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Jazzfest Berlin 2023

Jazzfest Berlin 2023

Courtesy Camille Blake

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Haus der Berliner Festspiele
Quasimodo Jazz Club, A-Train Jazz Club, Berlino
2-5.11.2023

C'era più di un buon motivo per stimolare quest'anno la decisione di raggiungere il Jazzfest Berlin: primo tra tutti, la presenza di un grande protagonista come Henry Threadgill, che giunto sulla soglia degli ottant'anni, con alle spalle una vicenda artistica di valore assoluto, dopo essere stato insignito del Pulitzer Price for Music nel 2016 per il suo album In for a Penny, In for a Pound, mostra tuttora inesauribile vitalità e lucida coerenza in un percorso che reca in modo distintivo e pregnante la sua impronta unica.

Ma questa edizione del festival di Berlino, la sessantesima, sviluppata nell'arco di quattro dense giornate con trentasei appuntamenti concertistici, non mancava di presentare altri personaggi dalla nobile età, che hanno rivestito ruoli importanti nella vicenda della musica afroamericana e dell'improvvisazione. Il pianista Alexander von Schlippenbach, mattatore della storica scena creativa europea, con i suoi ottantacinque anni era il rappresentante senior di questo agguerrito drappello. Il batterista Andrew Cyrille lo segue da vicino, con gli ottantatré anni che proprio in questi giorni (il 10 novembre) sono diventati ottantaquattro. Il trombonista Conny Bauer, fresco delle sue ottanta primavere, era insieme a Threadgill il pargoletto di questo gagliardo manipolo. Che però, come vedremo, non definiamo gagliardo solo per obbligo rispettoso, ma motivati da ben altre e salde ragioni.

Abbiamo dedicato un po' di attenzione ai veterani—tra i quali ci piace inserire anche il settantaquattrenne Fred Frith, distaccato per anagrafe ma unito per ferrato spessore—non perché il festival berlinese fosse centrato unicamente sulle vecchie glorie. Tutt'altro: il cartellone era costruito proprio sulla significativa dialettica tra quei giganti e le forze più o meno giovani. Una serie di correlazioni che nel programma, già sulla carta, esploravano e proponevano tanti stimoli, sotto l'eloquente titolo in cui si mettevano in evidenza il tempo e la tessitura di trame: Spinning Time.

Un concerto emblematico, in tal senso, è stato appunto quello di Frith, che collocava sul campo proprio l'incontro tra generazioni lontane ma sintonizzate, nel trio in cui all'improvvisatore proteiforme erano affiancate due interessantissime personalità. In primo luogo, la già ben affermata trombettista portoghese Susana Santos Silva, che tra l'altro ha registrato in duo con Frith un album pubblicato quest'anno con lo stesso titolo del concerto attuale, Laying Demons to Rest. Poi la batterista brasiliana Mariá Portugal, da noi meno conosciuta ma già molto apprezzata sulla scena germanica, con le sue apparizioni a Moers e lo scorso anno allo stesso festival di Berlino con il proprio gruppo, Quartabê.

La sintonia qui era spalmata nel tempo e nella geografia, tenace come tutto il lavoro di Frith, che non a caso abbiamo preso a esempio. In un festival rivolto al jazz, un personaggio di tale orizzonte ed elasticità mette in chiaro come sotto quel termine abusato e bistrattato possa ancora celarsi una tolleranza artistica che guarda lontano, in profondità e in ampiezza. Come ci si poteva aspettare, i tre musicisti aggirano la natura dei propri strumenti e allo stesso tempo la riaffermano. Costruiscono blocchi, strisce, aloni, percorsi sonori. Lavorano sui dettagli di una comunicazione con forte impronta narrativa, con un'elasticità che diventa eleganza, del gesto e della costruzione.

La nozione di eleganza permette al nostro rapsodico e soggettivo resoconto di balzare su un'altra esibizione che ha lasciato un bel segno: quella del duo di Cyrille con il sassofonista tenore Bill McHenry. La registrazione del duo, Proximity, pubblicata nel 2016, trovava in questa occasione la sua première europea, con un ritardo che in altri tempi non si sarebbe verificato. Al festival di Berlino va il merito di questa attenzione. Anche in questo caso, la prossimità empatica colma la differenza di oltre trent'anni d'età dei protagonisti. Il magistero di Cyrille, maestro di danza su piatti e tamburi, cesellatore di timbri, artigiano di sfumature e architetto di musicalità, mette a perfetto agio il sax tenore di McHenry, che nella misura trova sempre il modo di approfondire un eloquio ricco di articolazioni, metafisico in modo non appariscente, ricco di sostanza. "Proximity" è il brano più lirico della lista, "Drum Man Cyrille" è un gioiellino scritto da Muhal Richard Abrams, che alimenta il dialogo dei due musicisti; "Drum Song For Leadbelly" è basato su "Green Corn" del grande bluesman, dove la conversazione tra i due strumenti gioisce nello scambio serrato di battute.

