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Un giorno nuovo per Giovanni Guidi

Un giorno nuovo per Giovanni Guidi

Courtesy Studio Rosati

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Quando nell'aprile 2021 intervistai Giovanni Guidi per questa rivista, concludemmo analizzando i suoi progetti musicali di allora, in particolare il giovane gruppo "italiano" Little Italy e quello "internazionale" che tributò un omaggio alla musica di Gato Barbieri. Nel 2021, oltre a Ojos De Gato, edito dalla CAM Jazz, uscirono anche due lavori in duo, uno con Luca Aquino e l'altro con Daniele di Bonaventura. Da allora ad oggi non ci sono state ulteriori edizioni discografiche da parte sua; è quindi con grande interesse che ho ascoltato A New Day, disco appena pubblicato dalla ECM, trovandolo di particolare originalità nella concezione e nei risultati.

La mirata intervista che segue affronta appunto molti aspetti relativi al CD, dai rapporti con Manfred Eicher alla seduta d'incisione, da singoli brani del disco ai collaboratori scelti (gli indispensabili Joao Lobo, Thomas Morgan e James Brandon Lewis). Ma è stata anche l'occasione per approfondire l'approccio con cui Guidi si dedica alla solo performance, modalità espressiva praticata di frequente in concerto negli ultimi due anni, ma mai incisa su disco, cosa che si auspica avvenga nel prossimo futuro. Bisogna dare atto dell'entusiasmo, della spontaneità e nello stesso tempo dell'esauriente chiarezza con cui il pianista folignate, che ringraziamo, ha risposto alle nostre domande.

All About Jazz: Come è nata l'idea di A New Day e come hai scelto i collaboratori? Che significato dai al titolo del CD, che sembra avere un tono di speranza e rigenerazione?

Giovanni Guidi: A New Day è nato in un momento in cui, dopo una pausa per il Covid e l'album dedicato a Gato, tornavo a lavorare con Manfred Eicher e con ECM. È solitamente Manfred che decide le tempistiche e quando sia il momento giusto per riunirci; in questo caso, la cosa è coincisa con la mia necessità, dopo dieci anni di sodalizio con questa etichetta, di guardare avanti, di costruire davvero qualcosa che si aprisse verso una nuova direzione. Mi sono affidato quindi a Thomas e Joao, perché oramai insieme siamo l'uno l'estensione dell'altro e abbiamo una grandissima fiducia reciproca, indispensabile per provare territori nuovi senza paura, soprattutto in un contesto in cui ci siamo dati pochissimi appigli e reti di sicurezza.

A questi si è aggiunto James Brandon Lewis, con cui avevo collaborato nel precedente disco Ojos de Gato, e che, oltre ad essere diventato un grande amico, ha due cose importantissime: un suono ed un'identità precisa, forte e riconoscibile, ed anche una grande disponibilità al dialogo. Mi chiedi il significato del titolo, ma è abbastanza diretto, direi. Sono cambiate molte cose nella mia vita e nella mia musica, e piuttosto che parlare di capitoli chiusi voglio godermi le nuove pagine che si stanno aprendo. Quindi sì, speranza, ma anche consapevolezza.

AAJ: Come e quando è avvenuto l'approccio con la ECM di Manfred Eicher per realizzare questo progetto?

GG: Non voglio propagare miti: è vero che io contatto ECM regolarmente, ma alla fine è Manfred che decide, e come dice Enrico Rava, Manfred ha sempre ragione. Dopo la parentesi del Covid, ho cominciato a sentirmi pronto a dire davvero qualcosa di nuovo, e il primo dialogo è nato lì. Dopo il sì di Manfred, si sono messi in moto il mio management e la grande macchina organizzativa ECM, che insieme hanno riunito questi grandi artisti, ovviamente occupatissimi con le loro carriere... Puoi immaginare quanto la cosa sia stata delicata da gestire, ma devo dire che la disponibilità di tutti mi ha davvero commosso.

AAJ: L'impressione generale che ho tratto dall'ascolto è che sia un CD molto omogeneo; quasi tutto prende un tono meditativo, a tratti malinconico o nostalgico, anche nei brani in cui interviene il tenore di Lewis, memore del Coltrane mistico dell'ultimo periodo. Sei d'accordo?

GG: In generale sono d'accordo, soprattutto vedendo la cosa dal punto di vista dell'esperienza preparatoria durante la session. La prima mattina insieme abbiamo suonato molto, e Manfred non ti ferma mai per dire cosa vuole, lascia che le cose prendano la loro forma con i loro tempi. Poi ci ha detto: "non voglio un altro disco, voglio il nuovo disco." Questo ci ha messi tutti nell'ottica di aprirci alla novità e alla sorpresa, e da lì (e dopo un bel pranzo... va detto) ci è voluto pochissimo per completare tutto senza uscire da quel mood, cosa che per me è stata davvero magica.

AAJ: "Only Sometimes" porta la firma di tutti, quindi ci si potrebbe aspettare una libera improvvisazione. Al contrario tutto fila molto concatenato, con linee melodiche molto limpide, inserendo uno slancio lirico e un po' scontroso di Lewis.

