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Sulle tracce di Michel: intervista a Tommaso Starace
ByLondra è un posto che ha una grande energia e non smette di ispirarmi e regalarmi sorprese.
AAJ: Sei leader di due quartetti, uno italiano e l'altro inglese. Quali sono le principali differenze tra i due gruppi?
T.S.: Il quartetto italiano si esibisce da sei anni. Oltre a essere cresciuti musicalmente insieme siamo anche diventati amici. Quando suono con Attilio (Zanchi, N.d.R.), Tommy Bradascio e Michele Di Toro mi sento sempre a mio agio e ciò mi aiuta a rilassarmi. Ovviamente ci sono le situazioni di tensione con l'adrenalina che scorre forte prima dei concerti, ma so che di loro tre posso sempre fidarmi lasciandomi andare ed esplorare, se voglio, nuovi territori musicali. Attilio e Tommy sono due musicisti che hanno alle spalle molta esperienza essendo un po' più avanti negli anni rispetto a me e Michele. Sono grandi professionisti e continuo a imparare sempre molto dal modo in cui gestiscono le situazioni e si rapportano agli altri. Sono persone generose e altruiste e sono questi alcuni degli elementi essenziali che mantengono in vita e danno prospettiva al quartetto. Per non parlare poi della musica che nasce dal nostro affiatamento. Ad esempio suonare con affianco Michele è un po' come tornare a essere bambini e giocare a nascondino: c'è un continuo desiderio di divertirsi, di giocare con la musica e cercare qualcosa di nuovo.
Con il quartetto inglese (Frank Harrison al piano, Laurence Cottle al basso elettrico, Chris Nickolls alla batteria, N.d.R.) la cui formazione è cambiata nel corso degli anni, non c'è lo stesso feeling che caratterizza il gruppo italiano. Facciamo i nostri concerti, suoniamo della buona musica che è palesemente apprezzata, ma la ricchezza del rapporto interpersonale è diverso. Quando vivi all'estero da parecchio tempo ti rendi conto sempre di più come gli italiani rispetto ad altre culture hanno la grande ricchezza del calore umano e la gioia di stare insieme. Dal punto di vista musicale ci sono grandissimi jazzisti in Inghilterra ed è sempre un grande onore suonare assieme a loro.
AAJ: Sei tra i musicisti giovani più apprezzati in circolazione. A tuo avviso per quale motivo?
T.S.: Difficile dirlo. Forse perché cerco sempre di dare il massimo in tutto quello che faccio: dal tentativo di rendere ogni progetto quanto più personale e diverso possibile , fino alla preparazione dei concerti e all'impegno nel concerto stesso. Mi piace anche collaborare con musicisti che hanno uno stile differente dal mio cosí che nella musica e nel gruppo ci sia più varietà e colori. Sono felice di essere andato all'estero a studiare ed aver costruito la mia carriera musicale a Londra, città dove vivo. È un posto che ha una grande energia e non smette di ispirarmi e regalarmi sorprese. Forse la cosa più bella di questa città è il fatto che raccoglie gente da tutto il Mondo, di differenti culture: quando sei su un treno della metropolitana puoi capitare seduto di fianco a un cinese, un indiano, un caraibico, un arabo e questo è assolutamente normale a Londra. A questo c'è da aggiungere l'individualismo degli inglesi: hai davvero l'opportunità di essere te stesso se vuoi.
AAJ: Tra le tue esperienze formative, qual è stata quella che più di altre ha segnato il tuo modo di rapportarti con la musica?
T.S.: Una delle esperienze più belle che ho avuto nel corso della mia carriera musicale è stata con la pianista Joan Taylor. Per sette anni ho avuto la cattedra di sassofono al Morley College di Londra dove insegnavo lo strumento a classi per adulti, dai 18 ai 70 anni, che provenivano da diverse parti del Mondo. Nella scuola una delle mie colleghe era una fantastica pianista di musica classica di nome Joan Taylor. Una pianista con grande esperienza di concertista e sopratutto, più avanti nella sua carriera, di insegnante e accompagnatrice. Con Joan ho avuto la grandissima fortuna di imbarcarmi in un progetto costruito da entrambi che si chiamava Jazz Meets Classical, dove le nostre differenti esperienze e formazioni nella musica - io con il jazz e lei con la classica - si fondevano interpretando musica di compositori quali Ravel, Debussy, Erik Satie, Villa Lobos, Ennio Morricone, John Williams, Jacques Ibert. Compositori di musica classica che avevano esplorato nel loro genere il linguaggio jazz. Per me suonare con Joan è stata una grandissima esperienza sia dal punto di vista musicale, ma soprattutto umano. Lei è una persona generosa e altruista e con questa attitudine suona il pianoforte nel ruolo di accompagnatrice in maniera sublime, capendo la persona con cui suona, ascoltandola fino in fondo con grande sensibilità, standogli sempre dietro pronta a darle supporto quando necessario e creando bellissima musica grazie alla sua straordinaria esperienza. È una di quelle rare persone che uno ha la fortuna d'incontrare, che si preoccupa più di dare che di ricevere e che, nonostante la sua statura musicale, ha grande umiltà ed è alla continua ricerca dell'apprendimento. Sento sotto questo aspetto di avere ancora molto da imparare e penso che ciò arriverà con l'esperienza e l'età. Ho anche appreso che quando c'è appoggio, amore e interesse da parte di altre persone, puoi veramente fare grandi passi avain in poco tempo. Il progetto Jazz Meets Classical è finito un po' di anni fa, ma con Joan siamo rimasti molto amici.
