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Ola Onabulè: una musica senza confini

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Come cantautore mi sforzo di scrivere con incrollabile onestà. Cerco di presentarmi esattamente per quello che sono, con le mie ispirazioni, la mia storia, esperienze ed influenze in mostra.
Il cantautore e produttore Ola Onabule ci parla della sua vita e del suo lavoro a partire dall'eclettica collaborazione col chitarrista Nicolas Meier, che ha portato alla recente uscita dell'album Proof of Life. Entrambi residenti a Londra, il vocalist britannico d'origine nigeriana e il chitarrista svizzero hanno scoperto, nei mesi dell'isolamento pandemico, di condividere empaticamente i differenti background e le passioni musicali che li animano: è nato così un sorprendente affresco sonoro, dove la possente voce di Ola—che spazia tra soul, jazz e radici africane—dialoga con le versatili trame di Nicolas, radicate nelle musiche etniche.

Con questa collaborazione la carriera professionale di Ola Onabulé supera i due decenni. Il pubblico del jazz lo conosce per le numerose esibizioni con note formazioni orchestrali (le tedesche WDR e SWR Big Band, la Danish Radio, la Big Band Jazz de Mexico ecc...) e le presenze in prestigiosi festival (Umbria Jazz, Berlin Summer Jazz, Montreal e Vancouver Jazz Festival ecc...).

Nell'intervista il cantante ci parla anche della sua vita trascorsa tra Londra e Lagos, degli artisti che l'hanno influenzato, delle passioni musicali e del suo lavoro di produttore.

All About Jazz: Iniziamo a parlare del tuo nuovo album Proof of Life, un lavoro vibrante, con belle canzoni e freschi arrangiamenti. Ce lo presenti? Com'è nata l'idea dell'album?

Ola Onabulé: Proof of Life è un album realizzato in duo, una collaborazione tra me e il chitarrista svizzero Nicolas Meier. Abbiamo deciso d'inciderlo dopo aver trascorso un po' di tempo assieme, mentre registravamo la mia diretta streaming nei mesi del COVID. Mi ha colpito il suo stile liricamente colloquiale, una seconda voce che sembrava avere una forte affinità con me. Così, ho pensato che sarebbe stato bello introdurre alcune idee e vedere dove ci portavano.

AAJ: Hai detto che la connessione musicale con Meier è stata immediata. Cosa pensi ci sia al cuore di questo legame, per renderlo possibile nonostante il distanziamento del livestreaming ?

OO: Non hai torto a notare il senso di distacco insito ad una diretta streaming. Ma è proprio questo che ha reso tutto più intenso: era sorprendente sentire quanto fosse facile dialogare musicalmente con Nicolas nonostante il fatto che fossimo in streaming. Quando manca l'adrenalina, l'energia e l'intensità che si prova durante un concerto, è bello sentire una connessione viscerale con ciò che esprime un altro strumento e la sua forte passione nel risponderti. Se riesci a ottenere questo nell'ambiente relativamente sterile di un livestream, capisci che c'è molto da esplorare. Ed è quello che abbiamo fatto.

AAJ: Proof of Life unisce i poliritmi delle tue radici africane con le influenze orientali e jazzistiche di Nicolas. Come hai bilanciato queste distinte identità musicali per creare un album così coeso?

OO: In teoria si potrebbe pensare che non esista un terreno comune tra stili e generi così diversi, ma lo si trova col coraggio della sperimentazione, dell'esplorazione e dell'improvvisazione. Tutto ciò rivela fatti fino a quel momento sconosciuti. Concetti che all'inizio, in astratto, sembrano assurdi possono poi diventare solide certezze quando si supera la sfida di guardarli con onestà e analizzarli senza pregiudizi. Questo è quello che abbiamo scoperto. Non avevamo alcun piano prestabilito sul tipo di album che avremmo prodotto. In realtà nel nostro incontro preliminare Nicolas mi ha chiesto se doveva preparare qualche idea o appunto, ma gli ho detto: «Per favore lascia tutto a casa, entriamo nella sala insieme, tu con la tua chitarra e io col mio microfono e il registratore, e vediamo cosa accade». Nel flusso melodico, armonico e ritmico, abbiamo scoperto che quei momenti di equilibrio, tensione e piacevole caos sonoro, avrebbero creato un terreno comune tra i nostri stili e le loro disparate influenze.

