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Yazz Ahmed: un suono che unisce mondi

Yazz Ahmed: un suono che unisce mondi

Courtesy Alex Bex

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Voglio che la mia musica commuova le persone, non che le impressioni.
—Yazz Ahmed
La compositrice e trombettista anglo-bahreinita Yazz Ahmed è una delle voci più affascinanti e innovative del jazz contemporaneo, acclamata per la sua efficace fusione di jazz, elettronica d'avanguardia e tradizioni musicali del Medio Oriente, creatrice di paesaggi sonori allo stesso tempo ancestrali e futuristici.

Attraverso la sua musica, Yazz Ahmed non cerca solo di esibirsi, ma di costruire ponti tra culture differenti e trasformarne le percezioni, con un approccio che privilegia la leadership collettiva e l'emozione rispetto al virtuosismo fine a sé stesso.

AAJ: I suoi album, come La Saboteuse e A Paradise in the Hold, approfondiscono la sua duplice eredità britannica e bahreinita. Se il primo affrontava temi quali l'"auto-sabotaggio" e l'"anti-musa interiore," il secondo si è concentrato sulla mitologia e sulla forza delle donne arabe, come le Sirene e la dea Siduri. Come si è evoluta la sua comprensione di questa duplice identità nel jazz e nella musica in generale? E quale messaggio desidera trasmettere attraverso la sua narrazione sulle donne arabe?

YA: Il mio percorso verso l'accettazione della mia doppia eredità è stato un viaggio di auto-scoperta, realizzato attraverso l'auto-educazione ai suoni e alla cultura della mia prima infanzia, che erano caduti nel dimenticatoio e che ho poi filtrato attraverso la lente della mia formazione musicale occidentale. È un percorso molto personale e non sono certa di voler trasmettere un messaggio pre-definito al mondo, se non che, condividendo il mio sviluppo come musicista, spero di ispirare altri a seguire le proprie spinte creative e curiosità, ad esprimersi artisticamente e a farsi avanti, anche in ambienti, come il mondo del jazz, tradizionalmente dominati dagli uomini.

AAJ: Rimanendo in tema, sia per quanto riguarda il ruolo delle donne che le influenze culturali, facciamo un passo indietro. Il suo album Polyhymnia (2019) è una suite dedicata a donne coraggiose, come ad esempio Malala Yousafzai, attivista e premio nobel per la pace nel 2014. Il progetto è stato commissionato da Tomorrow's Warriors, l'organizzazione londinese dedicata alla formazione di giovani talenti del jazz, con particolare attenzione a minoranze etniche, ragazze e persone con difficoltà economiche. Quanto è stato complesso tradurre la forza e determinazione di figure reali attraverso musica strumentale? E in che modo questa esperienza ha influenzato la sua prospettiva sull'uguaglianza di genere e sulla percezione delle donne che suonano strumenti a fiato in un ambiente jazz spesso dominato dagli uomini?

YA: Polyhymnia è stata commissionata da Tomorrow's Warriors per un concerto speciale al festival WOW!, in occasione della Giornata Internazionale della Donna presso il Southbank Centre di Londra. Sono estremamente grata per il loro sostegno e per la fiducia che mi dimostrarono, nonostante fossi una giovane compositrice agli inizi. L'opera fu eseguita per la prima volta dalla Nu Civilisation Orchestra, una formazione interamente femminile. Molte di quelle musiciste compaiono anche nell'album.

La sfida principale fu quella di comporre 60 minuti di musica in sole sei settimane, il tempo intercorso tra l'ottenimento dei finanziamenti e la prima prova. La composizione è iniziata riflettendo sull'impatto che queste donne avevano avuto attraverso le loro vite e le loro azioni, per poi cercare un'idea musicale da sviluppare. Ad esempio, "One Girl Among Many" è ispirata alla cadenza naturale e alle forme melodiche della voce di Malala nel discorso alle Nazioni Unite; "Deeds Not Words" utilizza la melodia di un canto di protesta delle suffragette, "Shoulder to Shoulder"; mentre "Ruby Bridges" richiama i suoni del Mardi Gras, evocati dai ricordi d'infanzia di Ruby, vissuta nella Loiusiana, a New Orleans.

