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Nuove Orchestre Alla Ribalta
ByIl tutto spazia tra le varie estetiche del linguaggio orchestrale moderno, dal modern mainstream al post free.
Daniele Tittarelli & Mario Corvini's New Talents Jazz Orchestra
Extempora
Parco della Musica
2016
Iniziamo a parlare dell'orchestra italiana diretta da Mario Corvini che pubblica con l'etichetta Parco della Musica. L'auditorium romano ha sostenuto il debutto della band formata da Corvini nel 2012, che riunice talenti di varie regioni italiane ed è l'orchestra residente dell'Auditorium Parco della Musica.
Figlio di Alberto Corvini -storica prima tromba dell'orchestra RAI-Mario è trombonista, docente e arrangiatore di valore, che dirige la Parco della Musica Jazz Orchestra dal 2005. Le sua fantasiosa scrittura (ma un paio di partiture sono di Gianluigi Giannatempo) è evidente in questo nuovo progetto con orchestrazioni trascinanti, ricchi di svolte e caratterizzate da un variopinto tessuto timbrico. Pur condividendo l'estetica mainstream, l'organico esprime aperture più avanzate. Corvini ha assimilato i metodi della conduction di Butch Morris e in "Suoni Muti" sviluppa situazioni estemporanee, di taglio contemporaneo. Dal punto di vista solista si avvale in primo luogo del talento di Daniele Tittarelli, ma non mancano ottimi interventi di Marco Silvi al pianoforte e Nicola Tariello alla tromba e flicorno.
John Beasley
Monk'estra -Vol. 1
Mack Avenue Records
2016
Restiamo nello stesso ambito estetico per presentare il debutto discografico di un'altra orchestra attiva da qualche anno. La dirige John Beasley, versatile pianista e compositore di colonne sonore e pianista che ha collaborato con un ampio ventaglio di artisti: da Miles Davis a Steely Dan, da James Brown a Ry Cooder. Com'è evidente dal titolo, con Monk'estra -Vol. 1 esplora il pianeta Thelonious Monk aggiungendosi alle molte riletture del passato. Per quanto riguarda lo specifico orchestrale però, le rielaborazioni iniziate con i progetti del 1959 e 1963 dallo stesso Monk con Hall Overton, sono rimaste esigue (Wynton Marsalis tra questi) senza andare troppo oltre quei classici concerti alla Town Hall e alla New York Philharmonic Hall.
Per quest'incisione John Beasley ha aggiunto alla sua orchestra di 15 elementi (tra cui Bob Sheppard e Brian Swartz) più alcuni ospiti per specifici brani: il vibrafonista Gary Burton, il trombonista Francisco Torres, l'armonicista Gregoire Maret e il batterista Terreon Gully. Il risultato è un album eccentrico, che rispetta l'identità monkiana aggiungendo nuove prospettive con intelligenza e buon gusto. "Little Rootie Tootie" si snoda su un tempo cha-cha; "'Round Midnight" privilegia atmosfere alla Robert Glasper; "Monk's Processional" unisce due temi poco noti del pianista"Green Chimneys" e "Raise Four"in un'esuberante arrangiamento da brass band di New Orleans. In altri momenti la lettura è più ortodossa ma cattura per gli appassionanti interventi individuali. Pensiamo a Gary Burton in "Epistrophy," Grégoire Maret in "Ask Me Now" oppure a Bob Sheppard, Gary Novak e Brian Swartz nel tumultuoso "Skippy."
Michael Davis
Hip-Bone Big Band
Hip-Bone Music
2016
Restiamo negli Stati Uniti con lo smagliante album dell'Hip-Bone Big Band dall'omonimo titolo diretta da Michael Davis. Com'è evidente dal nome, il protagonista strumentale è il trombone e non solo perchè il suo leader ne è stimato solista. In questo suo undicesimo album, Davis esplica tutta l'esperienza di strumentista e arrangiatore acquisita nelle orchestre di Buddy Rich, Louie Bellson e Bob Mintzer. Ha raccolto alcuni dei massimi trombonisti sulla scena e ne mette in evidenza il talento.
Lungo i 12 brani composti e arrangiati dal leader (nel più elettrizzante modern mainstream orchestrale) si alternano Conrad Herwig, Marshall Gilkes, Nick Finzer, Keith O'Quinn, Michael Dease, George Flynn, Jeff Nelson, Bill Reichenbach e altri. Accanto a questi spiccano anche gli interventi del trombettista Scott Wendholt e dei sassofonisti Dick Oatts e Bob Malach. Se si eccettuano pochi brani (come "Sentimental," titolo che nasconde il celebre "I'm Getting Sentimental Over You") il clima va da momenti ritmicamente swinganti ad altri serrati. Una chicca per tutti gli appassionati dello strumento.
Concludiamo con due formazioni del Nord Europa, la norvegese Scheen Jazzorkester della pianista Rune Klakegg e la Berlin Soundpainting Orchestra di Hada Benedito. Due orchestre a direzione femminile di alta originalità, dove la presenza dell'"altra metà del cielo" si fa sempre più massiccia.
Rune Klakegg & Scheen Jazzorkester
Fjon
Losen Records
2016
L'impressione più forte viene dal disco della prima big-band (Fjon, Losen Records 2016), sorprendente per l'alta maestria della scrittura e la visione complessa e sofisticata del fare musica orchestrale. Rune è attiva sulla scena norvegese dagli ultimi anni settanta (oggi ha 60 anni) ed ha svolto un ruolo di primo piano come leader di propri gruppi e in collaborazioni entro e fuori il jazz (David Murray, Van Morrison).
La referente più vicina per questa musica è Maria Schneider (e quindi Gil Evans) ma le partiture non hanno nulla da invidiare ai loro lavori. Rune Klakegg non concepisce la band come combinazione di sezioni ma come esperimenti su timbri e dinamiche, in una compostezza, un gusto aristocratico e un equilibrio derivante dalla formazione classica. Un percorso comunque ricco di sorprese che mantiene forte leggibilità melodica e non si discosta dai procedimenti del jazz moderno. I musicisti scandinavi sono storicamente eccellenti e lo confermano gli interventi dei sassofonisti André Kassen e Jon Oystein Rosland, del trombettista Thomas Johansson e del trombonista Magne Rutle. Il disco è inciso splendidamente (nel celebre Rainbow Studio di Oslo) ed è tra migliori dischi orchestrali degli ultimi anni.
Berlin Soundpainting Orchestra
Holoturia
Aut Records
2016
Concludiamo con Holothuria , primo album della Berlin Soundpainting Orchestra, un organico di 14 elementi diretti da Hada Benedito, giovane pianista e compositrice che da un decennio realizza opere sperimentali, influenzate dalla musica classica contemporanea e dalla libera improvvisazione post-free. Residente a Berlino dal 2009, ha fondato quest'ensemble tre anni dopo collaborando con artisti visuali e noti improvvisatori europei, realizzando opere in situazioni multimediali come il commento di film muti. Un organico da apprezzare globalmente, forse sacrificato dalla sola dimensione sonora, che appare comunque interessante.
Holoturia presenta la suite omonima in quattro movimenti e l'opera "Kalte Stücke" privilegiando più le micro relazioni tra gli strumentisti che il collettivo: itinerari che evitano strutture riconducibili al passato e si snodano in forme spesso aleatorie, prendendo spunto da input tematici o iterazioni ritmiche. I momenti suggestivi non mancano e ampio spazio è dato ai sassofonisti: il notevole Jonathan Lindhorst e gli italiani Federico Eterno e Davide Lorenzon che non sfigurano certo.
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