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Intervista agli OnGaku2
ByAll About Jazz: Il punto di partenza di questa intervista è il nome che vi accomuna. Qual è la vostra personale versione dei fatti e il perché di questa scelta.
Paolo Sanna: Semplicemente cercavamo un nome per il duo e, tra una rosa di nomi che avevamo scelto, OnGaku2 ci sembrò quella più interessante e più vicino a noi, cosi decidemmo di adottare questo nome, visto l'interesse comune nei confronti della poesia Zen Giapponese, sia tradizionale che moderna, e da parte mia anche un certo interesse verso le Culture Orientali in genere.
Elia Casu: Il nome ongaku viene dall'unione di due termini giapponesi, on e gaku, che insieme possono essere tradotti in italiano con "la sensazione che si prova quando si fa musica," ci piace decifrarlo come la "gioia dei suoni". È stato uno di quei termini saltati fuori da una delle tante letture musicali incontrate nel nostro percorso e che da subito ci ha affascinato, perciò abbiamo deciso di adottarlo come nome per il nostro duo. Il numero 2 è invece un chiaro riferimento alla natura del duo.
AAJ: Prima di esservi conosciuti di persona eravate già al corrente della musica che l'altro suonava? Su quali presupposti avete deciso di costruire un percorso musicale comune?
P.S.: L'incontro con Elia fu quasi casuale. Durante una jam con amici comuni ci incontrammo e suonammo insieme. Mi colpì molto la sua voglia di fare, sperimentare e ricercare, di mettersi in gioco anche con ironia. Trovai e trovo il suo suono e il suo approccio molto personali, cosa non da poco dal mio punto di vista, sopratutto in questi tempi di cloni. Sono state anche queste le cose che ci hanno permesso di iniziare a suonare insieme e portare avanti OnGaku2 senza ansie, suonando quello che siamo. Nei rapporti con i musicisti, mi fido spesso delle mie sensazioni, mi interessa e sento il bisogno di costruire un rapporto che vada oltre il suonare insieme, che vada oltre la musica, che diventi un condividere anche altro, che so... un libro, un film. Questo modo alimenta i rapporti fra musicisti che condividono idee e percorsi e conseguentemente aiuta la musica.
E.C.: Prima di conoscere personalmente Paolo non avevo mai sentito la sua musica, ma sapevo di avere a soli otto km da casa mia un musicista veramente valido con cui poter condividere lo stesso modo di pensare, fare e vivere la musica. La nostra collaborazione è nata poi quasi per caso, si è trattato sicuramente di un "colpo di fulmine" e col passare del tempo si è trasformata in una collaborazione stabile e duratura, dapprima con l'intento di sviluppare e studiare assieme alcuni aspetti sull'improvvisazione, poi in un vero e proprio progetto e percorso musicale da portare avanti insieme.
AAJ: Cosa significa per te improvvisazione?
P.S.: Bella e complicata domanda!!! Da molto tempo ho preso in prestito una frase di Giancarlo Schiaffini: "L'improvvisazione non si improvvisa". Per me è fondamentale vivere ogni momento in modo molto profondo mentre improvviso. Mi piace stupirmi della bellezza che nasce all'improvviso da una improvvisazione o dall'esplorazione sonoro/timbrica con uno strumento. E' come percorrere una strada senza sapere bene dove si arriva, e allo stesso tempo godersi il viaggio. Tutte queste cose sono per me importanti, le chiamo "esigenza di suono". Muovendomi in ambito radicale, avendo scelto lucidamente e consapevolmente di usare l'improvvisazione come prassi esecutiva per arrivare alla composizione istantanea come risultato finale, ne ho fatto una scelta di vita, con la consapevolezza che quello che faccio interessa una cerchia ristretta di persone. Derek Bailey, nel suo importante testo sull'improvvisazione ["Improvvisazione. Sua natura e pratica in musica" - N.d.R.], ci suggerisce e dimostra che la stessa può essere quasi considerata una filosofia.
E.C.: L'unica cosa che so per certo sull'improvvisazione è che si tratta di una pratica musicale che necessita di un costante e importante lavoro di studio per poterla praticare. È un processo creativo in cui è essenziale la sensazione di novità, ma sono convinto che non esista un'improvvisazione pura, vi è sempre un misto di elementi prestabiliti e di elementi imprevisti. Personalmente mi piace pensare all'improvvisazione come l'esplorazione dei propri limiti e delle proprie condotte alla ricerca di nuovi suoni, nuove forme, nuove idee. Una sorta di celebrazione dell'attimo.