Il fatto stesso di essere stata invitata a comporre quest'opera mi ha resa più consapevole dell'uguaglianza di genere in ogni ambito della vita. Per quanto riguarda le donne che suonano gli ottoni, sono felice di constatare che le cose stiano cambiando, lentamente ma in modo positivo. Oggi sarebbe possibile programmare un festival interamente dedicato alle trombettiste jazz, anche solo nel Regno Unito: cosa impensabile vent'anni fa, quando mi diplomai alla Guildhall School of Music. Tomorrow's Warriors ha avuto un ruolo determinante nel trasformare il panorama artistico in questa direzione.

AAJ: Questo suo desiderio di "costruire ponti tra culture e cambiare le percezioni sulle donne nel jazz e sulle persone di origine mediorientale" —per usare una sua frase —attraverso quale "ponte" musicale o concettuale si svilupperà? C'è uno strumento o un elemento culturale che non ha ancora esplorato a fondo e che vorrebbe incorporare nel suo suono?

YA: Durante la mia prossima visita in Bahrein, con l'aiuto dell'Ambasciatore britannico e di alcuni musicisti locali, intendo offrire lezioni gratuite di tromba a chi non ha accesso all'educazione musicale. Vedo la musica come qualcosa di fondato sulla comunità, un diritto umano che si vive anche attraverso la creazione collettiva.

Continuo a comporre principalmente per il mio quartetto, ma ho altri progetti in arrivo che porteranno il mio suono in nuove direzioni. Mi interessa anche continuare a collaborare con musicisti di generi diversi in tutto il mondo, cosa che posso fare spesso grazie alla possibilità di lavorare da remoto dal mio home studio.

AAJ: Passando al suo rapporto con gli effetti che utilizza per manipolare il suono —come Kaoss Pad o Eventide H9—in che modo questi dispositivi le permettono di modellare "voci" e trame sonore e caratterizzare tromba e flicorno? È un modo per creare e modernizzare un linguaggio "arabizzato?"

YA: La prima volta che ho sperimentato la manipolazione elettronica del suono della mia tromba è stato durante un progetto con Arun Ghosh. Jason Singh riceveva un feed dal mio microfono e campionava, creava loop, e trattava in tempo reale il mio suono con vari pedali e dispositivi, contribuendo all'improvvisazione collettiva. Due dispositivi erano proprio il Kaoss Pad e l'Eventide H9, ed è stata la sua arte a ispirarmi ad ampliare la tavolozza sonora dei miei strumenti acustici.

Poco dopo, in tour con i These New Puritans, vidi Thomas Hein usare un Kaoss Pad per manipolare la voce di Jack Barnett. Organizzai con lui una lezione per integrare l'effetto nella mia configurazione dal vivo. Il Kaoss Pad è ideale perché, dovendo usare una sola mano per suonare la tromba, posso controllarlo con l'altra: la sua interfaccia gestuale è intuitiva e divertente, ed è diventato un'estensione naturale del mio strumento.

Non credo che il mio uso del Kaoss Pad abbia un legame diretto con la musica araba, ma l'Eventide può ricordare il timbro saturo dei riverberi e dei delay tipici di alcune produzioni vocali e orchestrali popolari della regione araba. Per me l'elettronica aggiunge uno strato contemporaneo al suono, e considero i miei effetti come uno strumento aggiuntivo nell'ensemble.

AAJ: Oltre al jazz e alla musica bahreinita, il suo lavoro cita esplicitamente influenze come i Radiohead (con cui ha anche collaborato), Jon Hassell e persino la musica dub. Quali influenze non strettamente musicali (cinema, letteratura, arte, poesia) hanno formato il suo modo di comporre?

