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Ashley Henry: la bellezza della musica inclusiva

Ashley Henry: la bellezza della musica inclusiva

Courtesy Letizia Gigliutti

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Presto nella vita ho potuto constatare come la musica può rendere felici le persone, perfino durante i periodi di precarietà
Il pianista e compositore Ashley Henry è uno dei più interessanti talenti della nuova generazione di jazzisti britannici che si sta imponendo all'attenzione internazionale. Il suo album di debutto, Beautiful Vinyl Hunter (Sony, 2019), ha rivelato un universo nel quale jazz, grime, drum'n'bass e hip-hop convivono senza snaturare le radici profonde dei grandi jazzisti del passato. Cresciuto nel sud-est di Londra tra ritmi afro-caraibici e dischi di Stevie Wonder, Prince e Marvin Gaye, diplomato al Conservatorio di Leeds in musica jazz e innamorato di Chopin e Debussy, Ashley Henry è l'emblema della musica inclusiva del presente che guarda in maniera positiva e senza steccati stilistici al futuro. Lo abbiamo intervistato in occasione della sua partecipazione al festival Ricci Weekender.

All About Jazz: Quanto sono state importanti le radici familiari afro—caraibiche nella tua crescita come artista?

Ashley Henry: Sono state molto importanti. Mi hanno dato un senso unico del ritmo e della melodia, plasmando completamente il mio approccio alla musica. Anche il modo in cui percepisco e sento la musica oggi è da ricondurre a ciò che mi è stato inculcato fin da quando ero bambino. In quel periodo mio padre e i suoi amici avevano un impianto audio che utilizzavano durante le varie feste di quartiere, che spesso ospitavano a casa. Grazie a queste esperienze ho avuto la fortuna di constatare, già da ragazzino, come la musica possa rendere felici le persone, perfino durante i periodi di precarietà. Più mi appassionavo al jazz e più mi rendevo conto che la maggioranza dei miei musicisti preferiti, in particolar modo quelli che ammiravo per la loro originalità, come Sonny Rollins, Roy Haynes e Oscar Peterson, o le leggende del jazz britannico come Courtney Pine e Joe Harriott, erano di origini caraibiche.

AAJ: Beautiful Vinyl Hunter è un album nel quale emergono differenti generi e influenze. Ormai è evidente come il jazz non sia più prerogativa di una particolare fetta di ascoltatori.

AH: Sono d'accordo. Grazie alla sua sempre maggiore diffusione, il jazz è chiaramente diventato più inclusivo. Sebbene il jazz sia stato, e sarà sempre, in continua evoluzione, credo che ci troviamo in un momento simile a quello degli anni '60 quando musicisti come Albert Ayler, Archie Shepp e Sun Ra iniziarono a radicalizzare la musica guardando alle loro origini africane. Facendo ciò riuscirono ad ampliare gli orizzonti della musica consentendo la convergenza tra vari generi senza confini netti a delimitarli. Credo che un movimento simile si stia ripetendo grazie alla molteplicità di generi e interazioni che esistono all'interno della musica nera. In Beautiful Vinyl Hunter ho voluto esplorare le connessioni tra i differenti generi della musica nera.

AAJ: Il brano "Mighty" contenuto nell'album richiama i suoni ancestrali del Sudafrica: quanto ti senti vicino a questo paese?

AH: L'intenzione originale del brano era proprio quella di ricreare quei suoni ancestrali. L'Africa è la fonte di tutta la musica nera e, come africano cresciuto nel sud di Londra, volevo provare a connettere questi due punti geografici attraverso la mia percezione. Nel 2016 sono andato in Sudafrica attratto da tutta la musica che appartiene alla sua tradizione.

AAJ: Come hai sviluppato la composizione e la registrazione dell'album?

AH: Le composizioni sono scaturite da idee che ho accumulato mentre ero in tour e viaggiavo da un posto all'altro. Riflettono le esperienze che ho avuto e il musicista che ero in quel periodo. Dopo aver finito il tour ho registrato l'album in poco tempo. Conoscevo già tutti i musicisti e questo ha contributo a stabilire una immediata sintonia in studio di registrazione; quando si è trattato di dare vita alle mie composizioni tutto è andato per il verso giusto perché si è instaurato un profondo ascolto reciproco tra tutti i musicisti coinvolti nel disco.

