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Jazzfestival Saalfelden 2023
Michiyo Yagi è virtuosa del koto, cordofono imponente13 corde!con grande cassa armonica e accordatura a ponticelli. Sotto le sue dita questo strumento tradizionale e rituale diventa qualcosa di più, mantiene sì le sue caratteristiche arcaiche, ma si proietta acusticamente altrove, fino a risuonare come un ottone o una chitarra elettrica rock. Yagi improvvisa con una naturalezza che lascia basiti, sia in ambito free-impro che in quello melodico e lirico. In un suo set si trascolora in diverse atmosfere senza che nulla suoni artefatto o forzato, anzi si coglie una capacità di attraversare strutture compositive o estemporanee frutto di uno studio e di una applicazione serissimi. Yagi si esibisce da anni con il batterista Tamaya Hondaformando il duo Dōjō.
A Saalfelden il duo ha ospitato dapprima il chitarrista Eivind Aarset e in seguito il bassista Ingebrigt Håker Flaten. Con il primo si è privilegiato un mood atmosferico e rarefatto, che ha inoltre evidenziato le affascinanti doti anche vocali di Yagi; con il secondo la temperatura sonora si è intensificata, scorrendo da torride improvvisazioni senza rete a un funky danzabile iterato, dove il koto sembrerebbe davvero fuori posto e ha invece trovato tonalità e bagliori timbrici inauditi.
Il vertice espressivo del ventaglio di concerti Michiyo Yagi lo ha toccato con il sempre grande Hamid Drake---batteria e percusssioni---Yagi e Drake hanno disegnato un percorso sonoro ritualistico di notevole raffinatezza, mostrando un'intesa telepatica che riesce solo ai brillanti improvvisatori.
A Saalfelden anche quest'anno decine di concerti ospitati dal Main Stage e dal Nexus fino alle altre sedi della città, alle piazze e ai prati e boschi con tanto di trekking possibili.
La linea artistica è improntata all'eclettismo al polistilismo, scelta che non toglie la possibilità di approfondire la poetica di alcuni nomi, chiamati a più esibizioni ravvicinate. Ad esempio quelle della giovane Zoh Amba, sassofonista "estrema," che quest'anno è stata invitata da diversi festival importanti. Con il suo trio BhaktiMicah Thomas al piano e Chris Corsano alla batteriaAmba insiste nel preservare il suo atto d'amore verso la scuola della new thing anni '60, ma cerca anche una propria strategia performativa che trova nella dialettica concitazione-distensione una chiave di lettura efficace. Si è ascoltata ancora la sua voce sassofonistica in un quartetto molto riuscito messo insieme dal bassista Lukas Kranzelbinder, che ha fatto incontrarte artisti lontanissimi come la svedese Anna Hogbergsassofonie il celebrato batterista americano Billy Martin. La Högberg ha anche riportato in scena il suo gruppo Attack, molto ben accolto dal festival. Un altro set di Zoh Amba era quello in duo col bassista Nick Dunston.
Una delle commissioni speciali del festival era quella realizzata dal batterista Lukas Koenig, che ha riunito un piccolo trust di cervelli come il pianista Pat Thomas, i bassisti Luke Stewart e Farida Amadou più John McCowen al clarinetto contrabbasso. Il progetto è parso galleggiare con stanchezza tra sonorità dark e sequenze più felicemente percussive, senza però una chiara direzione.
Chi invece coglie sempre nel segno è Rob Mazurek, stavota invitato con il progetto "Father's Wing," quartetto che ha unito i diversi temi delle composizioni come lunga suite in grado di emozionare fin dai primi istanti, valorizzando le voci di Fabrizio Puglisi (piano), Håker Flaten (basso) e Chad Taylor (batteria) ma soprattutto la compattezza del collettivo che ha toccato ogni sfumatura del campionario di visioni sonore di Mazurek, impegnato sia alla tromba che alla cornetta. Un trionfo.
Altra figura in primo piano quella della pianista Myra Melford, che ha regalato una vera lectio magistralis di improvvisazione istantanea, in duo con Hamid Drake: intuizioni libere, frammenti compositivi, accelerazioni folgoranti, oasi riflessive e intime, senza un attimo di banalità. Inoltre, ha partecipato al quartetto collettivo Lux, con Allison Miller, Dayna Stephens e Scott Colley, gruppo di gran classe ma non ancora del tutto rodato.
Non è apparso troppo fluido nemmeno il nuovo quintetto di Dave Douglas, che pure allinea maestri come James Brandon Lewis e Joey Baron. Pian piano però la musica è decollata con un finale trascinante molto apprezzato dalla numerosa platea del festival.
Foto per gentile concessione di jazzsaalfelden.com.
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