Restiamo nell'ambito del duo per ricordare il concerto che ha aperto il festival nella grande sala della struttura Haus der Berliner Festspiele, con il pianoforte di Sylvie Courvoisier e la chitarra di Mary Halvorson. Giunte alla conclusione del loro tour europeo, le due musiciste hanno guadagnato generosi applausi con un'esibizione giocata sulla densità, a tratti sovraccarica di virtuosismi e intrecci, forse appesantita dalla quantità di materiale e dalla frequente sfida virtuosistica. Gli episodi più distesi e rivolti all'esplorazione di combinazioni timbriche, dovuti in maggior parte alla penna della chitarrista, hanno delineato gli aspetti più intriganti di questo concerto.

Ancora nel contesto del duo, la rodata concordanza dei pianoforti di Aki Takase e di von Schlippenbach, compagni nella vita e nell'arte, si è giocato sulla forte empatia, su un'energia tuttora giovane, sull'esplorazione di un ampio ventaglio sia espressivo che stilistico, retta dalla costante attenzione al dialogo, dalla reattività sollecita. Gli enigmi dei Four Hands Piano Pieces affondano tra l'altro la propria osservazione in Monk e nella musica contemporanea, con forte impulso alle combinazioni orchestrali e gusto per i contrasti dinamici.

Si sarà capito dalle precedenti note che la presenza femminile nel cartellone era nutrita e virtuosa. Tra le presenze più intriganti, oltre a quelle già citate, merita attenzione la grintosa vocalist Camae Ayewa (alias Moor Mother), che con Irreversible Entanglements portava sulla scena una realtà molto significativa, di forte impatto energetico e di combattiva denuncia sociale. La musica del quartetto, corrosiva, arroventata, ribollente, retta sulla genuina schiettezza del messaggio, riceve sempre maggiore e meritata attenzione sulla scena internazionale, in particolare dopo la pubblicazione dell'album più recente, Protect Your Light. L'unico neo è stata la collocazione del concerto, in una sala laterale troppo piccola. Avrebbe meritato la Große Bühne, il grande palcoscenico della struttura.

Allo stesso modo, i lavori Natural Information Society e The Separation Party, rispettivamente del bassista e solista di guimbri Joshua Abrams e del batterista Mike Reed, erano inseriti in una sezione denominata Sonic Dreams: Chicago, collocata in un ampio spazio aperto, dietro al palco principale. Il pubblico stava in piedi e solo le prime file erano in grado di vedere e ascoltare adeguatamente i musicisti, piazzati sullo stesso piano degli spettatori. Peccato, perché la forza dei progetti meritava altro agio di ascolto, con la presenza di solisti quali il clarinettista Jason Stein e il sassofonista tenore Ari Brown nella prima formazione e di Ben LaMar Gay alla cornetta nella seconda, insieme al possente poeta e narratore Marvin Tate.

Altri spazi alternativi ai palcoscenici della Berliner Festspiele erano dislocati a poca distanza, in due storici locali della scena berlinese: A-Trane e Quasimodo. Anche in questo caso lo spazio era angusto, ma tutto era ripagato dalla preziosa fruizione musicale nell'ambiente dei club. Tra le proposte in quei contesti, sottolineiamo quella del trio con la sassofonista Ingrid Laubrock, germanica attiva ormai da tempo sulla scena statunitense, con il batterista Tom Rainey e il giovane contrabbassista Brandon Lopez. Conosciamo bene la collaborazione tra i coniugi Rainey-Laubrock, sfociata durante il lockdown in una profusione di registrazioni in duo che ha mostrato la varietà e la motivazione del loro lavoro. Ma l'inserimento di Lopez è recente e rimpolpa bene il gioco, come ha dimostrato la pubblicazione di No es la Playa, lo scorso anno. Ruotando sul fulcro agile e solidamente strutturato della batteria, i tre indagano e forzano le possibilità insite in tale organico, con risultati pregevoli.

Un'altra leader presentata nei club, in questo caso al Quasimodo, era la trombettista Steph Richards, alla guida del quartetto nel quale spicca la presenza di Stomu Takeishi al basso. Un'esibizione all'insegna della sfida, che punta sui suoni impuri e strozzati, abrasivi della tromba, sulle densità viscose del basso, sulle ondate percussive del pianoforte di Joshua White, sul martellare risoluto della batteria di Max Jaffe. La leader guida l'assalto con determinazione, con gestualità che ricorda a tratti Butch Morris.

