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Donatello D'Attoma Story

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A tu per tu con Donatello D'Attoma, classe 1983, e astro pianistico "crescente" e vitale del nostro jazz d'autore. Lo abbiamo incontrato due volte: la prima l'anno scorso, in occasione del Fasano Jazz, dove ha diviso il palco con il chitarrista norvegese Bjorn Solli (si trattava di una delle tappe estive del Watchdog Tour) e, recentemente, in concomitanza della sua ultima produzione discografica, Shemà in cui ha messo mano, reinterpretandole, composizioni note e meno note di Charles Mingus. Ecco il resoconto.

All About Jazz Italia: Qual è stata la tua formazione musicale?

Donatello D'Attoma: Almeno inizialmente la mia formazione è stata di matrice classica, mi sono infatti diplomato in organo al Conservatorio di Monopoli. Poiché ho sempre avuto una passione per la storia della musica, dopo il diploma mi sono spostato all'Università di Cremona proprio per approfondire i miei interessi e lì ho avuto la fortuna di incontrare il pianista Roberto Cipelli che mi ha introdotto al mondo del jazz. Allora avevo poco più di vent'anni.

AAJI: Quindi tu non nasci come pianista jazz?

D.D.A.: No. Quando ho iniziato gli studi non esisteva la possibilità di iscriversi a un corso accademico in Musica Jazz se non dopo aver conseguito il diploma tradizionale. E quindi dopo il Diploma in Organo, mi sono laureato in musicologia a Cremona e ho proseguito i miei studi sul jazz a Torino insieme a maestri come Dado Moroni, Furio Di Castri, Emanuele Cisi e altri.

AAJI: E a livello ispirazionale quali sono stati i tuoi modelli?

D.D.A.: In casa mia si è sempre ascoltato della buona musica e, quindi, diciamo che le ispirazioni non mancavano. Ma penso che il mio interesse per il jazz sia scaturito da un disco live di Keith Jarrett che mio padre acquistò in un negozio per caso. Era il Jarrett dello Standards Trio insieme a Gary Peacock e Jack DeJohnette. Si può dire che quell'ascolto mi ha cambiato la vita e Jarrett è diventato quasi subito un modello a cui far riferimento. Ovviamente, non mi sono fermato a Jarrett e ho cominciato quasi immediatamente a riflettere sulle mie possibilità espressive. È chiaro che è difficile svincolarsi da modelli o da determinati ascolti, ma ho cercato ovviamente di fare la mia strada. È quello che ho fatto ad esempio con Logos, il mio primo disco uscito nel 2010. Un disco moderno ispirato dalla tradizione ma scevro da ogni manierismo.

AAJI: La tua formazione di allora comprendeva Gaetano Partipilo al sax alto, Camillo Pace Contrabbasso al contrabbasso e Lello Patruno alla batteria.

D.D.A.: Quella è infatti la formazione ufficiale del disco. Feci un paio di tour di presentazione e nel secondo partecipò come ospite il trombettista Marco Tamburini. Mi trovai dunque improvvisamente a sfidare le regole e a suonare delle composizioni create per un quartetto con un quintetto: feci una scommessa e diedi a Marco le parti per sassofono. Marco le rimaneggiò in parte per adattarle al proprio strumento e il risultato fu un concerto memorabile.

AAJI: Oltre al pianoforte suoni anche il piano elettrico. Lo hai fatto anche in Watchdog, il tuo secondo disco uscito nel 2014. Quale rapporto hai con questo strumento?

D.D.A.: Lo faccio solo quando è strettamente necessario. Per Logos, ad esempio, mi sono fatto aiutare da Tommy Cavalieri, uno degli editori e ingegneri del suono più importanti della Puglia, che, ad esempio, ha lanciato Tiziana Ghiglioni e realizzato i primi dischi di Paolo Fresu. Cavalieri mi ha supportato nel "centrare" la sonorità del Fender Rhodes. E anche in Watchdog utilizzo il piano elettrico e anche in quel caso mi sono servito della consulenza di uno specialista. Preferisco però di gran lunga suonare il pianoforte. E in questo momento sperimentare nuove sonorità lavorando sui legni, la cassa ecc. Niente di nuovo ovviamente, ma per me tutto ciò rappresenta un percorso inedito.

AAJI: Parliamo di Watchdog, cosa è cambiato rispetto al tuo esordio discografico di sei anni fa?

D.D.A.: Sono passati anni fondamentali in cui ho veramente approfondito la mia conoscenza del jazz. In primis ho ascoltato tantissimo tutti i grandi pianisti come Bud Powell, Herbie Hancock e altri. E fatto soprattutto diverse esperienze di vita che certamente hanno influito sulla mia evoluzione artistica. Secondo alcuni Watchdod si pone a metà strada tra sonorità groove stile Robert Glasper e il jazz nord europeo. In realtà a me non interessano né l'uno né l'altro. Riguardo poi al jazz nord europeo l'unico riferimento forte che mi sento di dichiarare è Esbjorn Svensson, il suo approccio improvvisativo continua anche a distanza di anni ad incuriosirmi.

