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MetJazz 25 - Seconda Parte

MetJazz 25 - Seconda Parte

Courtesy Marco Benvenuti

MetJazz 25
Teatro Metastasio e altre sedi
Prato
Seconda parte: 25 febbraio 2025—14 aprile

Dopo la sua prima parte ricca di belle proposte e di cui abbiamo già parlato qui, MetJazz 25, la rassegna pratese prodotta dalla Fondazione Teatro Metastasio, è andata avanti con un appuntamento cinematografico il 25 febbraio al Cinema Terminale: Steve e il Duca, documentario di Germano Maccioni che rielaborava materiale girato dal regista palermitano Franco Maresco nel 1999, quando egli invitò a Palermo Steve Lacy per fargli suonare dieci brani di Duke Ellington, del quale ricorreva il centenario della nascita. Il materiale, poi rimasto grezzo, è riemerso l'anno scorso dagli archivi del regista che lo ha poi affidato a Maccioni, il quale ne ha fatto un singolare documentario sul rapporto tra la città e il jazz, oltre che su quello tra Lacy ed Ellington. I concerti sono invece ripresi a marzo, prima con un solo di batteria di Jeff Ballard la mattina di domenica 9, poi con con quello di piano di Gonzalo Rubalcaba il giorno successivo al Teatro Metastasio.

Il pianista cubano, oggi poco più che sessantenne, ha progressivamente modificato il suo stile: sempre raffinato e virtuosistico, è adesso molto più asciutto e assai meno percussivo di un tempo, ha rarefatto la sua ricerca armonica e ancor più perfezionato il tocco, oltre a esibirsi con una fortissima e quasi rituale concentrazione. Grazie a tutto ciò, il repertorio proposto a Prato, pur attraversando una varietà di classici —da Duke Ellington a Cole Porter fino a Dave Brubeck —con qualche originale e perfino un brano di Sting, conservava una forte unitarietà d'atmosfera, dal sapore neoclassico. Proprio per questo il concerto ha diviso il pubblico: chi ha ammirato l'indubbia maestria del pianista, la straordinaria cura del suo lavoro sulla tastiera e il clima intimistico attraversato da latenti sentori latini della sua musica; chi viceversa criticava l'accademismo dei virtuosismi e la staticità della performance (per esempio quasi tutti i brani avevano la medesima, classicissima chiusa). Questione di gusti, che comunque nulla può togliere all'elevatissimo livello pianistico messo in mostra da Rubalcaba, estremamente elegante anche nel rapporto con il pubblico e nel sottolineare la bellezza e il valore storico della sede in cui era chiamato a esibirsi.

La mattina di domenica 16 marzo, al Museo di Palazzo Pretorio, è stata la volta di un quartetto di giovani e preparatissimi musicisti, capitanati dall'altosassofonista Lorenzo Simoni e con Guglielmo Santimone pianoforte, Giulio Scianatico al contrabbasso e Simone Brilli alla batteria. Formazione classica, quindi, ma che ha proposto una musica originale, lontana dagli standard e dalle strutture tradizionali: dinamismo, spigolosità sia ritmica, sia improvvisativa, cambi di tempi, molteplicità di stilemi, collaborazione paritetica. Una musica molo brillante e non banale, che ha messo in luce per eleganza e inventiva non solo Simoni, intenso ed espressivo al suo sax, ma anche Santimone, che pian piano si sta affermando come uno dei più interessanti tra i giovani pianisti.

