Ogni tanto fa piacere imbattersi in lavori che mostrino di raccogliere con la dovuta coerenza filologica (che non vuol dire riciclo mani e piedi) la lezione del free jazz storico. È quanto accade in questo bell'album, che riunisce una volta di più una coppia ritmica (chiamiamola così, per comodità) in sella ormai da una trentina d'anni (ricordiamo quanto meno lo storico quartetto braxtoniano completato da Marilyn Crispell), affiancandola al quarantacinquenne tenorista (e in due brani, "Oblique Interpretations" e "Applied Syntax," clarinettista basso) israeliano Assif Tsahar, il quale non disdegna certo di ricollegarsi ad Albert Ayler e Archie Shepp, risalendo, per loro tramite, fino a Sonny Rollins (nel suono, largo, estroverso, in primo luogo).
Si parte nel segno di una visceralità (intensità, meglio) senza particolari freni inibitori, per passare, nel primo dei citati episodi con Tsahar al clarone, su terreni più cogitabondi e rattenuti. Una rinnovata affermatività attraversa quindi la sezione centrale del CD, non senza momenti decisamente più rilasciati in cui salgono in cattedra Mark Dresser e Gerry Hemingway (anche in coppia), fino allo scuro, a tratti quasi ipnotico "(A)pplied Syntax," peraltro non esente da rigurgiti di energia allo stato brado. Chiude il vitale, pieno "Divided Layers," ancora attraversato da una bella, diretta visceralità.
Disco a conti fatti piuttosto raro, e come tale prezioso.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o