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Wadada Leo Smith, fenomenologia di un maestro

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Non tutti i maestri sono uguali. C'è chi sceglie di farsi da parte, riducendo al minimo gli sconfinamenti, gli azzardi, i contatti con situazioni potenzialmente rischiose. E c'è chi invece si ostina a cercare, a condividere; tenendo fede a quella che del jazz è la suprema vocazione: la fisiologica tendenza a includere, in un continuo sovrapporsi e intrecciarsi di linguaggi, esperienze, generazioni.

Wadada Leo Smith, trombettista, classe '41, appartiene di diritto a questa seconda categoria. Dall'alto di una visione umana e sociale del fare jazz palesata fin dagli esordi alla corte di Muhal Richard Abrams alla fine degli anni Sessanta, nella Chicago dell'AACM; e poi via via nel primo quartetto di Anthony Braxton, a Parigi, nei ranghi della Creative Construction Company, al fianco di Derek Bailey e degli improvvisatori radicali europei, nei dischi pubblicati dalla benemerita Kabell (ristampati amorevolmente da John Zorn in un fondamentale cofanetto) e in quelli usciti di recente per la Pi, la finlandese TUM e la Cuneiform. Non tutti a fuoco, è vero, non tutti memorabili. Ma sempre e comunque puri nelle intenzioni, vitali, generosi. È musica fatta di slanci quella di Leo Smith, di incontri. Non ci sono calcoli, non c'è risparmio; contano il momento, l'energia, i legami, conta la verità. Ecco perché il maestro Wadada ha sempre e comunque qualcosa da dire. Ed ecco perché le testimonianze, comprese quelle digitali, vanno accumulandosi anno dopo anno.

Almeno una decina quelle messe in fila negli ultimi mesi di comparsate in studio ed esibizioni. Mesi che in questa mini guida vogliamo ripercorrere e raccontare. Buon ascolto. Buon Leo Smith.

Angelica Sanchez, Wadada Leo Smith
Twine Forest
Clean Feed
Valutazione: * * *

C'è il marchio di assoluta garanzia della portoghese Clean Feed sul duo con la pianista Angelica Sanchez (meteora nel Golden Quartet prima del ritorno del titolarissimo Anthony Davis). Un dialogo a luci soffuse e dai toni sommessi quello fissato su nastro durante un lungo pomeriggio trascorso a improvvisare in uno studio di Brooklyn; un incontro garbato all'insegna dell'introspezione.

Che funziona soprattutto grazie alla sensibilità della Sanchez, abilissima nel muoversi con intelligenza e senso della misura attorno agli svolazzi e ai ghiribizzi della tromba, rispettando tempi, silenzi e licenze poetiche. Da applausi la romantica "In the Falls of...," tutta palpiti e sussurri, così come l'imprevedibile "Echolocation," brano a densità variabile che dopo le impennate iniziali finisce per lambire il silenzio. Un disco riuscito, a tratti emozionante. Anche se un tantino sfuggente e introverso.

Wadada Leo Smith, John Tilbury
Bishopsgate Concert
Treader
Valutazione: * * * *

Un altro pianista, un altro duo. Stavolta con un gigante della musica europea. Quel John Tilbury che non solo è colonna portante, da più di trent'anni, del gruppo di libera improvvisazione AAM, ma è anche uno dei più devoti esecutori delle partiture di John Cage, Morton Feldman, Cornelius Cardew e Christian Wolff. Un asceta degli ottantotto tasti, che nella mezz'ora e passa di fitti scambi con la tromba capricciosa di Wadada si conferma artista di straordinaria caratura.

Grappoli di note, cluster, accordi dissonanti, pattern ipnotici, passaggi in punta di dita, corde strofinate e stoppate: c'è tutto il repertorio del perfetto improvvisatore colto. Quanto di più lontano ci sia dall'estetica autenticamente "jazz" (e autenticamente "afroamericana") di Leo Smith. Eppure il gioco di riflessi e rimandi funziona, ammaglia, commuove. Graditissimi extra il quarto d'ora abbondante in solo di Tilbury, un viaggio tra lande spettrali e paesaggi ghiacciati, e i tre monologhi di Wadada, sferzate di suono che raccontano di riti ancestrali e culture primitive.