GG: C'è davvero moltissima improvvisazione, in tutto l'album. Anche quando scrivo, scrivo il minimo indispensabile per creare insieme, come fosse un suggerimento, il più delicato possibile. Dicevo che il trio è un'estensione reciproca proprio nel senso che oramai mi sembra che stiamo scrivendo dal vivo. Quando succede è bellissimo, e James è stato davvero fantastico nel portare il suo contributo senza compromessi o esitazioni.

AAJ: Ci sono alcun brani in trio, senza il tenore: "Means for a Rescue" rappresenta un episodio molto particolare, direi di massima astrazione, sospesa ed esoterica. Quali erano le tue intenzioni? A cosa s'ispira questo brano?

GG: In generale, tra tutti i brani Manfred ha dato molto spazio a quelli più "astratti," come dici. Ne ho parlato molto in privato: per me, per come so esprimermi io, la possibilità di uscire da una cifra, da un genere, se vogliamo, o da un linguaggio condiviso o codificato è la condizione necessaria per comunicare artisticamente quello che sono, la mia vita in quel momento. Sono pochi, credo, quegli artisti, enormi, che sanno farlo in strutture più chiuse. "Means for a Rescue" è un esempio di questa idea... sono "mezzi per un soccorso," modi per salvarmi e salvarci, chissà.

AAJ: Nel CD c'è un solo standard, "My Funny Valentine," sempre in trio. Ne date una versione lentissima, frammentata, occultando la melodia. Qual è la ragione della scelta di questo brano emblematico e dell'interpretazione "sperimentale" che ne date?

GG: Come tante cose che succedono in studio, è nata un po' per caso. Ma è un brano che ho suonato milioni di volte con Enrico Rava, e in qualche modo è un omaggio e una dedica a lui e alla nostra storia musicale e di vita, perché no, trascorsa insieme. È talmente parte di me che diventa quasi un'allusione, sì, ti dò ragione; poi il resto lo fanno Thomas e Joao...

AAJ: Quando sarà possibile ascoltare dal vivo questo gruppo?

GG: Mettere insieme musicisti di questo calibro è davvero difficile. Stiamo lavorando però ad un tour italiano per i primi mesi del 2025, e tra poco usciranno le prime date. Watch this space, come si dice...

AAJ: E quando prevedi di incidere il tuo primo CD in solo?

GG: Questa è una bella domanda: quando si è pronti per un piano solo? Posso dirti che Manfred me ne ha parlato, e che negli ultimi due anni ho davvero cercato di esplorare modi diversi di pensare il piano solo, anche includendo elettronica e campionamenti, e lavorando molto alla coerenza e forza della performance. Ho sempre pensato che fossero pochissimi eletti a meritarsi l'onore del piano solo, ma forse è ora di regalarmelo...

AAJ: Negli ultimi due anni ho seguito alcuni tuoi concerti in solitudine (ma ero presente anche alla tua primissima e sorprendente esibizione in solo a Tempio Pausania nell'agosto 2010, all'interno di Time in Jazz). Due domande: come si è evoluto nel tempo il tuo approccio alla solo performance? La frequenza delle tue apparizioni in solo è dovuta alla maggiore facilità organizzativa o anche ad altri fattori?

GG: In parte è una questione organizzativa, va ammesso. Ma secondo me è anche un approccio fondamentale allo strumento e al pubblico. Tecnicamente parlando, l'approccio alla tastiera è molto diverso, ed è un mondo che negli ultimi anni mi è piaciuto scoprire. Poi ha una sua intimità, anche un suo sforzo e una sua fatica, che a mio parere aggiungono tanto alla comunicazione. Non voglio dire che sei più esposto o vulnerabile, ma forse che sei tu e solo tu ad esplorare insieme alla gente la storia che racconti...

AAJ: Nella presentazione del CD della ECM alla Feltrinelli di Perugia hai annunciato un particolare ingaggio in solo, che si svolgerà il 7 settembre a Norcia. Ce ne puoi parlare?

GG: Sakamoto Conversations è un lavoro non tanto di tributo, quanto di dialogo ed esplorazione del lavoro e della vita del grande compositore e pianista giapponese. Il progetto è prodotto dal festival Suoni Controvento e per me è un modo per avvicinarmi (anche se adesso più che vicino ci sono dentro fino al collo...) ad un artista che a dirti la verità avevo sempre considerato poco. Lo pensavo come un pianista, come dire, "semplice" o incline al compromesso con il pubblico, ma non ho problemi a dire che mi ero sbagliato del tutto. È un mondo che trovo sempre più vicino, un'intimità che mi affascina. A Narni presenterò in parte musiche sue, ma dietro c'è un grande lavoro di scrittura e riscrittura, campionamenti elettronici di suoni e di voci, manipolazioni... un universo che trovo davvero stimolante, e spero che lo sia anche per il pubblico. Devo ringraziare anche Chromic, ottimo musicista elettronico, per avermi seguito in queste mie esplorazioni.

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