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Steffen Basho-Junghans: esplorando lo spazio sonoro della chitarra

Steffen Basho-Junghans: esplorando lo spazio sonoro della chitarra

Courtesy Blue Moment Arts

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In occasione della pubblicazione di The Dancer on the Hill abbiamo parlato con il chitarrista tedesco Steffen Basho-Junghans.

All About Jazz: Dancer on the Hill è uscito ad oltre 10 anni dal precedente, IS, pubblicato nel 2009. Qual è la ragione di questa lunghissima pausa dopo un'attività discografica molto intensa nel decennio precedente?

Steffen Basho-Junghans: Dopo il 2009 alcuni miei brani sono usciti su diverse raccolte, ma per lungo tempo non sono riuscito a trovare un'etichetta interessata ai miei dischi; ne avevo alcuni praticamente completati e pronti per la pubblicazione. Poi una diagnosi di cancro nel 2016 mi ha cambiato completamente la vita, e c'è voluto molto tempo prima che avessi la capacità e la volontà di essere nuovamente creativo. Per non parlare del fatto che la pubblicazione del nuovo disco ha richiesto più tempo di quanto avessi pensato.

AAJ: Alcuni dei brani del nuovo LP sembrano seguire un tema sudamericano, echeggiato in titoli come "Raga Peru," "Brazil" e "Song of the Cordilleras," mentre la chitarra a volte sembra un charango. Si tratta effettivamente di un nuovo paesaggio nella tua geografia musicale?

SBJ: Non è una parte del tutto nuova della mia musica. Alcuni dei brani erano stati già scritti negli anni '90, altri nei primi anni del 2000. Quindi la musica del Sud America è stata nella mia mente per molto tempo. Mi sono sempre chiesto perché la cosiddetta "scena Americana" abbia concetrato la propria attenzione sull'Oriente, ma quasi mai sul Sud America, forse aveva qualcosa a che fare con altre strutture ritmiche, che invece a me interessano molto.

AAJ: Sei stato uno dei primi chitarristi ad incorporare elementi della musica e della tecnica strumentale di Robbie Basho nella tua musica, fin dai primi anni '90. In questo sei poi stato seguito da altri come Glenn Jones, Jack Rose, James Blackshaw, Buck Curran, Kyle Fosburgh, tutti i quali hanno contribuito a mantenere viva la sua memoria. Qual è secondo te l'eredità più importante di Robbie Basho che si riflette nella tua musica e nella chitarra contemporanea in generale?

SBJ: Un elemento importante dell'influenza di Basho è la constatazione del fatto oltre al bisogno di perfezionare la tecnica strumentale, uno deve comprendere che la musica ha da dire qualcosa sulla diversità della vita, delle culture, dei paesaggi ecc. "Prima l'anima, poi la tecnica!"

AAJ: Quando Basho morì nel 1986 era praticamente sconosciuto ai suoi contemporanei, senza nemmeno avere un contratto discografico. Oggi, la sua influenza e importanza sono riconosciute da molti chitarristi. Molti dei suoi album sono stati ristampati, sono stati pubblicati album tributo, un documentario sulla sua vita è stato prodotto e proiettato nelle sale ed è ora disponibile in DVD. Quale pensi sia la ragione di questa rinascita?

SBJ: Quando il mio viaggio nel mondo di Robbie Basho divenne veramente intenso—a metà degli anni '90—la sua musica era ancora nel dimenticatoio. Le risposte alle mie molte domande di allora su di lui a chi l'aveva conosciuto di solito iniziavano con un "oh, mio Dio, è così tanto tempo fa...," ma gradualmente i ricordi cominciarono a tornare. Forse il mio archivio online di Robbie Basho (dal 2000) e la mia prima pubblicazione negli Stati Uniti (2001) hanno contribuito alla riscoperta della sua musica. Col tempo la circolazione di informazioni su Robbie via internet ha fatto il resto. Dopo alcune prime ristampe, era importante che una giovane generazione iniziasse a scoprirlo, come Liam Barker che ha realizzato il documentario, per esempio. Tuttavia ad un certo punto ho iniziato ad avere la sensazione che qualcuno abbia approfittato un po' del boom della riscoperta.

