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Kit Downes: dalla Cattedrale al Jazz contemporaneo
                                    
                				            Ai miei allievi dico: ”considera il tuo entusiasmo come la cosa più importante, seguilo ovunque, non cercare di gestirlo nei minimi particolari. Scopri dove ti porta e poi scava a fondo ovunque ti faccia arrivare”
Kit Downes
All About Jazz: Iniziamo dal tuo background, piuttosto singolare, in equilibrio tra l'organo da chiesa che hai iniziato a suonare a Norwich e il profondo amore per il jazz, ispirato da Oscar Peterson. Come si conciliano queste due distinte anime musicali, quella liturgica o classica e quella improvvisativa, nel tuo processo creativo?
Kit Downes: Quelli che descrivi sono due elementi importanti, ma, a loro volta, coesistono con molte altre forti influenze nella mia vita, sempre in flusso, in costante divenire. Non sento la necessità di 'unirle' in qualcosa che finirebbe poi per essere irrimediabilmente più piccolo e definito. Mi piace trovare ispirazioni diverse per le diverse cose che mi ispirano e per le diverse esperienze e influenze che ho avuto nel corso della mia vita.
AAJ: Con i tuoi album per la ECM hai contribuito a dare risalto al ruolo dell'organo a canne in un contesto contemporaneo. Cosa cerchi esattamente in questo strumento: la sua gamma orchestrale, la sacralità dei suoi riverberi o la sua natura di "macchina del tempo" sonora?
KD: In realtà non sono solo in questo campo. Ci sono molti artisti che stanno usando l'organo a canne nella musica contemporanea, con risultati affascinanti. È molto stimolante essere circondati da una scena di musicisti così creativi. Ciò che mi piace dello strumento è sicuramente la sua gamma, che mi consente di giocare con colori e sfumature, e mi permette di suonare come un'orchestra. È uno strumento veramente potente direi catartico col quale posso esprimere sentimenti forti e viscerali grazie ad una gamma di suoni veramente epici. C'è poi una dimensione personale che mi lega fortemente a questo strumento, il fatto che mio padre ha sempre amato l'organo a canne, e lo suona occasionalmente. È stata quindi per me una passione precoce tramite la quale ogni volta che lo suono ristabilisco una connessione con lui.
AAJ: Con il progetto ENEMY, il tuo approccio pianistico è spesso descritto come "ferocemente intenso" e ritmicamente complesso, un netto contrasto con la calma del tuo lavoro da solista. Come cambia il tuo ruolo di esecutore e compositore quando operi in un ambiente così aspro e ad alta energia?
KD: Durante una performance penso semplicemente al contesto in cui opero. Di conseguenza, se suono in un gruppo mi concentro sull'energia delle persone con cui sto suonando; se suono da solo mi focalizzo sullo strumento, sull'organo per esempio. Non c'è nulla di predeterminato in queste scelte estetiche, che rifletton le intenzioni e gli istinti che mi guidano in quel momento. Quindi, alla fine tutto dipende dalle persone con cui suono, per esempio negli ENEMYcon il contrabbassista Frans Petter Eldh ed il batterista James Maddrenil modo in cui stabiliamo un livello di comunicazione più profondo è attraverso la creazione di soluzioni estemporanee per affrontare in assoluta libertà la complessità, prendendo decisioni forti che si presentano come delle verie e proprie sfide, e per questo finiscono per creare tra di noi legami estramente forti.
AAJ: Una riflessione sul tuo ruolo di artista che registra per ECM, un'etichetta con un'estetica spesso associata al suono rarefatto. In che misura il tuo approccio alla composizione e all'uso dello spazio sonoro è stato influenzato dalla visione di Manfred Eicher?
KD: In base all'esperienza che ho avuto con dischi come Obsidian, Dreamlife of Debris, Vermillion e Southern Bodies il mio prossimo disco da solista per organo posso dire che sentiamo le cose in modo simile. L'affiatamento artista-produttore che abbiamo sviluppato ben si adatta alla musica che pubblico su quell'etichetta.
AAJ: Nelle tue recenti collaborazioni con Norma Winstone (Outpost of Dreams) e con Bill Frisell e Andrew Cyrille (Breaking the Shell, in un trio con l'organo a canne), hai esplorato due estremi: l'intimità del lied vocale da un lato, e l'audacia dell'improvvisazione basata sul complesse tessiture sonore dall'altro. In che modo l'approccio empatico e sensibile richiesto per il dialogo con una voce leggendaria come quella della Winstone si riconcilia con l'essenziale capacità di ascolto e di "non sapere" necessaria per orchestrare un suono così astratto e basato sulla timbrica, con Frisell e Cyrille?
KD: Si tratta di due progetti molto diversi. Con Norma, il mio ruolo, in un contesto di duo, è quello di supportare, ma anche incanalare, il flusso e portarlo ovunque debba andare. Capita che a entrambi piaccia il rischip, quindi è lì che andiamo! Quello con Bill e Andrew è stato il nostro primo incontro, e ognuno di noi ha contribuito materiale per la sessione di registrazione. Il terreno comune più immediato è quindi stato quello di affrontare i suoni di ogni strumentoe l'acustica della stanzaper far funzionare il tutto con l'organo a canne, in quello che resta un organico con una strumentazione piuttosto insolita.
AAJ: Conosciamo il tuo interesse per la musica classica e il folk. C'è un genere, un artista totalmente inaspettato che ascolti regolarmente e che inaspettamente influenza le tue armonie o sensibilità ritmiche?
KD: Ritmicamente sono molto ispirato dalla musica di Petter, da Django Bates e dal movimento M-Base, così come dai primi Fieldwork e Craig Taborn. Per la musica armonicamente orientata, è soprattutto la classica che trovo affascinante... Ravel, Messiaen, Bartók, ma anche musicisti che provengono meno dall'armonia funzionale, come Cecil Taylor, Paul Bley o Kaja Draksler
AAJ: Il tuo album in duo A Short Diary con Sebastian Rochford è un'elegia profonda e personale. Com'è stato interpretare suoni che hanno radice nel dolore provato da un amico a causa della perdita del padre, e creare bellezza in un progetto così delicato e commovente?
KD: È stato un onore ricevere la fiducia di condividure un materiale così fortemente sentito e personale da parte di Seb. Non avrebbe funzionato senza la connessione che io e Seb condividiamo, avendo suonato e trascorso del tempo insieme per molti anni.
AAJ: Insegni alla Royal Academy of Music. C'è un'abilità o un concetto chiave sui quali insisti con i tuoi studenti, ma che ritieni sia spesso trascurato nell'educazione jazz moderna?
KD: Essere veramente aperti e curiosi, piuttosto che critici, anche nelle piccole reazioni a ciò che accade mentre si suona, alla musica degli altri e alla propria. Anche comporre costantemente e non escludere mai nulla, ed essere curiosi riguardo alle proprie reazioni. Ai miei allievi dico: "considera il tuo entusiasmo come la cosa più importante, seguilo ovunque, non cercare di gestirlo nei minimi particolari. Scopri dove ti porta, e poi scava a fondo ovunque ti faccia arrivare."
AAJ: Avendo esplorato tra gli altril'organo solista, il lavoro in trio ad alta intensità e il duo quasi cameristico, c'è un formato, un ensemble o uno strumento che non hai ancora affrontato e che senti sarà il tuo prossimo laboratorio sperimentale?
KD: Mi piacerebbe scrivere musica per un'orchestra sinfonica!
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