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JazzMI 2025 – X Edizione
Courtesy Ponderosa
Varie sedi
Milano
23 ottobre-9 novembre 2025
Concerti, presentazioni di libri, film... Oltre duecento eventi distribuiti lungo diciotto giorni! Il festival JazzMI compie dieci anni e lo fa con una forza ed un'energia invidiabili. Impossibile, anche per il milanese più distratto, non venire a conoscenza dell'esistenza del festival, non lasciarsi incuriosire dalla programmazione, non pensare di seguire questo o quel concerto. Noi stessi ci siamo visti chiedere consigli sul programma da amici insospettabili, persone che per i restanti 340 giorni dell'anno mai si sognerebbero di avvicinarsi alla parola jazz. Merito di una massiccia comunicazione e di una programmazione eclettica, che sotto l'ampio ombrello del jazz accoglie musiche che magari di jazz hanno poco o nulla, ma sono comunque afferenti alla cultura black e possono contribuire a stimolare una curiosità.
La mole di eventi in programma rende fisicamente impossibile seguire tutti gli appuntamenti, tra molteplici (e talvolta dolorose) sovrapposizioni e concreti rischi di overdose musicale, ma il bello del JazzMI è forse proprio questo. Che obbliga ciascun appassionato a compiere delle scelte, a costruirsi il proprio programma personalizzato. Ci sarà chi ha privilegiato artisti poco jazz come Flying Lotus, C'mon Tigre o gli Arrested Development, chi monumenti viventi come Abdullah Ibrahim, David Murray o Dave Holland e chi, come noi, ha preferito assecondare il proprio istinto, seguendo musicisti che non passano frequentemente a Milano, oppure musicisti ascoltati di recente in altri contesti e che abbiamo voluto sottoporre ad un secondo ascolto. La nostra cronaca del festival sarà dunque molto parziale, soggettiva, priva di qualunque velleità esaustiva e guidata esclusivamente dalle nostre inclinazioni e desideri di ascolto.
Il nostro JazzMI è dunque iniziato al Conservatorio, con l'Anouar Brahem Quartet che ha visto sul palco, oltre al leader al liuto, Anja Lechner al violoncello, Django Bates al pianoforte, Mats Eilertsen al contrabbasso. In programma, musiche tratte dall'album After the Last Sky, citazione dai versi del poeta palestinese Mahmoud Darwich, scritti in altri tempi ma purtroppo ancora di stringente attualità. Musiche di atmosfera mediterranea, tra echi arabi e flamenchi, una sorta di lunga marcia a tappe all'insegna della pace. L'approccio cameristico conferisce alla musica un tono quasi meditativo, mentre sul palco i musicisti si scambiano numerosi cenni d'intesa. Sorprendente la raffinatezza armonica e di tocco di Django Bates, solitamente frequentatore di ambiti più pirotecnici, che con Eilertsen ha rappresentato il baricentro delle dinamiche del quartetto, mentre Brahem e Lechner intrecciavano delicate melodie orientali. Pubblico numeroso ed entusiasta, che ha incoraggiato il quartetto a concedere ben due bis.
Quartetto senza batteria, ma non di impronta cameristica, per il Paolo Damiani Project "Ostinato" (Paolo Damiani al contrabbasso, Giacomo Tantillo a tromba e flicorno, Mauro Campobasso alla Chitarra, Lorenzo Simoni al sassofono contralto). Ostinati come pedali ritmici, come punto di partenza per divagazioni ed esplorazioni, per confronti e contrasti, tra nuove composizioni e recuperi di brani sempreverdi di Damiani come "Song Tong" e "Tango Lento." Un amalgama sonoro non ben equilibrato, con il contrabbasso fin troppo in evidenza e un eccessivo uso dei mezzi tempi, hanno reso l'incedere del concerto faticoso e un po' zoppicante. Interessante invece il confronto tra i due giovani frontmen tra unisoni, contrappunti ed i più classici call and response. Pirotecnico e scintillante Tantillo, più nitido e meditativo Simoni. Si faranno strada.
Avevamo ascoltato l'Avishai Cohen Trio "Brightlight" lo scorso giugno al Lana Meets Jazz. In quella sede, ci aveva particolarmente colpito il formidabile e giovanissimo pianista Itay Simhovich. In questo concerto milanese abbiamo invece apprezzato il perfetto equilibrio delle dinamiche del trio, che ha ormai raggiunto un livello di coesione notevole e che si permette di giocare su crescendo millimetrici e cambi di direzione improvvisi. Tra qualche evidente concessione alla platea, citazioni classiche ("Liebestraum nr 3" di Franz Liszt), canzoni della tradizione sefardita (qui era la delicata "Abre Tu Puerta Cerrada") e brani classici del repertorio di Cohen come il bis di "Seven Seas."
Il fotografo Pino Ninfa e il clarinettista francese Louis Sclavis condividono alcune passioni, a cominciare dalla fotografia. Ninfa ne ha fatto una professione, Sclavis ha realizzato diversi lavori con grandi fotografi e artisti visivi, tra cui Guy Le Querrec che lo stesso Ninfa considera un riferimento. E poi l'Africa, che Ninfa fotografa da sempre e che Sclavis ha raccontato nei suoi Carnet de Routes, il deserto, le ombre, il mare come orizzonte infinito ma anche come luogo in cui a volte trovano la morte persone e speranze di vite migliori, i muri (ricordiamo gli album Napoli's Wall e Characters on a Wall). Sono questi i temi che abbiamo trovato al Centro Culturale di Milano, con le immagini di Ninfa che hanno stimolato le improvvisazioni di Sclavis, sempre ancorate ad un solido appoggio melodico. Una performance che ci ha messo di fronte, con forza e senza retorica, ad un mondo invisibileo meglio che si preferisce non vedere -ben lontano dai lussi e dalle comodità di cui godiamo, ma non per questo privo di momenti di gioia, bellezza, poesia.
L'ultimo concerto cui abbiamo assistito è stato quello dell'Artchipel Orchestra diretta da Ferdinando Farao, ospite Michael Moore, con il progetto Officine Mengelberg. Un lavoro incentrato sulle composizioni di Misha Mengelberg, pianista, figura preminente del jazz europeo, ideatore dell'Instant Composer Pool, formazione dalla visione musicale molto particolare incentrata sulla composizione estemporanea. Qualche decennio fa, Mengelberg e la sua ICP Orchestra erano presenza fissa nei festival più aperti alle avanguardie (in Italia pensiamo ad esempio a Clusone Jazz), con la loro musica fatta di straniante ironia, repentini cambi di direzione, enciclopedica conoscenza della storia. Reinterpretare oggi la musica di Mengelberg non è impresa facile. Faraò e l'Artchipel hanno adottato un approccio trasversale, mantenendo i nuclei tematici e sviluppando gli arrangiamenti lungo coordinate più strutturate e codificate, senza tuttavia rinunciare a qualche lampo ironico (come nel brano dedicato a Peter Brötzmann) e a variazioni improvvise. Il tutto sotto lo sguardo complice e disincantato di Michael Moore, a suo tempo arrangiatore della ICP Orchestra e qui in veste di Virgilio d'eccezione, che con il suo sax stralunato ci ha riportato ad un jazz che mantiene ancora intatta tutta la sua forza dissacrante.
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