AAJ: La tua musica ha sempre seguito due strade distinte, una più "classica" spesso usando la forma raga americana nel modo in cui l'ha usata Robbie Basho, che possiamo ascoltare in album come Song of the Earth o Rivers and Bridges, e una più sperimentale esplorando più liberamente lo spazio sonoro della chitarra, espressa in lavori come Inside, Landscapes in Exile e Unknown Music. Con i tuoi ultimi dischi, sembra che i due percorsi si siano unificati e ora le esplorazioni sonore provengono dai pezzi più strutturati. È così che la tua musica si è evoluta?

SBJ: All'inizio la mia musica è stata fortemente influenzata dai chitarristi della cosiddetta scuola Takoma in generale [l'etichetta che ha pubblicato i lavori di John Fahey, Leo Kottke, Robbie Basho, Peter Lang N.d.R.], non solo dalla forma raga americana di Basho. Passo dopo passo sono emerse anche altre influenze, perché ho sempre ascoltato una vasta gamma di musiche diverse. Alla mia età ho un background musicale diverso rispetto a chitarristi più giovani, molti dei quali non hanno ancora superato la fase di imitazione degli anni '60. Quindi l'approccio più sperimentale è logico, dal momento che ascolto anche musica elettronica, sperimentale, contemporanea o jazz fin dai primi anni '70. Il punto di svolta è venuto mentre stavo per ri-accordare completamente una delle mie 12 corde dopo una riparazione. Improvvisamente, prima di "accordare il caos," mi è venuta l'idea di sperimentarlo, per vedere se fosse possibile ricavare da quel "caos" qualcosa di interessante. Ho registrato il tutto ed il risultato è stato il mio "Virgin Orchestra No. 1." Da quel momento la mia prospettiva su come posso lavorare con la chitarra ha subito una vera e propria rivoluzione. Il "giardino" rimane lo stesso, ma è come aver scoperto un'altro percorso per entrare in quel giardino. Alla fine, come sempre, si tratta di una questione di prospettiva. Il CD Landscape in Exile è stato il risultato successivo di questo sviluppo ed è stato una preparazione per album come Inside, Waters in Azure, e 7 Books. Dopo 7 Books mi sono reso conto che entrambi gli aspetti appartengono alla mia musica, anche se alcuni progetti o pezzi a volte vanno più in una o nell'altra direzione. Ed è così che ho organizzato i miei concerti da quel momento in poi.

AAJ: Qual è il tuo approccio normale per comporre musica? Segui qualche routine specifica? È diverso tra chitarre a 6 e 12 corde?

SBJ: I pezzi più "classici" in genere si sviluppano da una serie di passaggi parziali, idee che a volte tengo nella mia testa per settimane ed elaboro ulteriormente, e poi—in una giornata particolarmente ispirata—come per miracolo queste parti si amalgano con i tasselli mancanti creando un "tutto" che suona organico. In altri casi, suono liberamente la chitarra, ascolto gli sviluppi sonori e le piccole sfumature che nascono e da ciò si sviluppano interi pezzi. Pezzi come quelli di Inside sono venuti fuori in un colpo solo da una semplice idea. Certamente attraverso l'intero spettro della musica che ho assorbito negli anni si è creato un enorme archivio di suoni, modelli, elementi ecc. nella mia testa, se non nel subconscio. Quando suono le "cose" iniziano a scorrere, in una specie di riscoperta di luoghi sonori dove "sono stato." È come aprire la porta e iniziare a camminare. C'è differenza tra le chitarre a 6 e 12 corde, perché entrambe hanno un loro carattere specifico e offrono possibilità diverse.

AAJ: Le tue composizioni, come quelle di Basho, sono state spesso descritte come dipinti musicali o paesaggi sonori, riflettendo il fatto che sei anche pittore. Tuttavia, penso che assomiglino piuttosto a sculture sonore, in particolare nei tuoi dischi più sperimentali, perché esplorano lo spazio sonoro con un forte senso di profondità, quasi tridimensionale. Hai anche tu questa sensazione?