AAJI: E allora come lo "etichetteresti"?

D.D.A.: Ma lo trovo vicino ad alcune cose della scena newyorchese contemporanea. Devo dire che rispetto a Logos ho dato molto più spazio all'improvvisazione. Il disco non "suona" omogeneo e potrebbe apparire a un primo ascolto come frammentato e discontinuo. In realtà, nel disco suonano ritmiche diverse che contribuiscono a creare scenari musicali eterogenei e distintivi fra loro e credo che questo alla fine rappresenti un valore per l'ascoltatore. Impossibile annoiarsi, c'è sempre qualcosa di inaspettato.

AAJI: A Fasano Jazz lo scorso giugno hai presentato il tuo nuovo disco con una formazione inedita che ha visto oltre a Luca Alemanno al contrabbasso e Vladimir Kostandinovic alla batteria, entrambi presenti in Watchdog, un'ospite d'eccezione, il chitarrista norvegese Bjorn Solli. Come è nata questa combinazione?

D.D.A.: Solli era venuto a suonare in Italia un paio di volte e mi aveva molto impressionato tanto che mi è subito venuta voglia di organizzare qualcosa insieme a lui. E il palcoscenico di Fasano Jazz è stata un'occasione perfetta e unica per presentare il mio nuovo disco e stare insieme sul palco, alternando brani tratti da Watchdog e composizioni originali di Solli. È stata un'esperienza positiva, adoro, infatti, lo stile compositivo di Solli e, particolare, il sound della sua chitarra elettrica, molto vicino a quello di Pat Metheny del periodo Unity Group.

AAJI: Mi parli di un tuo progetto parallelo che si chiama Organik 3?

D.D.A.: È un progetto fondamentalmente live che conta, oltre al sottoscritto, Alex Milella alla chitarra elettrica e Lello Patruno alla batteria. Negli Organik 3 suono l'organo e da poco mi sono avvicinato al mondo dei sintetizzatori, ma non siamo, come si potrebbe pensare, di fronte ad un organ trio classico. Di recente è nata una bellissima amicizia e collaborazione con Giovanni Falzone: ha portato il nostro sound lì dove volevamo arrivasse. Potrebbe presto anche nascere un progetto discografico, abbiamo già alcuni contatti con diverse etichette che hanno manifestato un forte interesse a produrre il nostro primo CD.

AAJI: Parliamo della tua ultima fatica discografica, pubblicata quest'anno, Shemà.

D.D.A.: Sì, è il lavoro che più mi rappresenta e che credo sia un nuovo punto di partenza per la mia carriera. È un disco di piano solo dedicato alle musiche di Mingus, originato da un saggio che ho scritto due anni fa, "Charles Mingus: Composition Versus Improvvisation (Lulu, aprile 2014)," a cui è anche seguito un breve tour di presentazione. Il disco è per l'AlfaMusic di Fabrizio Salvatore. Rivisito composizioni note come "Freedom" o "Good bye Pork Pie Hat" e altre invece poco conosciute come "Weird Nightmare." In Shemà è presente una special guest straordinaria che è la cantante Daniela Spalletta: suo, ad esempio, il brano "Open Heart" come anche il vocalese realizzato sull'assolo di pianoforte di "Good Bye Pork Pie Hat."

AAJI: Un'operazione molto ambiziosa quella di rivisitare il grande Mingus. Hai fatto tutto da solo o ti sei fatto guidare?

D.D.A.: In questo progetto mi ha seguito Franco DAndrea e lavorare con lui è stato veramente un grande privilegio.

AAJI: Presto partirai per la Germania...

D.D.A.: Esatto andrò a Berlino dove frequenterò il prestigioso Master in Jazz all'Universität der Künste. E ci resterò per ben due anni. Questo grazie al fatto di aver vinto una delle cinque borse di studio che la Siae ha messo a disposizione tramite il proprio Fondo di Solidarietà con l'obiettivo di offrire agli associati under 35 la possibilità di iscriversi ad un corso di formazione o di perfezionamento autorale.

AAJI: Ovviamente continuerai a suonare in Italia.

D.D.A.: Certo. Conto di portare avanti la collaborazione con Daniela Spalletta, con la quale ho instaurato un sodalizio artistico che promette "grandi cose," e su un fronte più sperimentale, sto lavorando con Massimo Bonuccelli al progetto elettroacustico Kodex che mi vede al piano elettrico e al sintetizzatore.

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