AAJ: Quale momento cambieresti del tuo percorso, e perché?
T.S.: Ricollegandomi a Joan Taylor e al progetto che avevamo creato mi sarebbe tanto piaciuto se fosse andato avanti. A causa di complicazioni sue personali avevamo deciso di fermarci per un po' senza poi ricominciare. Mi mancano molto i tanti concerti che abbiamo fatto al Victoria & Albert Museum, e in varie chiese di Londra. In poco tempo, grazie all'entusiasmo che avevo nel suonare con Joan, avevo imparato parecchio nell'ambito dello stile del sassofono classico. Il mio suono sul sassofono soprano, che era quello che suonavo di più con lei, era nettamente migliorato, in particolare il controllo e l'espressività nelle note alte, per non parlare dell'interpretazione delle composizioni che affrontavamo.
AAJ: Hai un'ambizione, un obiettivo che ti sei prefissato?
T.S.: Al momento sto cercando di promuovere il mio nuovo CD su Petrucciani e per la prima volta sto lavorando nel contattare i più noti jazz festival e club nel Mondo. Prima mi focalizzavo sopratutto sulla Gran Bretagna e l'Italia. Mi piacerebbe molto poter portare la mia musica e il mio quartetto italiano all'estero e in futuro poter essere conosciuto e apprezzato in altri paesi.
AAJ: Svolgi la tua attività di musicista a Londra. Che differenze trovi con la scena jazzistica italiana?
T.S.: Il jazz italiano ha molto cuore ed è melodico. Il nostro modo di essere ci permette di esprimere con più facilità i nostri sentimenti. Ho imparato che il fattore climatico incide molto sul carattere di una persona e sul suo modo di esprimersi. Le nostre estati sono lunghe, calde e piene di luce, questo aiuta molto. Il jazz inglese in generale è forte nella parte celebrale e tecnica. Si esplorano armonie particolari, tempi in 7/4, 5/4, 9/4 e si cerca di creare qualcosa che sia unpredictable o che abbia l'elemento nonsense tipico dello spirito inglese. Loro sono grandissimi tecnici e questo mi sembra di riscontrarlo nei pianisti, molti di questi di alto livello, come anche batteristi e contrabassisti. Tuttavia, non lo trovo istintivo. Ho l'impressione, ma potrei sbagliarmi, che non appena c'è una melodia semplice magari un po' sdolcinata, o qualcosa di un po' convenzionale nella musica proposta, i critici di rilievo danno poca importanza a quel tipo di lavoro.
AAJ: A tuo avviso esiste un jazz italiano, inteso come stile a sé?
T.S.: Sì, come già menzionato precedentemente, il jazz italiano si identifica sopratutto in uno stile altamente melodico e "romantico". Esempi di musicisti che a mio parere rappresentano bene questo stile - pure con forte formazione Bop - sono Enrico Pieranunzi con l'album Les Amants, Stefano Di Battista in Round About Rome e Woman's Land, Paolo Fresu nell'album Mèlos e Rosario Giuliani nelle sue ballad.
AAJ: Hai interessi fuori dal contesto musicale?
T.S.: Fin da piccolo ho sempre amato il cinema. Prima di fare musica volevo diventare attore e avevo fatto quattro anni di teatro. Adesso non saprei più recitare. È una cosa che mi riusciva bene quando ero adolescente, quando provavo desiderio e facilità nell'evadere da me stesso, quindi mi risultava facile imitare il comportamento di altre persone e diventare un po' loro. L'artista che più mi ispira in quello che faccio, e che mi dà molta carica col suo talento non ha a che fare con la musica bensí col cinema: Robert De Niro. Un uomo che nel suo incredibile percorso artistico è riuscito - grazie non solo al suo talento, ma anche al suo perfezionismo, all'amore sviscerato per il cinema e alla sua recitazione - a far sognare e commuovere me e tante altre persone con i suoi personaggi evocativi. Se ho bisogno di motivazione e ispirazione vado spesso a vedermi interviste e frammenti dei suoi film su Youtube. Mi piacerebbe avere la stessa attitudine di De Niro, ma nella musica.
AAJ: Tra i saxofonisti c'è qualcuno che ti stimola particolarmente?
T.S.: Cannonball Adderley, che amo sempre ascoltare, mi dà gioia ed è anche una continua fonte di energia positiva.
All About Jazz: Parliamo del tuo ultimo progetto. Da cosa nasce la tua grande ammirazione per Michel Petrucciani?