SBJ: Tutto è spazio, compresi i suoni e gli elementi, ogni luogo, ogni essere vivente... Nei lavori più "sperimentali" mi tuffo nello spazio creato dalla chitarra e ho la sensazione che i suoni sembrino provenire da tutti i lati intorno a me. Dove si incontrano emergono elementi, che vengono poi messi insieme. Quando ne esci fuori, "zumando all'indietro" per così dire, ti rendi conto che è musica. Descrivo, ad esempio, i miei lavori grafici più liberi come "impronte" bidimensionali di queste esperienze. Da ragazzo ho avuto esperienze speciali. Mentre ero seduto in giardino, a volte sentivo il treno dietro la collina; oppure un cane che abbaiava da lontano. Sentivo intorno a me gli uccelli e il fruscio del vento, accanto a me i suoni da una piccola radio, e in sottofondo si poteva sentire il ronzio della fabbrica di potassa dietro il nostro giardino. Penso che questi momenti siano stati le mie prime esperienze nello spazio sonoro. Questa combinazione di suoni naturali e industriali mi ha lasciato un'impressione formativa.

AAJ: Per molti chitarristi acustici trovare un'etichetta discografica ha sempre rappresentato una grande sfida. La tua discografia è disseminata su diverse piccole etichette indipendenti. Tuttavia, Strange Attractors ha pubblicato cinque dei tuoi album tra il 2001 e il 2006. Non erano interessati a continuare la collaborazione? In generale, qual è stato il tuo rapporto con tutte quelle etichette?

SBJ: A causa dell'attenzione che i miei album per Sublingual e Strange Attractors avevano ricevuto, mi sono pervenute richieste dalle altre etichette per la pubblicazione di album. La collaborazione è stata buona con quasi tutte. Con Strange Attractors, ci furono un po' di incomprensioni dovute alla cancellazione di un tour della quale non ero stato informato. Probabilmente sono diventato troppo "estenuante" per l'etichetta. Non so che dire. Ad ogni modo, il contatto si è interrotto qualche tempo dopo l'ultimo album. Chris Scofield [il fondatore di Strange Attractors, N.d.R.] mi ha contattato di nuovo un po' più tardi. Un produttore voleva usare una parte della mia musica per un documentario sulla natura condotto da Robert Redford e ho lasciato che si occupasse dei contratti. Ma poi non ne ho più sentito nulla e anche le mie richieste non hanno mai avuto risposta da parte dell'etichetta. Inoltre non ho ricevuto alcuna fattura di vendita dal 2004.

AAJ: Da molti anni sul tuo sito web Bluemomentarts.de hai annunciato la preparazione per di un cofanetto di tre CD—le tre ore e mezzo di The Virgin Orchestra No. 1 per una chitarra a 12 corde mai accordata di cui parlavi prima. Finora, tuttavia, è stato pubblicato un solo brano di otto minuti su 156 Strings, una compilation su CD di diversi chitarristi acustici. L'opera completa sarà mai pubblicata? Hai altre opere inedite nel cassetto?

SBJ: Molti anni fa un'etichetta svedese sembrava interessata a pubblicarlo, ma purtroppo ha fatto marcia indietro e sto ancora cercando un'etichetta che abbia il coraggio di farlo, perché ci sono tanti momenti diversi e belli da scoprire all'interno di The Virgin Orchestra No. 1. Ho altri progetti di album inediti, come "The 1st Light," proveniente dalle sessioni di registrazione di 7 Books (una specie di episodio zero, precedente a 7 Books...) e un altro progetto pazzo per 12 corde si è aggiunto. Avevo notato che avevo ancora una meravigliosa accordatura su una 12 corde, la mia accordatura "Ocean Waves." Così ho iniziato a improvvisare e dopo due settimane avevo accumulato quattro ore di materiale e l'idea per Books of Water. In un secondo tempo, ho accordato un'altra 12 corde allo stesso modo e di colpo sono venute fuori altre tre ore di materiale. Da quel momento sono occupato a separare il buono dal non così buono, e a trovare la sequenza giusta tra i brani. Una mezza pazzia...

AAJ: Quali sono i tuoi progetti futuri, considerando che l'evento pandemico senza precedenti di quest'anno ha causato grossi problemi a molti settori dell'economia globale, uno dei quali è il settore delle arti dello spettacolo? Vedi una via d'uscita a questa grave situazione?

