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Moments passés – Musique présente
di Marc Texier
292 pp.
Van Dieren Editeur
Quanto ci sarebbe bisogno, anche e soprattutto qui in Italia, di questo genere di iniziative editoriali, a metà strada tra diario, cronaca, libere riflessioni sull’espressione artistica (principalmente, ma non solo, musicale) della nostra epoca…
Forse soltanto Mario Gamba saprebbe affrontare la materia con un respiro altrettanto ampio, giovandosi di una fluidità stilistica anche maggiore, pur a discapito, talvolta, dello spessore musicologico.
Marc Texier, già collaboratore dell’IRCAM e di France Musique, nonché direttore di corsi di composizione e rassegne concertistiche (tra le altre, Voix Nouvelles, presso l’abbazia di Royaumont, e Archipel, a Ginevra), grazie alla dovizia di particolari e suggestioni - ordinati secondo una precisa scansione temporale, che li colloca tra il 7 ottobre 1989 e il 29 agosto 1996 - offre all’immaginazione del lettore la concretezza quasi palpabile di ascolti, letture, viaggi, incontri appartenenti al passato.
Ma questo libro non è soltanto aneddotico: accanto alle ricerche (rimaste senza esito) di vestigia ancora intatte dei luoghi in cui viveva Charles Ives, alle visite a Giacinto Scelsi nella “mitica” casa romana di Via San Teodoro, ai brevi, non narcisistici riferimenti autobiografici (curiosi gli accenni alla propria ingenua ma appassionata giovinezza lettrista!), si trovano efficaci e fulminanti ritratti di personaggi non facilmente sussumibili nelle grandi correnti artistiche del ‘900: primo fra tutti l’eccentrico (nell’accezione letterale del termine) compositore del New England, un musicista altrettanto indipendente e attento alle culture popolari come Maurice Ohana, i serialisti eterodossi Jean Barraqué e Louis De Pablo, o ancora Klaus Huber e Bernd Alois Zimmermann, accomunati dall’afflato mistico sotteso ai loro differenti linguaggi compositivi, senza dimenticare Brian Ferneyhough (a proposito del quale sono richiamati alcuni episodi, che ne evidenziano lo scarsissimo senso pratico, ma anche la formidabile capacità speculativa).
Non c’è opinione, critica, collegamento di cui non emerga in maniera più o meno immediata, il carattere soggettivo, parziale, provvisorio, privo di pretese sistematizzanti o definitive.
L’ascolto di differenti esecuzioni del concerto per pianoforte di Lieti, per esempio, consente a Texier di modificare, nel tempo, la propria valutazione sul brano; non diversamente la considerazione dell’analisi musicale viene via via precisandosi dalla perplessità nei confronti del formalismo all’apprezzamento di quegli scritti (un esempio per tutti: gli scritti di Adorno su Berg), che si focalizzano sulla carne viva - piuttosto che sullo scheletro - di una partitura e del suo autore.
La connessione tra diversi orizzonti estetici è un’altra qualità del lavoro.
Davvero acute, pur nella loro concisione, e aperte agli ulteriori approfondimenti del lettore, sono le digressioni in cui l’autore “esce” metaforicamente dalla sala da concerto per immergersi nella vita pulsante di luoghi, architetture, ambienti naturali, poesie e film, che ampliano la prospettiva dello sguardo, stimolando il gioco libero - non meramente erudito - delle associazioni e delle analogie.
Se particolarmente significative sono le pagine dedicate all’influenza dell’idea wagneriana di fusione tra poesia e musica sulla poetica di autori eterogenei come Baudelaire, Mallarmé e Valéry, un tema complesso e delicato come quello della postmodernità risulta invece troppo sacrificato nei fugaci passaggi in cui vi si accenna.
Le suggestioni provenienti dai diversi campi del sapere ci consentono, in ogni caso, di comprendere a che cosa Texier alluda quando, nelle battute finali del libro, si riferisce alla musica come a un art à rêver debout e a quali nuovi orizzonti di significato - finalmente depurati dall’intellettualismo e dall’unilateralità - si dischiudano i concetti di analisi e di interpretazione.
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