AAJ: Ci sono stati momenti in cui quelle distinte trame culturali si sono scontrate o sono sempre confluite naturalmente l'una nell'altra?

OO: Devo dire che non ci sono stati momenti di scontro! È stata una delle interazioni più organiche e piacevoli che abbia mai avuto. I momenti di scrittura sono stati davvero facili e ho trovato lo stile musicale di Nicolas solidale e ricettivo con le mie idee vocali e viceversa. So esattamente cosa intendi però. In passato ho avuto interazioni musicali in cui esistevano barriere insormontabili.

AAJ: Puoi indicare una canzone specifica dell'album che illustri il creativo scambio di idee tra te e Nicolas, descrivendo l'evoluzione di quella canzone dallo spunto iniziale alla versione finale?

OO: Sicuramente una di queste canzoni è la title track, "Proof of Life." Nicolas si presentò con uno strumento molto insolito, il Glissentar. È una chitarra contemporanea derivata da una versione tradizionale dello strumento e ha un suono insolito, radicato nella tradizione turca. Quindi ho sentito che avrei dovuto cantare in una modalità che fosse complementare e affine a quello stile. Per me è stata un'area da esplorare completamente nuova ed eccitante. Siamo arrivati a un punto dell'esecuzione dove ho sentito che il brano aveva bisogno di un po' di leggerezza, come una sorta di oasi. Ho iniziato a canticchiare questo ritmo a tempo dispari, quieto e melanconico ma africano nel feeling. Sorprendentemente ci è sembrato che si adattasse magnificamente al groove turco-centrico che Nicolas aveva presentato inizialmente. Così quello che al primo ascolto mi sembrava incongruo ha funzionato splendidamente. Non è stato semplice, ci siamo dovuti applicare a fondo, ma è risultata una delle canzoni più accattivanti dell'album.

AAJ: In aggiunta alla dimensione musicale, le canzoni di Proof of Life hanno dei testi significativi. Puoi dirci come ti accosti alla scrittura dei testi e come il processo di scrittura interagisce con la composizione musicale? C'è qualcosa che ti ha ispirato in particolare?

OO: Scrivere testi è una forma di terapia per me. Non tendo a pensare troppo a quello che sto per scrivere e certamente non cerco di escogitare un argomento su cui scrivere. Attingo a quello che percepisco sul mondo, me stesso, la mia vita, le mie relazioni, le persone intorno a me e tutte le molte storie che assorbo dalle notizie, dalla famiglia e dagli amici. Nel momento in cui concepisco o elaboro una nuova melodia, spesso trovo che siano espressioni e idee che vengono con un certo schema lirico o melodico. Prendono forma evolvendosi da rumori e mormorii incomprensibili fino a concetti ed enunciazioni definibili. Una volta che li ho catturati su un dispositivo di registrazione di qualche tipo, posso tornare indietro e ascoltarli più tardi, scavare nei recessi profondi della mia mente per cercare di capire cosa sto cercando di dire. Cosa voglio spiegare? Voglio capire se riguarda me stesso, una forza, una vulnerabilità o uno stato del mondo che trovo preoccupante o stimolante. Non metto limiti a ciò che scelgo di scrivere e cerco solo di tenermi aperto a tutti i suggerimenti che sono sepolti nel mio subconscio.

AAJ: Se ogni nuovo album può essere visto come un passo avanti nello sviluppo di un musicista e nella sua ricerca artistica, cosa realizza Proof of Life rispetto ai tuoi album precedenti, e—più in generale—alla tua discografia?

OO: Penso di aver dimenticato una parte di me stesso nella registrazione dell'ultimo album, che conteneva un tema molto impegnativo. Piuttosto che un'ampia analisi o una critica alla società in generale, quest'ultimo lavoro mi ha permesso di riscoprire un aspetto emotivo più personale.

