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Jeff Ballard, Toscano per amore

Courtesy Roberto Cifarelli
All About Jazz: Sei uno dei batteristi della scena internazionale più apprezzati, dal pubblico e dai colleghi, con una carriera che ti ha visto al fianco di alcuni miti del jazz contemporaneo, ma anche collaborare con musicisti di nazionalità e orientamenti artistici diversi. Come è iniziato tutto questo?
Jeff Ballard: Mio padre suonava la batteria, anche se non professionalmente, ed era un grande appassionato di jazz, per cui in casa c'erano un sacco di dischi, tutti LP, principalmente di Count Basie, Ahmad Jamal e Oscar Peterson. Per cui per me fu naturale ascoltare quella musica e cominciare a mettere le mani sulla batteria. La mia famiglia si è trasferita varie volte, sempre in California, perciò ho cambiato spesso città e scuola, ma ogni volta le costanti per me erano la musica e il baseball. Per questo, in ogni scuola frequentata seguivo i corsi di musica che erano offerti come attività extra-curriculari e ho iniziato a suonare intorno ai quattordici anni. Finita la scuola superiore ho incontrato e iniziato a suonare con Larry Grenadier, con il quale ho conservato una forte amicizia e suonato insieme anche in formazioni importanti. Poi, qualche tempo dopo, ho avuto l'opportunità di fare un'audizione per suonare con Ray Charles e mi hanno preso! Avevo venticinque anni, lavorare con lui è stato fantastico e musicalmente mi ha fatto crescere molto. Dopo tre anni con Ray ho iniziato a sentire il desiderio di andare a New York, dove ritrovai il mio vecchio amico Larry Grenadier e conobbi Mark Turner, poi diventato un altro caro amico.
AAJ: Diciamo che sei anche stato fortunato ad avere per amici dei grandi musicisti!
JB: Sì, posso dire di essere stato sempre anche molto fortunato.
AAJ: Ray Charles era non solo un grande musicista, ma anche un personaggio di grande successo mediatico internazionale: com'è stato lavorare con lui?
JB: Come andare all'Università della Musica! E questo non perché insegnasse, o desse ordini e indicazioni: le parole con lui contavano poco, a guidare era sempre la musica, e forse qualche gesto mentre quella scorreva. Ho imparato tantissimo, lavorando e seguendo la sua personalità.
AAJ: Immagino poi che i tour fossero elettrizzanti, non foss'altro per la quantità di pubblico.
JB: Sì, certo, il pubblico spesso era numerosissimo, ma per me non è stato tanto quello l'aspetto più rilevante delle tournée con Ray, quanto il gruppo: oltre a lui c'erano cinque trombe, cinque tromboni, cinque sassofoni, un organo, una chitarra, un basso elettrico, io alla batteria e cinque cantanti, un sacco di gente. E stavamo assieme anche otto mesi, senza tornare mai a casa! Una vita assieme, passata sempre in viaggio con la valigia in mano, in aereo, in autobus: dura, ma bellissima! Una cosa che oggi non esiste più, non la fa nessuno al massimo si sta fuori tre settimane, quasi sempre in aereo, da soli o con gruppi piccoli ma che a me piaceva moltissimo.
AAJ: In effetti sembrano cose d'altri tempi...
JB: Sì, oggi non solo è impossibile organizzare un tour per una big band, ma non puoi più portarti la tua batteria, solo i tuoi piatti, al massimo un pedale!
AAJ: È importante per te avere a disposizione il tuo strumento?
JB: I piatti sì, sono la parte più importante e un po' anche il pedale. Ma quando è possibile cambiarle, mi porto anche le pelli: potendole usare, è quasi come avere la mia batteria e il mio suono.
AAJ: Io credo di averti ascoltato la prima volta nel trio di Brad Mehldau, una delle formazioni per cui sei più noto.
JB: Un'esperienza fantastica, anche in quel caso assieme a Larry. Brad ci aveva sentiti suonare con Fly, la nostra formazione che abbiamo assieme a Mark Turner, e gli eravamo piaciuti molto. Così ci ha chiesto di unirci a lui. Io ci sono arrivato dopo aver suonato con Chick Corea: stessa formazione, ma un altro mondo! È il bello della musica. Con Brad, ogni cosa che facessi, ogni sfumatura, lui la sentiva, la percepiva, reagiva. Per me era una cosa entusiasmante, e molto impressionante: che facessi cose più semplici o più complesse, era bellissimo sentire che lui rispondeva a ogni cambiamento, a ogni idea. Ed era impressionante percepire la velocità del suo cervello! E non è la sola grande qualità di Brad: un'altra è la sua capacità di raggiungere e conquistare tutto il teatro suonando una sola nota. È la conseguenza di una consapevolezza del suono, degli effetti che esso ha sugli ascoltatori, che non hanno in molti. Un altro che ne è capace è Mark Turner. Un'elevata e non comune intelligenza musicale.
