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Tempo di Chet. La versione di Chet Baker

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Compagnia del Teatro Stabile di Bolzano
Paolo Fresu, Dino Rubino, Marco Bardoscia
Teatro Comunale
Bolzano
8-11.11.2018

Il sipario si apre su una scena che fonde tra loro esterni e interni: ricostruisce un quartiere che potrebbe essere ispirato alla Hermosa Beach degli anni Cinquanta, o alla Central Avenue di Los Angeles. Insegne multicolori al neon annunciano vari tipi di locali: night club, ristoranti, negozi. Al centro si presenta uno di questi interni, con un massiccio banco di mescita; in secondo piano, su un'alta pedana che domina tutto l'ambiente, i tre musicisti che per tutto lo spettacolo accompagneranno e interagiranno con Tempo di Chet. La versione di Chet Baker: Paolo Fresu alla tromba e flicorno, Dino Rubino al pianoforte, Marco Bardoscia al contrabbasso.

Il lavoro prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano, che ha debuttato l'8 novembre 2018 nel capoluogo altoatesino, le cui repliche faranno tappa in tutta la Penisola anche nei primi mesi del 2019, affronta la vicenda tragica e mitica di uno dei personaggi più amati del mondo del jazz. Chet Baker, giovane di aspetto affascinante e dotato di un purissimo istinto musicale, trascinato nel corso della sua vita in un vortice di vicende la cui possibile redenzione fu un volo senza ali, da una finestra di Amsterdam, nel 1988. Il testo di Leo Muscato e Laura Perini percorre quella avventura burrascosa con attenzione particolare all'aspetto umano, alle relazioni con musicisti, produttori discografici, donne, poliziotti e dottori. Come in ogni storia di jazz che si rispetti.

La musica dal vivo, con brani originali di Fresu e pezzi famosi del repertorio di Chet tra in quali non potevano mancare ”My Funny Valentine” e ”When I Fall in Love”, agisce su vari livelli, a volte tratteggiando fondali discreti sulla vicenda, altre volte interagendo con quanto avviene in scena. Sappiamo che Chet è senza dubbio una delle matrici di Fresu: certe fotografie e riprese accomunano la postura dei due trombettisti, ripiegata su se stessa nel tentativo di spremere le note dal profondo della propria esistenza. Il lavoro di Fresu e dei suoi due ottimi collaboratori non cerca il travestimento nell'impossibile imitazione di Chet, ma lavora sulla sintonia con il teatro, sulla connessione allo spirito del musicista, mantenendo la propria specifica indole.

Se si vuole muovere un appunto alla parte musicale, diciamo che risalta un equilibrio misurato, seppur sensibile, tipico di Fresu, ed è messo meno in rilievo l'aspetto drammatico e inquietante, che si annidava nelle pieghe del suono di Chet, dietro alle apparenze angeliche. Ma si tratta di un dettaglio che non incrina la prova musicale.

La messa in scena della vicenda si muove sulla caratterizzazione dei personaggi, spesso utilizzando contrasti dialogici o la narrazione di episodi da parte dei diretti interessati, calcando la formula di tanti filmati biografici. Tutto si svolge attorno al bancone del locale, o su una poltrona dove i personaggi narrano la loro esperienza con Chet. La mole degli episodi e delle situazioni presentate è notevole, spesso rischia di appesantire la fruizione. A volte i caratteri sono convincenti, come nel caso della famiglia di Chet, con il bravo Graziano Piazza nel ruolo di un padre ubriacone e non certo raffinato, che però infonde nel figlio la passione del jazz. Riuscito anche il tratteggio di varie figure femminili: benefattrici, mogli e amanti che animano la vita del musicista.

Altrove i caratteri appaiono improbabili, in particolare nella figura di Charlie Parker, che fa un'apparizione certamente sopra le righe, come era notoriamente la sua indole, ma non marcata dalla sua intelligenza e dalla personalità spiccata. O nel personaggio di Gerry Mulligan, di cui si sottolinea il carattere irascibile, ma si dimentica l'eleganza del fisico, dell'abbigliamento e del lavoro musicale. Ecco, in un lavoro in cui gli episodi e i dettagli sono certamente abbondanti, al punto che spesso avrebbero potuto essere limati dal testo, mancano veri riferimenti che diano un sentore della dimensione musicale di Chet, della quantità di straordinari musicisti che condivisero la sua avventura. C'è un accenno al giovane talento del pianista Dick Twardzik, la cui morte per overdose a Parigi nel 1955, produsse forti sensi di colpa in Chet. C'è un accenno al compositore e arrangiatore Bob Zieff, che fornì raffinate orchestrazioni al repertorio del trombettista. Mancano tanti altri grandissimi che incrociarono la vicenda di Chet.

Nella veste di Baker, Alessandro Averone è credibile per le somiglianze fisiche e le movenze. Interpreta bene il "ragazzo pigro ma amante del divertimento, dal fascino naturale" di cui parla il biografo Matthew Ruddick. Pone in risalto i comportamenti antisociali e gli sbalzi d'umore portati dalla tossicodipendenza, ma pure "la vulnerabilità del carattere, che attirava un certo tipo di donne, quelle cioè che avrebbero voluto cambiarlo, o proteggerlo maternamente." Dalla voce di Chet-Averone ascoltiamo le parole che, con semplicità profonda, definiscono in modo fulminante la musica jazz: "Il Jazz è quello che sei. Se sei il nulla, suoni il nulla."

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