YA: Le maggiori influenze non musicali che l'ascoltatore attento potrebbe percepire nel mio lavoro sono la poesia di Rumi, i suoni e la quiete della natura, in particolare il mare (la mia prossima uscita è ispirata all'arte giapponese del "bagno nella foresta"), e l'arte visiva, non da ultimo il lavoro di Sophie Bass, che ha creato le copertine dei miei ultimi tre album e ha ispirato nuove composizioni in un vero scambio creativo. Penso che le mie strutture musicali siano "organiche" nel senso che ogni pezzo trova da sé la propria forma, non seguendo schemi predefiniti.

AAJ: La sua musica è ricca di strati emotivi, ritmi complessi e sound design. Come funziona il suo processo compositivo? Parte da un ritmo bahreinita, da un'armonia jazz o da un suono elettronico? Come bilancia parti scritte e improvvisazione, e che ruolo ha il silenzio nella sua narrazione sonora?

YA: È una domanda bellissima, ma non ha una risposta unica. Ogni volta lascio che la musica mi si riveli, fondendo composizione e improvvisazione. Uno dei miei punti di partenza preferiti è il suono della mia tromba. Spesso mi registro mentre improvviso, anche solo col telefono, e poi riascolto: a volte emerge qualcosa che mi parla. Altre volte registro suoni della natura o dell'ambiente urbano e li riascolto per capire se posso trasformarli in materiale musicale. Una volta individuato il germoglio di un'idea, inizia il lavoro più complesso: scrivere e scartare molto materiale, finché non rimane ciò che davvero conta. È un lavoro duro, ma anche un gioco meraviglioso.

Lascio sempre molto spazio ai miei musicisti e compongo pensando a interpreti specifici. Le persone con cui suono da anni sono una fonte costante di ispirazione. Spesso si pensa che la mia musica sia quasi tutta scritta, ma in realtà una grande parte è improvvisata: forse l'attenzione maggiore va alle forme irregolari e strutturate che a volte utilizzo. Raramente uso la forma standard del brano jazz (tema, assoli sugli stessi accordi, ritorno al tema). Mi piace che un pezzo finisca in un luogo diverso da quello in cui è iniziato, con sorprese lungo la strada.

AAJ: Ho avuto il piacere di assistere al suo concerto a Firenze per la rassegna A Jazz Supreme. Mi ha colpito il suo uso delle mani come elemento ritmico, come a disegnare un pattern percussivo legato ai ritmi popolari arabi. Unito a una preferenza per armonie più essenziali, strutture chiare e un virtuosismo sempre al servizio della collettività, sembra emergere soprattutto la Compositrice e Direttrice d'ensemble, più che la solista virtuosa. È una scelta consapevole? È una forma di leadership collettiva che valorizza la musica nella sua interezza, evitando la "trappola dell'ego" e permettendo alle armonie arabe di parlare attraverso la semplicità?

YA: È un'osservazione molto interessante. È sempre bello ascoltare come la mia musica viene percepita. Il mio quartetto non funziona come un trio che accompagna una solista, come accadrebbe con una cantante jazz: siamo membri paritari di un unico collettivo, e spero che questo conti più della somma delle singole parti.

Mi piace molto la citazione attribuita a Joe Zawinul sui Weather Report, riferita alla distinzione tra unisoni scritti e assoli improvvisati: "Nessuno fa assoli, tutti fanno assoli." Credo di condividere questa filosofia: l'improvvisazione collettiva crea un unico flusso sonoro, dove nessuno è al centro, ma ciascuno può diventarlo nel momento in cui la musica lo richiede. Non cerco di limitare il virtuosismo di nessuno: desidero che la mia musica commuova, non che impressioni. La mia attività di compositrice è importante quanto il mio modo di suonare, e sono grata di aver trovato musicisti felici di dare vita alla mia visione.

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