SBJ: I miei piani per il futuro sono molto elastici al momento, perché oltre alla problematica situazione del coronavirus quest'anno non è stato davvero un anno facile a causa delle terapie per il mio cancro. Al momento devo affrontare di nuovo alcuni effetti collaterali. Ma spero che forse nella seconda metà del 2021 le esibizioni dal vivo saranno di nuovo possibili, sempre a condizione che la mia situazione di salute lo permetta. Altrimenti continuerò a lavorare sul mio archivio di registrazioni e registrare nuove idee. Al momento è prevista una mostra per Marzo qui a Berlino, combinata con tre concerti.

Successivamente abbiamo rivolto alcune domande a Harry Wheeler, fondatore dell'etichetta inglese Architects of Harmonic Rooms che ha pubblicato i due ultimi lavori del chitarrista.

AAJ: Come mai The Dancer on the Hill è disponibile solo come vinile o download digitale?

Harry Wheeler: Siamo una piccola etichetta con risorse limitate e mi piaceva l'idea di andare per i due estremi. La musica di Steffen ha una certa intensità che è importante incontrare durante l'ascolto. Che si tratti del sacro rituale moderno di piazzare il vinile su un giradischi o dell'intimità di ascoltare attraverso le cuffie mentre cammini da solo nella foresta. Al momento della pubblicazione di IS nel 2009 il formato digitale stava appena decollando e ci siamo chiesti per quanto tempo ancora i CD sarebbbero esistiti. Tuttavia il tempo ha detto che più ci addentriamo nel cyberspazio più importante diventa l'aspetto fisico. Come gli astronauti che fissano la terra bramando di correre le loro mani attraverso i campi d'erba sottostanti. Eccoci nel 2020 e i CD sembrano andare forte. Uno dei vantaggi dei CD è che sono facili da portare in giro durante un tour (una considerazione resa per ora irrilevante dalla pandemia). Mi è stato detto che i CD sono particolarmente popolari in Giappone. Un'altra cosa che il tempo ci ha insegnato è che il formato CD può degradarsi. In conclusione non siamo contrari a priori al CD, e si potrebbe benissimo fare una versione CD in futuro; ma per ora, dovendo scegliere abbiamo ritenuto che la musica di Steffen meritasse di sedersi sul trono del vinile.

AAJ: Come hai iniziato la tua collaborazione discografica con Steffen?

HW: Intorno alla metà degli anni 2000 davo una mano ad alcuni amici che organizzavano concerti a Sheffield. Ho conosciuto Steffen tramite di loro, in occasione di uno di quei concerti. All'epoca, sinceramente, non avevo troppa familiarità con la scena della chitarra fingerpicking, ma la sua performance e il suo carattere generale hanno attirato la mia attenzione. Dava l'impressione di essere più una forza della natura che un essere umano. Non solo, sembrava avere la straordinaria capacità di dirigere le forze della natura direttamente dalle corde della sua chitarra. L'ho invitato a suonare a Leeds e l'ho aiutato ad organizzare un paio di tour nel Regno Unito. Ricordo che la sua chitarra giaceva nella sua custodia aperta nella mia stanza e lui era seduto accanto ad essa, fissando le corde e pizzicandole delicatamente mentre il sole brillava attraverso la finestra e ho notato che suonava come il calore del sole.

AAJ: Hai intenzione di pubblicare musica di altri artisti sulla tua etichetta, o è una sorta di "private label" per Steffen?

HW: La pandemia, oltre ad aver portato danni e problemi, mi ha fatto riflettere e capire quanto sia importante apprezzare ogni momento che viviamo. Ricordarsi che la morte è tutto intorno aiuta a motivare se stessi ad affrontare le cose che uno prima procrastinava. La musica di Steffen porta l'ascoltatore in diversi stati di percezione. Proprio come i raga indiani che sono composti per diversi momenti della giornata o i passaggi delle stagioni, le sue composizioni contengono modi di essere molto specifici. Tra i miei progetti per il futuro c'è quello di pubblicare musica all'espansione della nostra percezione e coscienza. Ad alcuni suonerà pretenzioso, ma parlo sul serio. Ora stiamo lavorando su un paio di titoli di altri artisti e almeno uno dovrebbe uscire nel 2021.

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