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MetJazz 25 - Prima Parte

MetJazz 25 - Prima Parte

Courtesy Marco Benvenuti

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MetJazz 25
Teatro Metastasio, Teatro Fabbricone, ed altre sedi
Prato
Prima parte: 20 gennaio-25 febbraio 2025

Edizione speciale per MetJazz, il festival di Prato diretto da Stefano Zenni e prodotto dalla Fondazione Teatro Metastasio, che quest'anno celebra il trentennale e per farlo raddoppia la sua durata e moltiplica gli appuntamenti. Crescono, in particolare, quelli collocati in spazi atipici o informali, un tempo definiti off e quest'anno ribattezzati "MetJazz nella città," un concerto dei quali—quello della formazione della flautista Carlotta Vettori, CV53, che al Museo di Palazzo Pretorio ha presentato il disco Ruah, uscito per Fonterossa Records —ha, per così dire, annunciato il festival ancor prima dell'inizio dell'anno, il 20 dicembre 2024.

Un'altra anteprima, il 18 gennaio, è poi stato il concerto Lacy in the Sky with Diamonds del trio di Roberto Ottaviano, Danilo Gallo e Ferdinando Farao, in collaborazione con il Pinocchio Jazz di Firenze, spettacolo idealmente legato alla proiezione —avvenuta il 25 febbraio al cinema Terminale —del film Steve e il Duca, di Germano Maccioni, che raccoglieva filmati di Franco Maresco su Steve Lacy e su uno storico concerto palermitano di Duke Ellington nel 1970.

Il festival vero e proprio si è aperto lunedì 20 gennaio al Teatro Metastasio, con un doppio concerto di due ben diversi trii. Ha iniziato quello del tastierista Matteo Addabbo, impegnato all'organo Hammond, con Andrea Mucciarelli alla chitarra e Andrea Beninati alla batteria: musiche originali, sebbene di classico taglio blues, funky e soul, ricche di swing e con grande varietà di colori, per un tipico concerto organ trio.

A seguire Giovanni Falzone con il Freak Machine Trio, completato da Giuseppe La Grutta al basso elettrico e Andrea Bruzzone alla batteria: una formazione spettacolare e originale, incentrata sul pirotecnico trombettista siciliano, che ha usato ampiamente l'elettronica per filtrare e modificare non solo il suono del proprio strumento, ma anche la sua voce, usata perlopiù per vocalizzazioni ritmiche. Pure qui, musiche originali, elettronica, ritmi indiavolati, ma anche ispirazioni popolari e una teatralità che passava per la verve interpretativa di Falzone, la spontaneità del quale faceva facilmente perdonare qualche manierismo e qualche eccesso. Concerto divertente e personalissimo, in virtuoso contrasto con il precedente.

La sola data al Teatro Fabbricone dell'edizione di quest'anno è spettata a un altro trio: Elephant, ossia Gabriele Mitelli, Cristiano Calcagnile e Pasquale Mirra. Formazione liberamente sperimentale quale ci si può aspettare dai tre componenti, Elephant ha visto Mitelli alternare pocket trumpet, voce e oggetti, processati con l'elettronica; Mirra affiancava vibrafono, conchiglie e oggetti vari, stendendo fogli sulle tessere per modificarne il suono e facendo, anche lui, uso di elettronica; accanto a loro, il lavoro di costruzione di un terreno sul quale far muovere le linee liriche spettava a Calcagnile, come suo solito con un amplissimo set di grandi e piccole percussioni. In mezzo a una festante e anarchica libertà, a metà concerto un episodio più squisitamente elettroacustico ha proposto suoni campionati dell'elettronica, con un crescendo della batteria sui tamburi, culminato in una invocazione di tromba e vibrafono, entrambi sui toni acuti.

Dopo una pausa —resasi necessaria per rottura del filo che tiene assieme le tessere del vibrafono, prontamente riparato da Mirra con l'ausilio dei tecnici—si è proseguito con uno scenario vagamente progressive, elettronica in crescendo e talking campionato su un gran lavoro della batteria, trasformatosi poi in una sorta di duetto con il vibrafono. Nel bis, ritorno a un ambito più jazzistico, con la trombra al centro del suono, echi di Don Cherry e ispirazioni di Rob Mazurek, per concludere un concerto esempio delle forme assunte dal jazz contemporaneo.

