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Norma Winstone e Kit Downes al Carambolage di Bolzano
Courtesy Elmar Petzold
Piccolo Teatro Carambolage
Bolzano
24 novembre 2025
Spesso alla base di un duo c'è una ragione di profonda affinità artistica, caratteriale, umana. È senz'altro il caso del connubio tra Norma Winstone e Kit Downes, protagonisti del recente concerto al Piccolo Teatro Carambolage di Bolzano. Nella sua lunga e fertile carriera, la vocalist britannica ha praticato ampiamente la formula del duo con pianisti differenti, giungendo a toccare sommità esemplari nella durevole collaborazione con John Taylor e in quella episodica con Fred Hersch. In questa occasione, siamo senza dubbio di fronte a un'eccellenza di pari grado, come aveva già confermato la registrazione di Outpost Of Dreams, pubblicato da ECM lo scorso anno.
Il concerto di Bolzano ha mostrato un ulteriore sviluppo di questo incontro, nella forza di interazione, nell'agio della più profonda conoscenza reciproca, nella ricchezza di stimoli scambiati. I materiali restano gli stessi già ben frequentati da Winstone nella sua vicenda: canzoni, melodie, poesia in musica. Si attinge ampiamente dall'album citato, ma si spazia pure altrove. L'apertura è con un brano di Hersch, "Stars," dove il pianoforte spumeggia fresco attorno alla voce su registro medio, e già la platea attenta è risucchiata dall'alchimia.
Arriva poi il classico di Carla Bley "Jesus Maria," la cui atmosfera sospesa latina è introdotta da un pianoforte librato con tocco sopraffino nella divagazione tra aree tonali. E qui il legame tra i musicisti si evidenzia nell'esplorazione discreta e nelle acrobazie poco appariscenti. C'è un senso di sobrietà, che percorrerà tutto il concerto e che rappresenta solo la superficie dell'approccio, perché nello spessore emergono forze, tinte, idee. Lo spiazzamento dei percorsi offre sempre una bussola che orienta verso lidi altri, ben delineati dal gusto della melodia, del dettaglio, dell'attitudine costruttiva.
In un repertorio che comprende pure tanti brani da loro scritti, con le liriche sempre di Winstone, i due musicisti aggirano con eleganza qualsiasi norma prescrittiva sull'interpretazione di song e melodie, senza porsi su un versante di eccesso sperimentale. Semplicemente narrano a modo loro le storie, saltano da un registro all'atro, da una tonalità all'altra senza grande enfasi, con la naturalezza di chi sa tenere il filo del discorso in modo saldo, realistico, intensamente poetico. Così le narrazioni in musica acquistano la leggerezza drammatica della fiaba e ne mantengono la carica realistica. Senza astratte ritualità.
Due generazioni che si incontrano, conoscendo bene la storia, ma non esibiscono tale sapere. Lo modellano, piuttosto, con criteri che stanno sospesi tra il quotidiano e l'acrobatico. La sincerità sta alla base del loro operato. In questa consapevolezza sta il nesso tra le generazioni, la cui distanza temporale diventa un valore, un tratto su cui lavorare, un modo di affrontare improvvisazione e poesia. A paradigma di tutto ciò si potrebbe citare la versione di "The Peacocks," il classico di Jimmy Rowles, dove Downes ha scavato e modellato varianti prima di giungere alla celebre melodia. Dove la voce di Winstone ha percorso da par suo le possibili tonalità e i possibili registri, senza enfasi. Con incanto.
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Giuseppe Segala
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