AAJ: Hai lavorato con ampi organici e orchestre. C'è qualcosa di quelle esperienze che porti con te quando affronti progetti più contenuti come Proof of Life? Al contrario, c'è qualcosa che cerchi di portare dai tuoi progetti più intimi alle collaborazioni con i grandi ensemble?

OO: Poter lavorare con grandi ensemble è una situazione davvero molto fortunata. Non ci sono così tante big band con cui collaborare, quindi si sta sempre a intervallare un lavoro orchestrale con quello di concerti in trio, quartetto o quintetto. A volte sono passato da una filarmonica di 70 membri a un concerto in trio e sono abituato a cambiare. Posso solo dire che mi piace la sfida di adattarmi a tutto ciò che viene richiesto dalla specifica situazione in cui mi trovo.

AAJ: Nel corso della tua discografia hai creato connessioni tra influenze di jazz, soul e musica africana. Proof of Life è una continuazione di quel percorso?

OO: Assolutamente! La mia vita è variegata, nei suoi influssi e nelle particolarità della mia storia. Sono nato a Londra, cresciuto in Nigeria, educato nella campagna inglese, sposato con una mediterranea. Sono stato fortunato a viaggiare in tutto il mondo. Come cantautore mi sforzo di scrivere con incrollabile onestà. Cerco di presentarmi esattamente per quello che sono, con le mie ispirazioni, la mia storia, esperienze ed influenze in mostra.

AAJ: Oltre alla musica, quali sono le cose più importanti nella tua vita?

OO: Sono un uomo di famiglia, probabilmente è l'aspetto che più mi definisce.

AAJ: Quali sono le maggiori influenze, musicali e non, del tuo sviluppo artistico?

OO: Mio padre ha rappresentato l'influenza non musicale più grande. È stato un uomo di grande intelligenza emotiva. Era tranquillo e molto saggio. Aveva un'incredibile capacità di ascolto e di giudizio imparziale. Era un ascoltatore attento, con un'ammirevole empatia.

Le mie più grandi influenze musicali sono stati gli artisti che hanno popolato le stazioni radio nei miei primi anni londinesi: The Beatles, Stevie Wonder, Marvin Gaye, Aretha Franklin, Donny Hathaway. Quando ci siamo trasferiti in Nigeria ci sono stati Fela Kuti, Manu Dibango, Miriam Makeba, Bobby Benson, E. T. Mensah, Haruna Ishola e molti altri. Quando sono tornato nel Regno Unito ho poi scoperto George Benson, Al Jarreau, Wes Montgomery, Miles Davis, Dizzy Gillespie, Garland, Steely Dan, Michael McDonald, Gino Vannelli, Nina Simone e molti altri.

AAJ: Come si manifestano tali influenze in Proof of Life?

OO: Sono lì, sono sempre lì! Non si può sfuggire alle proprie influenze! A mio parere, l'unica via d'uscita è ascoltare tutto quello che ami—molto!—e poi fare in modo che il tuo autentico sé diventi l'espressione del tuo personale mix di influenze mentre cerchi di aggiungere qualcosa di nuovo alla musica! Penso che l'arte, in generale, sia evolutiva più che rivoluzionaria.

AAJ: In questo nuovo album ho notato per la prima volta alcune somiglianze con il lavoro di Al Jarreau. È solo una mia impressione, qualcosa che vedi anche tu, o magari l'hai fatto intenzionalmente?

OO: Non è affatto un'impressione sbagliata! Al Jarreau è il cantante a cui vengo paragonato più spesso. Probabilmente dipende dal fatto che amo improvvisare e interagire con i musicisti. Mi trovo in questa terra di mezzo dove la mia sensibilità africana in contesti pop, soul e funk, è sempre in relazione con le mie inclinazioni jazz, proprio come faceva Al Jarreau. Inoltre, ho ascoltato un sacco di sua musica quando ero all'università!

AAJ: Puoi mettere a confronto il tuo modo di operare nei concerti live e nel lavoro in studio? Come ti prepari per ciascuno?

