chiuso la giornata dopo cena, come tradizione al Teatro Comunale di Còrmons. Un concerto statico, scarsamente comunicativo, incentrato su estetismi in chiave blues, con la George, al contralto, che suonava linee semplici e un po' monotone, senza convincere né espressivamente, né narrativamente, mentre il pianista e tastierista Renato Paris, ancora più elementare, spesso aggiungeva un canto banale e fuori luogo. Un po' meglio la ritmica, con Dan Casimir che alternava basso e contrabbasso, e soprattutto Rod Youngs, che alla batteria ha donato sprazzi di vivace originalità, senza tuttavia sollevare la musica dal calligrafico.
Il mattino di Venerdì 25 l'Abbazia di Rosazzo è stata la cornice ideale per il primo Concerto per Mauro in programma, quello di Glauco Venier e Mirko Cisilino, due artisti che Bardusco lo conoscevano molto bene e che proprio con lui avevano concordato un programma singolare, per tromba e organo da chiesa Venier, oggi apprezzato pianista, in origine era diplomato in organo. Un concerto raccolto e poetico, fatto di brani provenienti da ogni genere di musica -classica, antica, sacra, popolare, lirica, più qualche composizione originale. Lo ha aperto nientemeno che "In a Silent Way" il Miles elettrico per organo da chiesa... ma vi hanno trovato posto Janis Joplin e Puccini, Duke Ellington e la musica medioevale. Bellissime le note dell'organo, piccolo e in posizione laterale, usato benissimo da Venier, ma non meno suggestive quelle della tromba, magistralmente suonata da Cisilino con perfetta dinamica e splendido timbro, anche quando usava la sordina. A concludere, come bis e ulteriore omaggio, due brani del "Quartetto Europeo" di Keith Jarrett, anche se ha confessato Venier Mauro preferiva quello americano.
Nel primo pomeriggio, alla Villa Nachini Cabassi di Corno di Rosazzo, il trio del trombonista Samuel Blaser ha proposto una musica moderna e raffinata, basata soprattutto sulla strettissima interazione e l'elaborazione collettiva di idee musicali individuali. L'improvvisazione l'ha fatta da padrona, anche se a partire da strutture e indicatori che i tre si gestivano visivamente, sulla base dell'ascolto reciproco e di piccolissime indicazioni gestuali. Così come il trombonista svizzero, anche Marc Ducret è un grande manipolatore del suono, capace di muoversi tanto entro situazioni spigolose o estreme, quanto in altre più rilassate e liriche; i due si scambiavano con frequenza il testimone di leader, variando costantemente gli scenari, mentre il batterista danese Peter Bruun suonava in modo quasi indipendente, garantendo uno sfondo vario, adeguandolo al lavoro dei compagni e giungendo anche a momenti di forte e intensa irruenza. Ne è scaturita una musica al tempo stesso astratta, per linee e fraseggi, e materica, per l'intensità del suono, caratterizzata dal sorprendente ed entusiasmante contrasto timbrico tra trombone e chitarra. Pubblico, giustamente, deliziato.
Nella seconda parte del pomeriggio, al Teatro Comunale di Gradisca, il festival è proseguito con un altro concerto di grande richiamo, quello del trio di Marc Copland. Affiancato da un'eccellente e affiatata ritmica francese, Stéphane Kerecki al contrabbasso e Fabrice Moreau alla batteria, il pianista americano ha sviluppato una musica di incomparabile classe, ponendosi nel solco della tradizione evansiana del piano trio, ma interpretandola davvero al meglio. In un'alternanza di brani classici e composizioni originali (non solo del pianista, perché c'è stato spazio anche per un'omaggio del contrabbassista a Gary Peacock, che con Copland ha suonato più volte) il concerto è vissuto soprattutto sull'eleganza dei tre, sulla loro intima interazione e sul suono raffinatissimo che ne scaturiva, complessivamente il trio aveva uno spirito assai paritetico e individualmente Copland è parso oggi uno dei maggiori interpreti di questo stile pianistico, Kerecki un degno erede dei Peacock e dei La Faro, con assoli splendidi, Moreau un batterista sensibile e molto attento all'equilibrio dei propri suoni con quello complessivo della formazione. Anche in questo caso, come in quello di Locke, forse nulla di sorprendente quanto a forme e contenuti, ma un'interpretazione di livello davvero eccelso, che non si può non apprezzare e che infa
Anche la seconda serata si è conclusa al teatro di Còrmons con un gruppo di forte richiamo, Turiya, messo assieme da Hamid Drake per omaggiare Alice Coltrane. Assieme all'istrionico batterista, musicisti di altissimo livello: il pianista Jamie Saft, impegnato anche e soprattutto all'organo Hammond, il contrabbassista Joshua Abrams, il tenorsassofonista Thomas de Pourquery e il vibrafonista Pasquale Mirra, oltre alla danzatrice e vocalist Ndoho Ange. Prima dell'avvio del concerto Drake e Mirra hanno ricordato assieme Mauro Bardusco, dedicandogli il concerto, mentre sullo schermo dietro il palco comparivano le foto di un brindisi con lui, dopo il concerto che i due tennero sullo stesso palco due anni orsono. Un momento commovente che ha preparato un concerto vivace e interessante, la cui varietà è parsa forse non pienamente coerente, ma complessivamente più che apprezzabile. Punte di diamante lo stesso Drake che, a parte la conduzione, è emerso in particolare in una parte in cui si accompagnava alla voce, quasi ritualmente, e in un lunga improvvisazione per sola batteria , Mirra come sempre scintillante nei suoi interventi, che davano ulteriore colore a una musica già estremamente variopinta e l'accoppiata Saft-De Pourquery, in particolare quando il primo era all'Hammond e il secondo spingeva il suo tenore su territori tormentati. Assai meno convincente il ruolo della Ange, piuttosto scialba alla voce (migliori, allora, gli interventi dello stesso De Pourquery) e quasi sempre fuori luogo nel ballo, ridotto più che altro a un'esibizione di movimenti corporei anche ben fatti, ma dei quali non si comprendevano né il senso generale, né perché si limitassero a solo poche scene.