Nella prima parte del festival, dei ben quattro appuntamenti della sezione "MetJazz nella città" (che includevano anche l'interessante trio Piranha del clarinettista Federico Calcagno e uno spettacolo musical-teatrale dal romanzo di Julio Cortazar L'inseguitore, ispirato dalla vita di Charlie Parker) siamo riusciti a seguirne due: uno era la già citata proiezione del film Steve e il Duca, l'altro il concerto del duo catalano composto da Magalì Sare e Manel Fortià, venerdì 7 febbraio al Museo del Tessuto.

Creativa e istrionica cantante, ma anche percussionista e flautista la prima, contrabbassista il secondo, i due hanno dato vita a uno spettacolo al tempo stesso semplice ed estremamente raffinato, poggiando su un repertorio di musiche popolari dal mondo —tango, danze tradizionali, canzoni come "Guantanamera" o "Angelitos Negros" (l'originale di Pedro Infante, poi resa nota da noi da Fausto Leali) —ma interpretandolo in modo personalissimo, teatrale e imprevedibile. Spesso attorniando entrambi il contrabbasso, che lui suonava con magistrale perizia e lei percuoteva con le mani o con spazzole da batteria, oppure interpretando a distanza ma rimanendo in costante contatto di movenze, Sare e Fortià hanno unito elementi da performance teatrale a quelli, impeccabili, d'ambito musicale, anche grazie alle invenzioni vocali della cantante, che non solo variava imprevedibilmente dinamiche e toni —spesso sussurrando o usando il falsetto —ma usciva ricorrentemente dalla tonalità, oppure grazie al lavoro "sporco" del compagno sul contrabbasso, ora suonato come un "chitarrone," ora percosso o "strusciato," creando situazioni surreali o grottesche dal punto di vista interpretativo, subito riprese rientrando nella narrazione melodica. Un modo geniale per proporre situazioni musicali non convenzionali a un pubblico ampio e vario, tenendolo legato a un materiale ben noto e permettendo così la fruizione e la comprensione anche delle soluzioni tecnicamente atipiche e contestualmente inattese. Spettacolo splendido e infatti apprezzato da tutti i molti presenti, dai gusti palesemente diversi tra loro. Applausi perciò doppi.

Lunedì 17 febbraio, di nuovo nella sede "istituzionale" del Teatro Metastasio, era di scena uno dei personaggi di maggior richiamo dell'intero programma: il pianista brasiliano Amaro Freitas, in solo. Personaggio piuttosto singolare e suggestivo, molto comunicativo verso il pubblico, il pianista ha proposto inizialmente una musica tecnicamente assai raffinata, con costruzioni ritmiche complesse e intriganti dietro le quali si coglievano eco della musica brasiliana meno nota, un po' come nel caso di un altro suo originale compatriota, Egberto Gismonti. In questo caso l'estensione e la profondità della musica sembravano meno accentuati, ma i primi brani hanno offerto un saggio del perché Freitas sia da qualche anno accreditato come uno dei musicisti più interessanti in circolazione. Purtroppo, però, il prosieguo del concerto non ha confermato il buon avvio, perdendosi in alcuni passaggi un po' troppo a effetto —un brano accompagnato dalla voce, che appariva più che altro superficiale new age, alcuni effetti elettronici non indimenticabili —e soprattutto in un eccesso di ammiccamenti verso il pubblico, "chiamato" a cantare strofe bislacche e persino, ahinoi, ad accendere e sventolare le torce dei telefonini... È rimasto invero il tempo per un altro paio di bei brani, nei quali Freitas ha potuto mostrare di nuovo abilità tecniche e fantasia creativa, ma giocoforza è rimasto in molti ascoltatori un po' di amaro in bocca.

Appuntamento alla seconda parte per i successivi concerti di MetJazz 25!

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