Home » Articoli » Interview » MAT: Collettivo in evoluzione
MAT: Collettivo in evoluzione
Ogni disco che abbiamo registrato è importante perché rappresenta il punto da dove siamo venuti. Questa prospettiva ci consente di avere un quadro completo delle nostre esperienze
All About Jazz: In front Of è il vostro primo disco a nome del collettivo MAT: che cosa ha rappresentato per voi questo passaggio?
Francesco Diodati: Siamo nati e cresciuti attraverso diversi incontri in cui suonavamo e studiavamo insieme in maniera particolare su delle composizioni di Marcello Allulli. È nata nel tempo la necessità di vederci in maniera più continuativa finché tre anni fa abbiamo sentito l'esigenza, anche come proposta di immagine, di identificarci come trio avendo nei primi album avuto il piacere di collaborare con altri musicisti tra cui Fabrizio Bosso.
AAJ: Spesso capita che nonostante si suoni insieme per diverso tempo non scatti quella scintilla necessaria a un coinvolgimento totale all'interno del gruppo.
Ermanno Baron: Nel nostro caso la scintilla è scattata immediatamente, una sintonia per quanto riguarda l'approccio alla musica, al suono e, non meno importante, alla relazione umana. Tutto questo ha costituito la base per continuare a sviluppare il nostro discorso musicale nonostante gli impegni individuali in altri progetti. Ciò che ci accumuna è la ricerca della plasticità e duttilità della musica. Una pratica che abbiamo adottato è quella di non avere una scaletta quando siamo in concerto, per stimolarci ad essere sempre pronti in situazioni non predeterminate e, di conseguenza, a rimanere in costante ascolto reciproco.
AAJ: Aver registrato l'intero disco in presa diretta rientra nella vostra scelta di dare al disco una dimensione in divenire?
FD: Per diversi aspetti eravamo stanchi di suonare in cuffia e separati: la dinamica naturale è difficilmente riproducibile quando sei in cuffia. Inoltre abbiamo potuto trovare un'intensità maggiore ritrovandoci a suonare nella stessa stanza. Abbiamo scelto di registrare, di conseguenza, solo le prime take.
AAJ: Il disco sembra formare un unico racconto costituito da un insieme di composizioni scritte da ognuno di voi.
FD: Sì, per esempio ho composto "Brothers" durante il primo lockdown pensando al legame musicale che condivido con Baron ed Allulli. Un forte legame che ci ha spinto, appena è stato possibile dopo il periodo di fermo, ad affittare uno studio per provare e registrare delle improvvisazioni. "Song of Migrants" l'avevo scritto per un'altra collaborazione con l'etichetta Tuk per il progetto Clorofilla con Enrico Morello. La versione del brano è stata plasmata dal suono del gruppo nel corso delle varie sedute. Abbiamo mantenuto il tema destrutturando tutto il resto. Un processo che applichiamo spesso: ognuno di noi ripropone qualche vecchio brano per lavorarci sopra aggiungendo delle parti o modificando delle strutture ritmiche.
AAJ: A proposito della Tuk, questo è il primo disco che avete registrato con l'etichetta di Paolo Fresu.
FD: Avendo personalmente già collaborato con la Tuk, Paolo era interessato ad un'altra uscita discografica che mi riguardasse. Gli ho proposto il progetto del MAT perché avevamo del materiale pronto per essere registrato. Ha accettato a scatola chiusa.
AAJ: La Tuk è una delle poche etichette italiane che riesce a fondere sapientemente l'arte grafica con musica di qualità. Un connubio evidente dalla scelta della copertina del vostro disco.
EB: L'autore della copertina, Francesco Bankeri, è un mio caro amico con cui ho condiviso diversi progetti. Ogni uno di noi a un certo punto ha seguito la propria strada nel mondo dell'arte. Nel precedente disco avevamo scelto come protagonista della copertina un gorilla, così quando abbiamo visto tra le opere di Bankeri una che richiamava nell'immagine lo stesso personaggio l'abbiamo scelta. La copertina possiede un carattere pop nel quale abbiamo trovato una corrispondenza con la maturazione del gruppo attraverso il processo evolutivo della nostra musica.
AAJ: Nelle note di copertina citate una frase di Ornette Coleman: "Rather then a success myself, I want the music to be successful." Quale influenza ha esercitato il grande musicista americano sull'evoluzione del vostro progetto.
Marcello Allulli: Non si tratta di un semplice approccio alla musica di Ornette Coleman, c'è qualcosa di più: un'attrazione del tutto irrazionale che col tempo sono riuscito a metabolizzare. Ciò che ancora mi stupisce della sua musica è l'essere piacevole nonostante l'apparente difficoltà. Il fatto di poterlo incontrare e parlarci ha rappresentato per me un momento molto intenso che ha influenzato il mio modo di pensare e vivere la vita. Per noi come gruppo la sua ispirazione si ritrova nel cercare di conferire attraverso la musica un colore alle nostre vite, per poi comunicare tali sensazioni al pubblico.
AAJ: È un discorso che riguarda alla fine tutti i giganti del jazz...
EB: La musica di Ornette Coleman come quella di Monk o piuttosto di John Coltrane contiene un messaggio che arriva in modo diverso ad ognuno di noi. Racchiude la capacità di smuovere degli aspetti importanti in chi ascolta, scavando nel profondo. Questo ti cambia la percezione della musica e di conseguenza della vita.
AAJ: Coleman diceva che "armonia, movimento e ritmo possono diventare tutti una melodia": quanto questa affermazione è vera nel vostro caso per quanto riguarda la musica espressa nell'ultimo disco?
FD: All'inizio io e Ermanno Baron eravamo molto interessati alle forme complesse della musica. L'incontro con Marcello Allulli è stato in qualche maniera anche "scontro" in quanto introduceva nel gruppo l'aspetto melodico. Questo disco rappresenta in qualche modo il punto di partenza per un processo nel quale siamo riusciti ad amalgamare la complessità con la cantabilità dei brani. Ci siamo in un certo senso avvicinati di più l'uno all'altro facendo della melodia la vera espressione del nostro essere musicisti.
AAJ: Possiamo dire che In Front Of rappresenta il disco della maturità nel vostro percorso artistico come collettivo?
MA: In questo disco siamo certamente più consapevoli nelle nostre potenzialità di riuscire ad esprimere quello che stiamo vivendo in questo momento storico. Abbiamo cercato di evitare un prodotto artefatto che non rispecchiasse il nostro sentire, non dando troppa importanza all'eventuale giudizio del pubblico. D'altra parte ogni disco che abbiamo registrato è importante perché rappresenta il punto da dove siamo venuti. Questa prospettiva ci consente di avere un quadro completo delle nostre esperienze. Una base per guardare a ciò che verrà in futuro.
< Previous
Celebrating Jazz Geminis Valaida Snow...
Comments
About Francesco Diodati
Instrument: Guitar
Related Articles | Concerts | Albums | Photos | Similar ToTags
Interview
Paolo Marra
Mat
Marcello Allulli
Francesco Diodati
Ermanno Baron
Fabrizio Bosso
Enrico Morello
Paolo Fresu
Ornette Coleman
John Coltrane