Il sabato 26 s'è aperto nell'acusticamente fantastico auditorium del Kulturni Dom di Nova Gorica, prima escursione oltre confine della rassegna, con il concerto del Paal Nilssen-Love Circus, formazione messa in piedi dal batterista norvegese nel periodo della pandemia, su richiesta delle istituzioni del suo paese. Della formazione originale in questo caso mancava la altosassofonista Signe Emmeluth, ma l'assenza non s'è fatta sentire perché il progetto, interessantissimo, è parso lo stesso una delle proposte più emozionanti dell'intero festival. L'intensità (talvolta un po' eccessiva) tipica del batterista era qui stemperata dalla presenza della fisarmonica di Kalle Moberg, che spesso assieme alla tromba di Thomas Johansson, suonata con grande nitidezza e precisione dinamica colorava le pause e dava loro un senso narrativo, in modo da valorizzare anche in momenti più irruenti. Ma a caratterizzare la musica, dandole un'impronta timbrica decisiva e producendosi in interventi davvero entusiasmanti, è stata la voce di Juliana Venter, che definire cantante è decisamente riduttivo: l'artista, di origini sudafricane, ha usato il suo "strumento" in tutti i modi possibili, con canti tradizionali, speeches contemporanei, acuti lirici da soprano e stilemi jazzistici, giocando con armonici e sovracuti, spesso dominando la scena sia nei momenti moderati e narrativi, sia in quelli più estremi e caotici, sostenendo con la sua potenza anche l'intensità un po' monocorde della batteria. Notevoli anche i suoi intensi duetti con la tromba, mentre nel bis si è pure esibita in una sorta di danza scatenata e un po' folle: un vero portento, che ha sorpreso ed entusiasmato. Complessivamente, grazie ai cambi radicali di atmosfera che portavano dagli spazi nordici all'improvvisazione fino alla contemporanea e alla bravura degli interpreti, Circus è sembrato sia qualcosa di ben diverso dai progetti intensi ma un po' monocordi cui ci ha abituato Nilssen-Love, sia una delle migliori formazioni del festival di quest'anno.
Curiosa miscela di tradizione e innovazione, swing e "caos organizzato," il quintetto Giraffe del giovane trombonista Matteo Paggi, che l'anno precedente era passato dal festival nei ranghi dei Fearless Five di Enrico Rava, è andato in scena il primo pomeriggio a Villa Codelli di Mossa. La musica, tutta scritta da Paggi, aveva strutture non lineari e frequenti cambi di scenario, ma conservava intensità, ritmo e classici spazi per assoli, che i musicisti interpretavano in modo decisamente personale, creando così "isole sonore" anche molto diverse dallo spazio musicale che le raccoglie. Ciò ha concesso a Paggi e all'eccellente altosassofonista olandese Jesse Schilderink la possibilità di esprimersi individualmente a piacimento, mostrando così le loro notevolissime doti improvvisative. Il trombonista italiano, estroverso, energico e pirotecnico, ha alternato improvvisazioni con suono aperto e fraseggio cantato ad altre più frammentate e scoppiettanti, nelle quali ha usato espressivamente la sordina plunger; Schilderink ha anch'egli sfoggiato uno stile eclettico, ma è particolarmente spiccato in un paio di torrenziali e drammatiche improvvisazione, di un'intensità dinamica ed espressiva fuori del comune. Eccellenti anche le altre Giraffe, dal contrabbassista di Singapore Jonathan Ho Chin Kiat al batterista Andrea Carta, con una menzione per il tastierista Vittorio Solimene, penalizzato però da uno strumento non ideale. La formazione registrerà a breve album, anche se non con tutti gli artisti presenti in quest'occasione.