AAJ: Come è iniziata la tua collaborazione con i musicisti americani presenti nel disco?

AH: Prima della registrazione dell'album ero stato in tour con Keyon Harrold e Theo Croker; con Judi Jackson avevo suonato ancora prima. Inoltre, avevo registrato il brano "Dark Honey" con Makaya McCraven e Jaimie Branch in concomitanza con "Chicago x London," un evento tenutosi a Londra con importanti musicisti della scena londinese e di Chicago dal quale è poi scaturito il doppio album Universal Beings di Makaya McCraven.

AAJ: Che cosa ha comportato in termini di scelte e obiettivi l'autoproduzione di Beautiful Vinyl Hunter?

AH: L'autoproduzione mi ha insegnato ad avere fiducia nella mia visione riguardante il processo di realizzazione del disco. Ho immaginato ogni elemento compositivo dell'album prima della sua registrazione.

AAJ: Che cosa ha in comune la nuova generazione di musicisti americani con quella britannica?

AH: Credo che come giovani artisti stiamo tutti vivendo esperienze simili, non solo in Gran Bretagna e Stati Uniti ma anche nel resto del mondo. Questa realtà ci spinge a riflettere e a palarne con la speranza che possa unirci ancora di più.

AAJ: Quando ti sei avvicinato allo studio del pianoforte nell'ambito del jazz?

AH: Ho iniziato a studiare il piano classico quando avevo cinque anni e nello stesso tempo suonavo a orecchio i dischi Pop, R&B e Soul. Mi sono avvicinato al jazz attorno ai 18 anni, quando un mio amico mi fece ascoltare alcuni dischi di grandi jazzisti. Dal quel momento non mi sono più guardato indietro!

AAJ: A proposito, ho letto che possiedi una tastiera a cui sei molto legato...

AH: A dire la verità ne ho molte... Ma probabilmente ti riferisci alla mia Nord Stage 3 che ho utilizzato nel tour mondiale di Christine and the Queens e di Loyle Carner.

AAJ: Che cosa ti differenzia dagli altri musicisti della nuova generazione di talenti londinesi venuti alla ribalta negli ultimi anni?

AH: Probabilmente sono l'unico musicista dell'attuale scena inglese a non essere passato attraverso uno dei vari programmi per giovani musicisti, come Tomorrow's Warriors a Londra. Per questo motivo il mio stile e approccio personale al piano jazz è differente dagli altri.

AAJ: Ci sono altre forme d'arte che hanno in qualche misura determinato le tue esperienze come musicista?

AH: Sì, ad esempio la letteratura o poesia di Langston Hughes, Audre Lorde e Maya Angelou. La loro scrittura articolata eleva l'estetica della cultura e della musica nera. Amo leggere, e di recente ho avuto modo di imparare molto dallo scrittore Fred Moten e le scrittrici Bell Hooks e Saddiya Hartman. L'insieme delle loro idee e riflessioni mi trasportano e mi danno la possibilità di aprirmi a nuove soluzioni creative. Inoltre, sono un grande ammiratore di pittori come Frank Bowling, i cui lavori mi toccano molto e mi ispirano in ciò che faccio.

AAJ: Pensi che sia difficile oggi per un giovane jazzista come te affermarsi sulla scena musicale?

AH: Ora che i locali sono nuovamente aperti e si è ritornati a fare delle jam session credo che le cose non siano più così difficili. Sembra inoltre che le piattaforme online siano diventate rilevanti quanto le performance dal vivo in termini di contatti e collaborazioni tra musicisti. Ma non c'è niente che possa sostituire l'interazione umana nella vita reale, in particolare quando si tratta di musica.

AAJ: Su quali progetti stai lavorando in questo periodo?

AH: Sto lavorando al mio secondo album di cui non vedo l'ora di condividere i brani. A novembre partirà il mio tour, di cui i biglietti sono già disponibili e nell'arco dell'anno usciranno sul mercato diversi singoli. A parte questo, sto lavorando alla colonna sonora di un documentario dal titolo "Black vs. Private School" e inoltre sto curando alcuni eventi di collaborazione musicale a Londra.

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