Wadada Leo Smith, Jamie Saft, Joe Morris, Balazs Pandi
Red Hill
RareNoiseRecords
Valutazione: * * * ½

Più "consueto" l'incontro targato RareNoise con il pianoforte di Jamie Saft, il contrabbasso di Joe Morris e la batteria dell'ungherese Balazs Pandi (alchimista dei tamburi da tenere d'occhio). Siamo sempre nel campo della pura astrazione, dell'esaltazione del qui e ora, ma lungo rotte sicure e meno esposte agli straniamenti. Ciò non significa che non ci sia di che riempirsi cuore e orecchie. Il quartetto si muove tra atmosfere estatiche, strappi violenti, sospensioni; la musica è materia organica altamente instabile, soggetta a mutazioni continue.

La tromba di Smith è il filo conduttore, la voce narrante; il Rhodes e il pianoforte di Saft il mastice e il valore aggiunto (ascoltare prego il fantastico solo a metà di "Janus Face," brano che nella seconda parte esplode in mille schegge di luce. O le sapide note che si inseriscono nel dialogo tra Wadada e Pandi in apertura di "Agpaitic," che poi si srotola alla maniera del Miles elettrico e del Sun Ra più intergalattico). Nulla di sconvolgente (soprattutto se paragonato alla potenza del Golden Quartet), ma profondità e calore non si discutono.

Wadada Leo Smith
The Great Lakes Suites
TUM Records
Valutazione: * * * * ½


Si alza l'asticella delle attese con il doppio The Great Lakes Suites, splendidamente confezionato dalla finlandese TUM Records. Aspettative ampiamente ripagate da uno dei lavori più solidi e significativi che Smith abbia consegnato agli annali del jazz in tempi recenti. Merito soprattutto, ma non solo, della statura dei compagni scelti per questo monumentale omaggio ai grandi laghi del Midwest. Sulle sponde dei quali sono cresciuti anche il contrabbassista John Lindberg, scudiero fidato di Wadada da oltre un decennio, Henry Threadgill, che raramente presta contralto e flauto a progetti altrui, e Jack DeJohnette, che da qualche tempo, dopo le ubriacature jarretiane e alcuni imbarazzanti passaggi a vuoto, ha riscoperto il gusto di sporcarsi le mani (rinsavimento confermato dal bellissimo Made in Chicago). Quattro titani, due dischi, sei lunghi brani caratterizzati da un'intensità esecutiva che leva la terra da sotto i piedi.

Wadada il mistico racconta dell'uomo e della natura, dell'interiorità e dell'ascesi, dell'altrove e del sublime, del silenzio e del caos. Il magnetismo, la forza, l'urgenza sono da brividi. Fin dall'iniziale "Lake Michigan" si capisce che c'è qualcosa di magico, di esoterico. Il basso di Lindberg pulsa oscuro e salmodiante, la batteria di DeJohnette danza e accompagna alla maniera di Chicago; Smith non è mai stato così risoluto, incisivo, Threadgill, al solito, dispensa classe a piene mani. Il momento più alto? I diciassette minuti di Lake Huron, folgoranti per ispirazione e rigore. Gli anni passano, i confini si spostano, ma certe cose non cambiano.

Wadada Leo Smith, George Lewis, John Zorn
Sonic Rivers
Tzadik Records
Valutazione: * * *

Cambio di etichetta, dalla finlandese TUM alla Tzadik, e cambio di formazione. Dal classico quartetto con basso e batteria si passa a un mirabolante trio di fiati: tromba, trombone e contralto. Con Wadada, in un set all'insegna della spericolata improvvisazione, due campionissimi del jazz d'oltre oceano, il primo di Chicago, il secondo di New York: George Lewis, la mente più lucida e riflessiva della famiglia AACM, e John Zorn, che di tanto in tanto, tra una lettera d'amore a Rimbaud e un omaggio a Nosferatu, si ricorda di essere uno straordinario musicista. Non a caso sono le sciabolate e le mitragliate del sax a calamitare l'attenzione e a tracciare i percorsi da seguire.