Giusto il tempo di riprendere fiato e a S. Floriano del Collio, presso l'azienda agricola Gradis'ciutta, è stata la volta del trio del batterista tedesco Joe Hertenstein, per l'occasione allargato a quartetto per la presenza del trombonista Ray Anderson. Formazione all stars, vista la presenza di Michael Formanek al contrabbasso e di Michael Moore al sax contralto e al clarinetto, che ha tenuto fede alla sua fama, presentando una musica complessa e frammentata, che però si ricomponeva magicamente grazie all'intesa e all'ascolto dei suoi interpreti. Il batterista a guidare, dettando i tempi e stendendo un tappeto di suoni su cui Moore ed Anderson gettavano le tessere di un mosaico musicale, per poi unirle assieme con pazienza e palese divertimento. Dal canto suo Formanek svolgeva un duplice ruolo, proponendo anche lui suoni da ricomporre, ma contribuendo, specie con l'archetto, a cucire una cornice attorno al mosaico. In questo complesso gioco, dominanti da un lato Anderson, imprevedibile e scoppiettante al trombone, dall'altro Moore, dinamicamente spettacolare al clarinetto e più surreale al contralto. Musica tecnicamente più astratta di altre ascoltate nella rassegna, ma tutt'altro che fredda o cerebrale, anzi piena di gag e si svolte imprevedibili.
Un'imprevedibilità che è invece mancata al concerto di fine giornata, quello del poeta e vocalist inglese Anthony Joseph. Alla testa di un sestetto con una buona ritmica, il bassista elettrico Andrew John e soprattutto il batterista David Bitan, più il tastierista Renato Paris (già visto due giorni prima con Camilla George), il chitarrista Thibaut Remy e l'altosassofonista Colin Webster, Joseph ha proposto un concerto di blues a tinte caraibiche, nel corso del quale, in talking o con declamazioni, rievocava la propria cultura d'origine è nato a Trinidad e le vicende dei popoli neri, spesso con accenni di ballo e comunque muovendosi quasi costantemente sul palco. Ne è scaturito uno spettacolo che aveva qualcosa di rituale, di cui si coglieva un proprio senso narrativo che ha coinvolto buona parte del pubblico, ma che musicalmente è parso piuttosto scarno, se non proprio modesto: niente di nuovo come temi e genere, poco brillanti gli interventi dei musicisti, in generale un po' slegata la tessitura complessiva. Ennesima riprova che l'attuale scena anglosassone, anche con i suoi rappresentanti teoricamente più interessanti, non riesce a pungere.
L'ultimo giorno della rassegna, la Domenica, s'è aperto con il più che eccellente concerto del trio austro-croato di Klaus Paier, Asja Valcic e Gerald Preinfalk. I primi due collaborano da anni e formano una coppia affiatatissima, già passata dal festival friulano una decina d'anni orsono; l'aggiunta di Preinfalk ai clarinetti e al sax soprano ha modificato gli equilibri della loro musica, che fonde camerismo classico, tradizioni popolari e tango, aggiungendovi elementi di improvvisazione colta e jazzistica. Le composizioni proposte erano perlopiù originali e, a prescindere dai generi, erano straordinariamente raffinate sia nella scrittura, sia nell'esecuzione, anche grazie alla grande maestria strumentale di tutti e tre i musicisti, autori di passaggi superbi. Particolarmente notevole un brano di Preinfalk, costruito sulle possibilità tecniche del sax soprano e perciò dalle forme arditerespirazione circolare, sovracuti, salti d'ottava e molto altro ma non per questo privo dell'appeal necessario per un ascolto diretto. Ma tutti gli straordinari gesti tecnici del clarinettista e della Valcic entrambi capaci di passare con immediatezza e naturalezza dagli estremi opposti dei registri e, nel caso della violoncellista, dall'archetto al pizzicato sono sempre rimasti al servizio della musica, senza mai renderla ostica o meno fruibile, mentre Paier legava tutto con la morbidezza del suono della sua fisarmonica, usata in modo molto personale, usando in un paio di brani anche il bandoneon. Nella sua classicità cameristica, una delle proposte migliori della rassegna.