Tommaso Starace Scoprii Michel Petrucciani per caso, dopo aver iniziato da poco a suonare il sassofono. Ero a Umbria e Jazz nel 1994 e prendevo parte ai seminari della Berkeley. La sera del concerto di Petrucciani c'era la finale dei mondiali di calcio Italia-Brasile e il festival era per qualche ora "congelato". Molta gente seguiva la partita sui maxi schermi e sui televisori nei bar. A causa dei tempi supplementari e dei rigori arrivammo tutti un'ora e mezzo in ritardo al suo concerto. Si respirava un'atmosfera di grande delusione poiché il Brasile aveva vinto, ma quando cominciò il concerto l'energia, la poesia, il groove e melodicità di Petrucciani coinvolsero subito tutti. In quel periodo il pianista promuoveva uno dei suoi album che ancora oggi rimane tra i miei preferiti, Marvellous accompagnato da Dave Holland al basso, Tony Williams alla batteria e il Graffiti String Quartet. Ho poi cominciato a comprare altri suoi dischi, conoscere più a fondo il suo repertorio e ad appassionarmi sempre di più al suo tocco e al grande swing eseguito nelle sue "chansonnes," come a lui piaceva chiamare le sue composizioni, perché molto melodiche e orecchiabili. Solo dopo, scoprendo il documentario girato su di lui Non Stop Travels with Michel Petrucciani, mi innamorai della sua personalità focosa e spontanea, nonché della sua incredibile energia e straordinaria voglia di vivere fino all'ultimo secondo nonostante i seri problemi fisici che aveva. Anche Michele Di Toro (e Tommy Bradascio con cui suono sono grandi appassionati di Michel, e un paio di anni fa parlando della sua musica decidemmo di iniziare questo progetto dedicato a lui.
AAJ: In un repertorio così vasto, in che modo hai selezionato i brani da registrare per Simply Marvellous!?
T.S.: Ho semplicemente scelto alcune delle composizioni del suo repertorio che più mi piacevano, facendo anche in modo che la combinazione funzionasse. Ho anche mirato a pezzi che sono un po' i classici di Petrucciani come "Looking Up," "Little Peace in C for You," "September Second". La mia scelta rispecchia anche un po' la varietà di stile e di feeling di questo pianista eclettico, dal dolce waltz "Rachid" agli scatenati "Simply Bop" e "My Bebop Tune," al funky "September Second" fino ad arrivare alla bossa di "Guadeloupe" e al mio pezzo preferito "Looking Up". Secondo Louis, fratello di Michel, che ha gentilmente scritto le note di copertina del CD, la scelta delle composizioni ripercorre bene la sua carriera musicale, ma questo è stato un fatto casuale.
AAJ: Di Toro ha ruolo delicato, vista la materia trattata.
T.S.: Michele ha una grande espressività melodica nelle sue improvvisazioni e questo lo accomuna sicuramente a Petrucciani. In accordi anche difficili, come quelli della composizione "Even Mice Dance," riesce a costruire semplici linee che viaggiano "orizzontalmente" attraverso la complessa armonia, connettendoli con gran facilità e creando bellissimi fraseggi. Michele ha studiato molto il repertorio di Petrucciani, stimandolo molto come pianista e compositore, e questo lo senti quando suona pezzi come "Looking Up" o "Guadeloupe". Riesce subito a catturare la stessa energia e stile che erano tipici del pianista francese, mi riferisco in particolare all'accompagnamento e all'interpretazione delle melodie scritte dallo stesso Petrucciani. Nell'improvvisazione Michele ha uno stile tutto suo che proviene dalla fusione di anni di studi classici (come d'altronde Petrucciani) con la passione che nutre per Thelonious Monk, fino ad arrivare allo stride piano.
AAJ: In che maniera un ospite come Fabrizio Bosso si è reso funzionale al progetto?
T.S.: Gli elementi che accomunano Bosso a Petrucciani sono l'efficace e focoso fraseggio Bop e il suono caldo e pieno che entrambi riescono a far uscire dal loro strumento. Quindi Fabrizio era perfetto per questo progetto e sono davvero felice e onorato che abbia accettato di unirsi a noi. Inoltre, anche Fabrizio, come Michele, ha la capacità di sprigionare tanta poesia e molteplici colori nei suoi assoli. Questa è una virtù che oggi hanno i musicisti italiani più di quelli stranieri.
AAJ: Stai lavorando a nuovi progetti?
T.S.: Sì, col mio quartetto italiano presto affronteremo il secondo progetto di "jazz fotografico". Sono un grande appassionato di fotografia in bianco e nero, sopratutto dei fotografi della Magnum quali Robert Capa (un'altro mio eroe), Henri Cartier-Bresson, Mary Ellen Mark. Nel 2004 ho registrato col il quintetto inglese un'album di miei composizioni dedicato a otto fotografie di Elliott Erwitt, famoso per lo humour nelle sue immagini. Adesso mi ispireranno le foto di Gianni Berengo Gardin, grande fotografo di origini venete che abita da molti anni a Milano. È considerato il Cartier-Bresson italiano.
Foto di Fiorenzo Pellegatta (la prima e la terza), Capajazz (la seconda), Emanuele Vergari (la quinta) ed Francesco Mion (la sesta)
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