Più defilato Wadada, che sembra quasi galleggiare a mezz'aria, in posizione di eterna attesa. Sullo sfondo il classico gorgogliare di Lewis, che preferisce muoversi negli interstizi (aggiungendo un pizzico di elettronica). Risultato: musica scomposta, sgarbata, difficile da maneggiare; musica che graffia e scalcia, pretende e perdona poco. Ci vogliono orecchie salde e abitudine a certe frequentazioni per arrivare al nocciolo del disco. Astenersi perditempo.

Wadada Leo Smith & Eco d'Alberi
June 6th 2013
Novara Jazz Series
Valutazione: * * * ½

Tornano basso e batteria per questo live registrato a Novara nel giugno del 2013. Quelli di Antonio Borghini e Fabrizio Spera. Ai quali si aggiungono il sax tenore di Edoardo Marraffa e il pianoforte di Alberto Braida, l'altra metà del quartetto Eco d'Alberi. Che diventa un quintetto con la tromba di Leo Smith, perfettamente calata nel turbine di suoni e idee che caratterizza i sei lunghi brani scelti per la scaletta di questo primo disco pubblicato dall'etichetta collegata a Novara Jazz (si spera primo di una lunga serie).

Rispetto al più notturno e claustrofobico Red Hill, la musica respira con meno affanno. Le trame si scompongono e ricompongono con metodo e delicatezza (esemplare l'inizio di "Above the Trees Line," caratterizzato da un elegiaco susseguirsi di accenni e sussurri); il dialogo è fitto, potente, ma non si scade mai nella verbosità, nell'eccesso. Anche nei passaggi più concitati ("The Zebra Goes Wild") il quintetto amministra le energie, pensa all'unisono, rispettando i tempi della narrazione. Fondamentale l'apporto di piano, batteria e contrabbasso, ma una menzione d'onore se la guadagna il tenore di Marraffa, che riesce sempre a stupire per quel suo essere antico (Chu Berry? King Curtis? Illinois Jacquet?) e ultramoderno allo stesso tempo, rassicurante e iconoclasta. Una meravigliosa contraddizione.

Bill Laswell, Wadada Leo Smith
The Stone (Akashic Meditation)
M.O.D. Technologies
* * * *

Registrato dal vivo allo Stone di New York, il sorprendente Akashic Meditation (disponibile solo in digitale), racconta dell'inusuale faccia a faccia con Bill Laswell. Un incontro tra sensibilità all'apparenza distanti il cui esito ha del miracoloso. In quaranta minuti scarsi di estasiante fluttuare tromba e basso elettrico si corteggiano languidamente, si cercano e si sfiorano. Intorno l'immensità del vuoto.

Popolato di ombre liquide, presenze inafferrabili che incombono ma non fanno paura. Il basso spettrale di Laswell ondeggia e bisbiglia, la tromba di Wadada luccica e respira. Nessuna stella in cielo, nessuna luce all'orizzonte. Ma perdersi non è mai stato così bello.

Wadada Leo Smith, Hardedge
The Nile
Hardedge
Valutazione: * * *

Ultima tappa del viaggio intorno a Leo Smith. Chiudiamo con un altro duo: tromba ed elettronica. A maneggiare diavolerie assortite e nastri il sound designer newyorchese Hardedge, che da qualche tempo si diverte a misurarsi con jazzisti e improvvisatori (Graham Haynes, Brandon Ross, Doug Wieselman, Bill Laswell).

E che per l'occasione apparecchia tappeti sonori brulicanti e sfrigolanti, minimali e rarefatti. Specchi d'acqua sulla cui superficie leggermente increspata la tromba veleggia con sensibilità ed eleganza, rompendo il silenzio con ritrosia, quasi fosse il vuoto a scavare nel suono e non viceversa. L'ennesima lezione di stile del maestro Wadada.

Foto
Scott Groller.

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