Di violoncello in violoncello, subito dopo a Villa Vipolze, per il secondo concerto "oltreconfine," si è esibito un altro gruppo all stars, il quartetto The Throw, capitanato appunto dal violoncellista Erik Friedlander e completato da Uri Caine al pianoforte, Mark Helias al contrabbasso e Ches Smith alla batteria. Anche in questo caso si era di fronte a una musica complessa e nella quale la tradizione rientrava attraverso i dettagli per esempio gli agili fraseggi e i passaggi stride di Caine alla tastiera o l'austera interpretazione del contrabbasso da parte di Helias dopo essere stata superata dalle composizioni, modulari e cangianti, non legate alle strutture classiche e miranti invece a comporre a incastri un suono collettivo. In tutto questo il violoncellista ha fatto con chiarezza da direttore e da collante, alternando con frequenza il pizzicato e l'archetto, duettando occasionalmente con il contrabbasso e poi lasciando che, fluttuando, i suoni trovassero la loro composizione. Grande perfezione esecutiva, ma per chi scrive anche qualche freddezza che gli slanci di Caine e l'irruente batteria di Smith non hanno completamente sciolto.
In uno spazio insolito per il festival, ma anche emblematico per l'occasione, nel tardo pomeriggio si è tenuto al Kulturni Dom di Gorizia il secondo concerto esplicitamente pensato per Mauro Bardusco: quello denominato Objemi/Abbracci/Hugs, di Zlatko Kaućić e del suo Kombo. Il batterista sloveno, che di Bardusco era molto amico e che si presentava in questo caso in veste solo di compositore e direttore, aveva per l'occasione ripreso e modificato un materiale uscito qualche mese fa su un disco con lo stesso titolo, ma con un organico leggermente diverso e che qui vedeva la presenza come ospite del sassofonista norvegese Torben Snekkestad. Il concerto è stato aperto da una commovente "Lettera per Mauro," scritta e letta da un altro amico di Bardusco, Pierluigi Pintar dell'associazione Controtempo. La musica che ha poi fatto seguito era di fatto una suite suddivisa in più brani, la cui soluzione di continuità non interferiva con la coerenza narrativa del tutto, ottenuta a dispetto della sostanziale libertà dell'organizzazione dei suoni. L'organico, composto in prevalenza da musicisti allievi di Kaučič, prevedeva due batterie (Žiga Ipavec e Vid Drašler), tre percussionisti (Gal Furlan, Urban Kušar e Tomi Novak, un basso elettrico (Timi Vremec, un contrabbasso (Jošt Drašler, due chitarre (Jan Jarni e Anton Lorenzutti) , un'arpa (Eduardo Raon) e un sax contralto (Jure Boršič), oltre l'ospite, che s'è alternato a tenore e soprano. La ricchezza di musicisti e di timbri ha permesso frequenti cambi di scenario, alternando momenti caotici e dinamicamente potenti ad altri assai più lievi e intimi, e anche di organico, con alcuni passaggi collettivi, altri lasciati ai solisti e altri ancora in cui alcune sezioni si separavano per suonare in formazione ridotta. In una musica nella quale contava più l'insieme che non i singoli, merita segnalare il lavoro dell'arpa di Raon, che screziava in modo a momenti quasi surreale la tessitura di percussioni e chitarre, il ruolo svolto nella prima parte dal basso elettrico di Vremec e ovviamente l'apporto di Snekkestad, che disegnava espressivamente con le sue ance sopra la tavolozza timbrica dell'ensemble. Musica semplice che diventava complessa nel suo farsi, molto libera e colorata, attraversata dalla commozione per il ricordo di un uomo che gli artisti sul palco conoscevano bene.
La conclusione della rassegna, domenica sera al teatro di Còrmons, è spettata a un altro supergruppo: quello del chitarrista Kurt Rosenwinkel, che ripresentava dopo un ventennio The Next Step, nei quali cambiava solo il sassofonista, allora Mark Turner, oggi Seamus Blake, mentre erano presenti ancora Ben Street al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria. Musicisti fantastici e prestazione senza sbavature; tuttavia, sarà il concetto del progetto quello della classica "reunion" , sarà che la musica era per definizione "già sentita," il concerto non è decollato. Tanto Rosenwinkel, il cui particolarissimo stile non si discute, quanto l'eccellente Blake, dal suono caldo e dai lunghi assoli articolati, a ogni brano sembravano ripetere quel che avevano fatto nel precedente; Street non ha avuto gli spazi che avrebbe meritato, mentre Ballard è apparso il batterista di gran classe che conosciamo, ma non è riuscito ad aggiungere qualcosa che cambiasse la staticità generale.
Vista la classe dei quattro, comunque, un concerto adatto alla serata di commiato di una rassegna che, pur attraversata da una costante commozione, è stata una volta di più all'altezza della sua fama. Dal giorno dopo si è sicuramente iniziato subito a pensare alla ventottesima edizione, la prima con un diverso direttore artistico sfida impegnativa, tuttavia necessaria e doverosa ma anche quella dell'anno in cui Gorizia e Nova Gorica saranno, in coppia, Capitale Europea della Cultura, elemento che alzerà ambizioni e aspettative.
Appuntamento sul Collio, dunque, alla fine di Ottobre 2025!
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