Il penultimo appuntamento al Teatro Metastasio era lunedì 24 marzo con uno dei concerti più attesi: Gianluigi Trovesi presentava uno dei suoi progetti orchestrali, For a While... Profumo di Violetta, assieme alla Camerata Strumentale di Prato, diretta per l'occasione da Corrado Guarino e integrata da Fulvio Maras alle percussioni. Un lavoro con radici lontane —il quasi omonimo album All'Opera. Profumo di Violetta, realizzato assieme all'Orchestra Mousiké, risale al 2008, e quello stesso progetto era passato al Teatro Metastasio nel gennaio del 2006 per l'edizione di quell'anno di Metastasio Jazz —e che, anche in questa forma, più sinfonica, ha visto varie riproposizioni con orchestre diverse. Trovesi vi ha idealmente attraversato la storia dell'Opera, toccando autori a lui particolarmente cari—Monteverdi, Purcell, Puccini —aggiungendovi poi alcune sue composizioni ispirate alla musica antica e svolgendo non solo il ruolo di prima voce, ma anche quello di cicerone, dialogando ironicamente con il pubblico nell'accompagnarlo tra le singole tappe del percorso. L'ormai ultraottantenne Maestro bergamasco è parso in ottima forma in entrambi i ruoli: spiritoso e pieno di aneddoti da narrare come "presentatore," formidabile agli strumenti, tra i quali ha privilegiato i clarinetti. Così che, complici gli eccellenti arrangiamenti di Guarino e la qualità della Camerata, ne è scaturita una serata elegantissima e deliziosa, in equilibrio tra jazz, musica sinfonica e operistica, ricca di momenti sublimi e accolta con grandissimo entusiasmo non solo dal pubblico, ma anche dagli organizzatori e da Guarino, tanto da ipotizzare la possibilità di ripetere l'esperienza in sala di registrazione. Un'eventualità per la quale ci sentiremmo di suggerire la conservazione, per quanto atipica su disco, del ruolo di accompagnatore svolto da Trovesi dal vivo.

Martedì 1 aprile, presso la scuola di musica Giuseppe Verdi, Stefano Zenni ha raccontato i trent'anni della rassegna, della quale è direttore artistico da ventisette, ricordando emozioni provate per aver realizzato concerti "impossibili" e solo sognati —su tutti, forse, quello di Cecil Taylor —e frustrazioni dovute alle tante difficoltà di realizzazione: aneddoti selezionati tra le moltissime esperienze vissute in questo lungo arco di tempo, con i quali si sarebbe potuto riempire un intero libro e che hanno fatto ricordare splendidi momenti di musica a chi, come chi scrive, segue il festival fin quasi dalla sua nascita.

Dopo un altro concerto domenicale di giovani e valentissimi musicisti —il duo di Jacopo Fagioli e Nico Tangherlini, autori un paio d'anni fa dell'album Bilico—e della conferenza di Luca Bragalini dedicata a due libri su e di Pannonica de Koenigswarter, la "baronessa del jazz," MetJazz 25 si è concluso lunedì 14 aprile con il concerto di Silvia Bolognesi ed Eric Mingus dedicato a Gil Scott-Heron.

Il progetto risale allo scorso anno e ne abbiamo già parlato documentando il suo esordio al PARC di Firenze (leggi l'intervista e la recensione <em>live</em>), dal quale è stato tratto il CD appena uscito per Fonterossa Records che ne riprende il titolo: Is That Jazz?. E anche in quest'occasione la formazione ha confermato la struttura della performance, una sorta di suite iniziata (al buio, in teatro) con un coro che scandiva "Will Not Be Televised," dal brano forse più noto di Scott-Heron, e proseguita toccando una dozzina di altre sue composizioni, arrangiate dalla Bolognesi e cantate parte da Mingus, con la sua voce calda, poderosa e a tratti espressivamente ruvida, parte dalle due cantanti Noemi Fiorucci e Lusine Sargsyan, parte da Emanuele Marsico, per il resto impegnato alla tromba. Una festa in blues, condotta con palese divertimento anche dall'organico sul palco —tutti giovani musicisti, come i già citati e la tenorsassofonista Isabel Simon Quintanar, il trombonista Andrea Glockner, il chitarrista Gianni Franchi, il pianista Santiago Fernandez e il batterista Matteo Stefani, integrati da due fidati collaboratori della leader quali Simone Padovani alle percussioni e Pee Wee Durante alle tastiere.

Una festa che ha inevitabilmente contagiato il pubblico in sala e che ha concluso nel modo più gioioso un'edizione storica per il traguardo tagliato, il trentennale, e per la durata eccezionale. Quanto alla qualità, quella a MetJazz non è mai mancata e quest'edizione lo ha una volta di più confermato.

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