AAJ: Puoi dirci qualcosa di più su Fly, formazione molto apprezzata non solo dal pubblico, ma anche dalla critica?
JB: Mi stupisce e rallegra sempre sapere che c'è chi conosce Fly! È una formazione singolare, perché tutti e tre siamo soprattutto sideman, non leader, così l'abbiamo messa in piedi soprattutto per il piacere di suonare assieme. Inoltre, proprio perché siamo dei sideman, siamo anche spesso impegnati, oltretutto in tempi diversi l'uno dall'altro. Così, è molto difficile trovare il modo di suonare con regolarità: infatti è un po' che non lo facciamo. Tuttavia la formazione è ancora in piedi, tutti e tre le siamo molto affezionati, ne parliamo spesso e scriviamo qualcosa, ma è come se stessimo aspettando il momento per darle un seguito. Sicuramente lo troveremo!
AAJ: Accennavi all'esperienza con Corea, un altro grande.
JB: Grande, grandissimo. Nella musica e nella vitaanche perché, comunque, la musica è vita. Ho suonato con Origin, il sestetto di Chick Corea, per tre anni il primo concerto fu alla Carnegie Hall di New York ed ero malato quella sera, avevo la febbre, ma ho suonato lo stesso e altri tre con il suo trio. È stato molto bello, ma davvero molto diverso che con Brad: mentre con lui si suona alla pari, in simbiosi, con Chick si suonava "in parallelo," quasi fossero due percorsi sinfonicamente affiancati. Una differenza molto interessante.
AAJ: Dicevi di essere soprattutto un sideman: si tratta di una scelta?
JB: Sì, è una scelta. Anche se, in realtà, ho da tempo anche un gruppo di cui sono leader, il mio trio con Lionel Loueke e Miguel Zenon: in quindici anni abbiamo fatto molti concerti a New York, e anche fuori, oltre a un disco nel 2014. Altri gruppi di cui sono leader sono un trio sempre con Lionel e con Chris Cheek e un organico che si chiama Jeff Ballard Fairgrounds, dove la formazione dei musicisti è variabile.
AAJ: Loueke e Zenon sono due musicisti forse non notissimi qui in Italia, ma bravissimi, con il secondo che negli ultimi anni si è sempre più affermato.
JB: Infatti sono anche molto molto impegnati, e questo aumenta la difficoltà organizzativa.
AAJ: Sei nato in California, ma ormai da qualche anno vivi a Sesto Fiorentino e sei quasi un fiorentino d'adozione: come sei arrivato qui da noi?
JB: Per colpa dell'amore! In Francia, dopo un concerto con Fly, ho incontrato una donna che lavorava in un'agenzia di booking & management musicale a Parigi, ed è scoccato subito qualcosa. Ci ho messo un po' di tempo, ma alla fine "ho vinto": ci siamo sposati e abbiamo avuto due bambini. Abbiamo vissuto a Parigi per quasi quattro anni, poi a Bordeaux per quasi altri quattro anni, ma dopo la seconda figlia abbiamo pensato di venire a vivere in Toscana. Lei è di Prato e conosceva bene questa zona, così siamo finiti a Sesto Fiorentino.
AAJ: Mi pare che nel panorama musicale locale ti trovi bene, visto che non solo ti vedo spesso suonare, specialmente con musicisti giovani, ma ti trovo anche frequentemente ai concerti in veste di ascoltatore.
JB: Sì, ho suonato con Bollani e con Rava, ma anche con Alessandro Lanzoni, Francesco Zampini, Gabriele Evangelista e altri bravi musicisti. Ho vari altri concerti in programma, sono molto contento. Anzi, domenica 9 marzo potrete ascoltarmi addirittura due volte, in due luoghi e situazioni diverse: la mattina alle 11,00 farò un solo di batteria al Centro d'Arte Luigi Pecci di Prato, per MetJazz, mentre la sera alle 21,00, al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, sarò in trio proprio con Alessandro e Gabriele, per Sesto Jazz.
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