OO: Adoro i giorni trascorsi in studio. Sono veramente appassionato di tecnologia. Ho costruito alcuni studi nel corso degli anni e il massimo della mia felicità è essere circondato da apparecchiature di registrazione e riviste tecniche! Questa è per me la parte più accattivante dell'essere un musicista, oltre, naturalemtne, al momento in cui salgo sul palco e mi confronto con quell'eccitante e potente istante in cui incontro il pubblico! Di base, io sono un introverso, ma quando esco sul palco e vedo tutte quelle persone, una nuova personalità prende il sopravvento, quella che ama l'interazione e il senso di comunità. Amo la tradizione quasi primordiale di abbandonarsi al suono, nel modo in cui l'abbiamo fatto dai tempi dei cavernicoli. È infinitamente affascinante.

AAJ: Lavorare nei tuoi studi Casa Del Funk ti dà il pieno controllo creativo. Come concili quella libertà con la natura collaborativa di progetti come Proof of Life?

OO: È qualcosa su cui devo ancora lavorare. Posso rimanere chiuso in studio dalla mattina presto alle prime ore del mattino successivo fermandomi solo per cibo e acqua, come accade per esempio quando sto scrivendo un album, per il quale in genere creo demo molto complessi e dettagliati. Quando però viene l'ora di registrare non dò ai musicisti alcuna direttiva. Il demo illustra l'idea che ho in mente, ma da quel momento in poi, inizia un processo molto collaborativo. Mi piace vedere come i musicisti interpretano le mie idee. Questa è una fase veramente stimolante per me, una cosa che consiglio vivamente a chiunque lavori quasi sempre da solo. Offre un po' di respiro tra le tue idee iniziali e le interpretazioni di un gruppo di talenti.

AAJ: La tua gamma vocale e il tuo controllo sono straordinari. Come s'è evoluta nel tempo la tua tecnica in conseguenza di esperienze e maturazione?

OO: L'esperienza e la maturità sono gli ingredienti fondamentali per ritrovarsi con uno strumento vocale funzionante in studio e sul palco. Anche se non ho mai preso lezioni formali di canto, mi riscaldo e canto tutti i giorni, faccio scale per almeno un'ora e affronto canzoni impegnative di qualsiasi genere, anche fuori dal mio repertorio. Possono essere classici, jazz, brasiliani o qualsiasi cosa purché mi spinga oltre i miei limiti conosciuti. Mi assicuro solo di esplorare tutte le possibilità della voce umana, così da poter emettere sul palco qualsiasi suono possa immaginare, dai più delicati e sofisticati a ruggiti animaleschi, senza danneggiare la mia voce.

AAJ: Tra i tanti album che hai registrato, quali preferisci?

OO: Oh questa è una domanda molto difficile da rispondere! Ci sono canzoni, su diversi album, in cui sento di essermi avvicinato il più possibile all'idea che avevo nella mia immaginazione. Tuttavia, qualsiasi cosa esisteva prima nella tua mente non sarà mai esattamente come l'hai immaginata una volta completata... forse è per questo che continuo a tornarci sopra! Point Less, l'album che precedeva Proof of Life, era un concept album. Mi ero posto la sfida di scrivere canzoni intorno a un unico tema, ma dai diversi punti di vista delle varie persone coinvolte nella storia che stavo raccontando. Penso di aver affrontato quella sfida piuttosto bene e questo mi dà l'impression di aver raggiunto un traguardo importante... ma detto questo, credo che Proof of Life possa essere il mio lavoro di produttore più maturo. Ho affrontato questo album in un modo che non avevo mai fatto prima e questo mi ha fatto sentire in crescita, nel ruolo di produttore... quindi sì, è davvero una domanda difficile a cui rispondere!

AAJ: Che progetti hai dopo Proof of Life?

OO: Sto lavorando a un grande progetto con la Latvian Radio Big Band. Ho anche un altro progetto con due fratelli statunitensi, gli Hazelrigg Brothers. Abbiamo appena finito di registrare un album insieme, qualcosa di molto diverso da tutto ciò che ho fatto finora! Completamente dal vivo, senza modifiche. E infine sto lavorando al mio prossimo album di brani originali!

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