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You Should Be Dancing - Biografia politica della discomusic

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You Should Be Dancing - Biografia politica della discomusic

Peter Shapiro

431 pp.

Kowalski

Si celebrano proprio in questi giorni i trent'anni de La febbre del sabato sera e nonostante buona parte del pianeta - specie quella dedita al culto delle arti sonore - continui a proclamare che la disco music è poco più che spazzatura sonora, difficilmente troverete nella musica degli ultimi cinquant'anni un genere che così bene ha simboleggiato i desideri e le contraddizioni del mondo occidentale.

Anche la letteratura sulla disco music si sta conseguentemente arricchendo e approfondendo, come dimostra You Should Be Dancing - Biografia politica della discomusic, splendido libro del giornalista musicale Peter Shapiro, che ripercorre le vicende musicali di quegli anni mettendone in evidenza il ruolo di straordinario indicatore dei disagi, delle contraddizioni, delle aspirazioni politiche e sociali, nonché di quelle artistiche. Merito dunque a Shapiro che riesce, nell'arco di quattrocento dense pagine, a raccontare, appassionare e divertire senza indulgere in compiacimenti da fanatico e contestualizzando la narrazione in modo esemplare.

Muovendosi dagli albori della disco, nella New York infelice e inquieta dei primi anni Settanta, l'autore ci racconta le vicende di pionieri del djing come David Mancuso, Tom Moulton o Walter Gibbons, di locali ormai leggendari come il Loft, il Paradise Garage o il più famoso Studio 54, riallacciandosi al Northern Soul e svelandoci ogni segreto del nascente suono disco.

Scorrono nelle pagine di Shapiro i nomi imprescindibili di Sylvester, di Larry Levan, degli Chic e di Giorgio Moroder, del sound di Philadelphia e delle rapide degenerazioni nella roller-disco, l'ascesa irresistibile e la caduta ingloriosa [a forza di dischi bruciati negli stadi] di una musica che è stata più pop del pop.

Un libro che è un grande antidoto contro i luoghi comuni che circondano la disco music [gli stessi Bee Gees e Travolta vengono giustamente collocati in un'ottica mainstream e ridimensionati], che definisce bene i confini dell'argomento - belle anche le pagine finali sul post-disco e l'underground newyorkese - e che incuriosisce informando.

In quest'ottica è davvero un peccato che la mancanza di un editing serio abbia consentito una traduzione non proprio impeccabile, non solo per la presenza di periodi poco chiari e modi di dire tradotti un po' alla lettera, ma anche per la presenza di diversi esilaranti errori [le Supremes e le Shirelles diventano in alcuni passaggi gruppi maschili, mentre al povero Darryl Hall tocca la sorte contraria, i Buggles, Trevor Horn e Geoff Downes vengono citati come fossero tre cose distinte e così via...] che una semplice lettura attenta da parte di un giornalista di settore avrebbe comodamente evitato.

Questo non toglie comunque l'importanza e la qualità del libro, che si pone, assieme a Love Saves The Day di Tim Lawrence, come il testo di riferimento sul'argomento. Pollice in alto, quindi, o meglio, come avrebbe fatto Tony Manero, indice in alto!

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