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Qualche libera riflessione sul Top Jazz
ByPuntuali come ogni anno sono giunti anche i commenti e le reazioni ai risultati, commenti questa volta più animati che nel recente passato e che hanno trovato spazio sia in un articolo di Franco Fayenz sul sito web del Sole24Ore sia in un'animatissima, piuttosto delirante e a tratti incivile discussione nella pagina Facebook della rivista stessa.
Bene o male, basta che se ne parli, direbbe qualche cinico commentatore. Non senza una certa dose di ragione (è infatti una delle rare occasioni in cui anche qualche quotidiano parla di jazz e della rivista), ma anche andando a evidenziare alcuni nodi irrisolti dell'intera questione, che viene da un lato frequentemente liquidata con una certa supponenza, ma che come ogni "gara" riesce sotto sotto a accendere i risvolti più contraddittori di una scena musicale la cui complessità chiaramente non può venire sintetizzata nemmeno in maniera parziale da un referendum (gioverebbe ricordarlo più spesso).
Ma cosa rimproverano i commentatori al Top Jazz? Fayenz si limita a rilanciare le perplessità dei molti che ritengono limitativo restringere il referendum alla sola Italia, tra l'altro in un periodo di diffusa globalizzazione. Provincialismo? Maggiore gestibilità come sottolinea acutamente Francesco Martinelli in un commento all'articolo? Facilitatore di conventicole e di più o meno sotterranei movimenti di marketing? Ognuno ha la sua opinione e certamente il neo-direttore Conti avrà differenti opportunità di riflessione in questo senso.
Quando poi le reazioni riguardano i risultati, come accade in situazioni analoghe, il confronto scende rapidamente a livelli di tifoseria e al fondamentalismo urlato dei più biliosi si oppone al massimo - come nel caso del lungo thread su Facebook - l'ironia divertente/divertita e un po' meccanica di chi ha voglia di andargli dietro.
Ecco quindi che, come in ogni "gara" ma con uno scarsissimo senso del rispetto, si accusano senza mezzi termini il tale batterista o il tale pianista di avere usurpato (grazie a segreti complotti orditi insieme alla critica incompetente e venduta, va da sè) la corona a questo o quest'altro. E via, come se si scivolasse su placche di ghiaccio sempre più lisce, giungono a grappolo patenti di "jazzità" che taluno possiede e talaltro nemmeno è degno del foglio rosa, banalità assortite e verità fideistiche che Panassié in confronto ci fa la figura dell'illuminato.
Chi scrive è tra i votanti ormai da qualche anno, ma provando per un attimo a togliersi dalla mischia cerca di riflettere un po' sui principali "nodi" della questione partendo da quelle che sono alla fine delle ovvietà, ma che a quanto pare è meglio ribadire.
Pur essendo il numero dei votanti piuttosto ampio e assortito, è piuttosto improbabile che anche solo una parte di essi abbia avuto l'opportunità di ascoltare (e di ascoltare bene, aggiungerei) tutto quello che esce a livello discografico e, ancor di più, di seguire dal vivo tutti quelli che suonano su e giù per lo stivale.
È naturale e fisiologico e porta con sé il fatto che ciascuno dei votanti, mi sembra con una certa onestà anche perché i voti sono pubblici e pubblicati, mette nel proprio voto una visione dichiaratamente soggettiva e parziale: "questi sono i miei top, in base a quanto ho visto e sentito durante quest'anno".
La somma di queste dichiarate parzialità dovrebbe dare un quadro abbastanza vario e attendibile, ma è facile che si presti a molte variabili, non ultima - anche questo è piuttosto ovvio - la circostanza che gli artisti che hanno un distributore e una promozione più efficace sono anche quelli che hanno le migliori possibilità di entrare nel novero di "quello che uno ha sentito". Questo non porta all'equazione "più pompato = più voti" (immagino che alcune penne più tradizionaliste non voterebbero un giovane improvvisatore intemperante nemmeno se lo passassero ogni sera al TG1, così come il contrario...), ma certo qualche voto degli indecisi lo può catturare, un po' come in ogni tornata elettorale.
Mi sembra però francamente che in queste ultimissime edizioni del Top Jazz si sia riscontrata una maggior varietà di giudizi rispetto a qualche referendum del passato e che, per fare un esempio, anche gli artisti che si muovono produttivamente in ambiti lontani dalle abituali modalità di promozione e management abbiano trovato un buon riscontro al proprio lavoro artistico.
Tolte le doverose soddisfazioni e l'uso promozional/pavoneggiante che ciascuno poi fa del risultato, a livello di popolarità e di occasioni di lavoro non è che un buon posizionamento al Top Jazz cambi poi le carte in tavola. Chi è più gettonato nei festival e nelle rassegne lo continuerà a essere, così come chi ne è escluso probabilmente non vedrà aprirsi le porte della fama da una coccarda del Top Jazz appuntata al bavero: gli esempi in materia si sprecano.
Tutto questo dovrebbe poter gettare una luce un po' meno violenta su quello che alla fine è un tentativo (certamente perfettibile e non esente da difetti) di dare un po' di visibilità a un mondo, come quello del jazz in Italia - e mi piace sottolineare "in Italia" e non necessariamente "italiano" - che rimane, con rarissime eccezioni, pur sempre la nicchia della nicchia della nicchia, da qualunque parte lo si voglia vedere.
E magari dovrebbe poter spostare invece l'attenzione, ad esempio, su come vengono programmati i Festival, su quante occasioni di diffusione e di "costruzione" di un pubblico nuovo per il jazz vengano sprecate dalle direzioni artistiche in nome di quel triste mix di pigrizia, scarso coraggio e desiderio di strizzare l'occhio a un ideale spettatore che in realtà non esiste se non nelle serate estive in cui ascoltare della musica (quale essa sia) in una bella piazza della nostra nazione è opzione che chiunque non abbruttito sceglie senza nemmeno pensarci.
Non so quale sarà il futuro del Top Jazz: personalmente un po' mi spiace che manchi un respiro internazionale al referendum, anche se capisco bene i problemi pratici che questo comporta (dall'amplificazione di quelli già elencati per l'attuale formula alla prosaica questione di ottenere rapidamente l'ok per la pubblicazione delle tracce nel CD accluso alla rivista).
Alla fine la questione è un po' come a Sanremo: se non c'è la gara non c'è interesse e se c'è la gara non mancheranno mai gli scontenti e le polemiche. Forse un mondo globalizzato come quello in cui "navighiamo" (la parola non è casuale), un mondo in cui spesso un appassionato un po' sveglio accede liberamente al quadruplo della musica che un vecchio critico riceve dai canali ufficiali, è rappresentato in modo più realistico dal succedersi di playlist (noi di AllAboutJazz Italia vi abbiamo proposto le nostre del 2011), strumento certo non nuovo e anch'esso se si vuole limitato, ma che in qualche maniera apre a quella fluidità del fare e del recepire la musica che nessuna classifica, anche la più autorevole, riesce a restituire. E che, alla fine, consente assai più delle classifiche tradizionalmente intese l'inserimento di materiali che magari sono capitati sottomano/occhio/orecchio al critico scaricando, su YouTube, per caso, da un amico, invece che nell'ormai vecchia e rigida equazione "voto solo quello che ricevo ufficialmente".
Al massimo, se gara deve essere e proprio non vi va giù, potete sempre fare tesoro delle parole di Nereo Rocco, storico allenatore triestino del Milan: "Vinca il migliore? Sperem de no!"
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