Giungiamo alla presenza di Threadgill, dunque. Momento topico, cuore di questo cartellone. Il musicista di Chicago si presenta ormai raramente sulle scene europee, e già questo rappresentava un valido motivo per ascoltarlo a Berlino. Si aggiungeva l'occasione inedita della fusione di Zooid, formazione dalla storia più che ventennale, con la band germanica Potsa Lotsa della sassofonista Silke Eberhard, nella sua versione allargata di dieci elementi. Una prima mondiale, commissionata dal Jazzfest, preceduta da quattro intensi giorni di prove. Sappiamo quanto Threadgill sia meticoloso nella costruzione della propria musica, ricca di libertà, ma anche di parti determinate in modo complesso e minuzioso, attraverso le quali il singolo solista sviluppa il proprio apporto originale e il contributo al suono organico dell'insieme.

Nell'assaggio di prove alle quali abbiamo assistito, emergeva con chiarezza il lavoro del musicista. Il carattere dei singoli episodi, lo stacco dei tempi e dei metri che si succedevano fitti, l'intervento dei singoli o i dosaggi di gruppetti strumentali, le variazioni dinamiche, erano oggetto di accurata ponderazione da parte del leader. A tratti scaturiva l'energia prorompente di insiemi o di singoli contributi. Ogni ingrediente è mirato e ben focalizzato nel pensiero di Threadgill, volto alla creazione di un organismo in cui la libertà espressiva e la precisione degli snodi sono strettamente collegate in movenze di forte carattere spontaneo, di naturale svolgimento.

Non è facile interagire con il metabolismo formidabile di questo Creative Music Universe, come era definito il mondo di Threadgill dal programma del festival. L'entusiasmo, la motivazione, lo stimolo da parte del gruppo di Eberhard hanno prodotto risultati egregi, in particolare per quanto riguarda l'apporto della vibrafonista Taiko Saito, del trombonista Gerhard Gschlößl, del violoncellista Johannes Fink, che intrecciava il proprio strumento con l'omologo del formidabile Christopher Hoffman. A tratti però tale entusiasmo ha un po' sparigliato le carte e il concerto, di altissimo livello, intendiamoci, ha attraversato episodi contrastanti, anche dialettici se vogliamo. Il quintetto di Threadgill, che oltre a Hoffman schierava musicisti straordinari, da sempre sintonizzati con il lavoro di Zooid, come Liberty Ellman, Jose Davila, Elliot Humberto Kavee, ha offerto momenti degni della propria fama. Ma abbiamo l'impressione che, nonostante le energie profuse, l'esperimento resterà limitato a questa occasione.

Prima di concludere, restano ancora da citare alcuni momenti significativi della manifestazione, come la performance multimediale dell'ampia formazione diretta dalla polistrumentista egiziana Nancy Mounir, dedicata a vocalist della sua terra che negli anni attorno al 1920 subirono forti censure alla propria attività. O come il coinvolgimento di trenta piccoli coristi, dai nove ai dodici anni, provenienti dall'Accademia canora di Berlino e dal coro del Duomo cittadino, protagonisti di un concerto nella giornata d'apertura, che li metteva a interagire e muoversi tra il pubblico insieme a tre formazioni sperimentali parigine, sotto il titolo Apparitions.

I ragazzini hanno pure partecipato a laboratori nei giorni del festival, portando una ventata di vitalità accanto alle numerose proposte a margine della manifestazione. Ricordiamo, tra queste, la chiacchierata con Threadgill, centrata in particolare sulla sua autobiografia pubblicata di recente, Easily Slip into Another World; il laboratorio sull'improvvisazione di Frith, rivolto a giovani studenti esperti; la proiezione dell'eccezionale film Step Across the Border, del 1990, centrato sul mondo musicale dello stesso Frith e seguito dalla significativa chiacchierata tra il musicista e uno dei registi, Nicolas Humbert.

E ancora qualche piccola chicca, come l'anteprima del film Tastenarbeiter, dedicato a von Schlippenbach, e il conferimento dell'Albert Mangelsdorff Preis a Conny Bauer, da parte della Deutsche Jazzunion, che celebrava il cinquantesimo anniversario della propria attività. Lo stesso veterano dell'improvvisazione europea è stato poi protagonista del concerto serale, dove il suo trombone ancora brillante si presentava nell'ottima compagnia di William Parker e Hamid Drake. Infine, preziosi erano pure i materiali della mediateca del festival, accessibili al pubblico con video e ascolto in cuffia, dove abbiamo gustato particolarmente le registrazioni del trio di Cecil Taylor, nell'edizione 1975 dei Berliner Jazztage, con Cyrille alla batteria, e del settetto Very Very Circus di Threadgill, del 1990.

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