AAJ: Cosa pensate che "improvvisazione" significhi per l'altra metá di Ongaku2? Sentite che nel momento in cui vi trovate a suonare insieme emergano queste differenze/affinità?
P.S.: Credo che anche per Elia l'improvvisazione sia quella particolare esigenza che ci permetta di esprimere quello che siamo. Guai se non emergessero in certi momenti, mentre proviamo, suoniamo, discutiamo, differenze o affinità. Queste sono cose che fanno parte del suonare, dell'improvvisare e rendono il tutto interessante. Han Bennink parlando di improvvisazione dice: "Esaminare l'idea da tutti gli angoli, concentrarsi sull'idea. È tutto lì. Cercare tutti i modi di arrivare al centro".
E.C.: Credo che anche per Paolo l'improvvisazione corrisponda all'esplorazione dei propri limiti, alla creazione istantanea di materiale musicale e all'abbandono sostanziale dell'abitudine. Condividiamo le stesse idee sull'improvvisazione e ci troviamo sempre d'accordo sul motto "l'improvvisazione non si improvvisa". La nostra musica, come quella di tutti gli improvvisatori, è frutto di un costante e lungo studio sistematico concettuale e pratico sullo strumento, nel nostro caso volto soprattutto allo sviluppo di potenzialità timbriche. La ricerca timbrica è uno di quei fattori di affinità che emergono quando suoniamo assieme e che costituisce sicuramente l'identità di fondo e il punto di partenza della musica di OnGaku2.
AAJ: Mentre suonate, ogni tanto, emergono i vostri rispettivi background, che comunque sono assai diversi. È un fatto che vi piace, innervosisce, incuriosisce...?
P.S.: Effettivamente... abbiamo background diversi, naturalmente, e la cosa a me piace. Anzi questo è uno degli elementi, tra gli altri, che alimenta OnGaku2. Personalmente non penso alla musica in termini di jazz, rock o altro. Suonare in ambito sperimentale / improvvisativo comporta un grande ascolto reciproco. E cosa c'è di più bello, mentre si suona, dell'emergere proprio di queste differenze? L'ascolto, la capacità di assecondare un'idea che emerge dall'altro, o anche scegliere, provocatoriamente, di suonare "contro" sono cose che rientrano nei meccanismi dell'improvvisazione più creativa e radicale.
E.C.: I nostri background sono piuttosto diversi; la musica di Paolo è fortemente influenzata dal suo studio sulle musiche popolari del mondo e sul batterismo free e jazz, mentre le mie influenze sono da ricercare nel rock e nello studio dei nuovi linguaggi jazzistici al confine tra jazz rock e rumore, anche se non mi piace pensare alla musica catalogandola in generi e sottocategorie. Aver di fronte una persona con un bagaglio musicale molto diverso dal tuo è un fatto che per certi versi può essere spiazzante, se non si è capaci di relazionarsi nella maniera corretta. È necessaria, infatti, una grande apertura mentale e soprattutto bisogna esser pronti a mettere in gioco le proprie condotte e convinzioni musicali, a metter da parte un po' del proprio ego ed esser decisi a ricevere e comunicare qualsiasi tipo di messaggio che venga trasmesso. Una volta che si riesce a mettere in moto questo meccanismo, il fatto di avere due background diversi diventa un fattore di curiosità, che soprattutto costituisce una ricchezza e un valore aggiunto.
AAJ: Portate avanti un lavoro teorico sull'improvvisazione fatto di letture, approfondimenti metodologici, studi o ricerche, seminari condotti a livello individuale oppure la formazione e la ricerca sono un percorso da condividere insieme?
P.S.: Tutte queste cose messe insieme devono fare parte del bagaglio di ogni musicista che sceglie l'improvvisazione come prassi. Ne sono convinto! È fondamentale condividere e trovare interessi comuni con chi si suona. Per troppo tempo ci sono stati fraintesi e incomprensioni, in modo particolare nell'ambito di un certo tipo di musicisti con una visione limitata, che rifiutavano a priori tutto quello che non assecondava le loro aspettative, o non rientrava nei loro gusti. Da lì poi partivano critiche, qualche volta feroci o qualche volta sterili e senza senso. Oggi credo e spero ci sia più apertura mentale, in modo particolare tra i musicisti più giovani. Per quanto mi riguarda, le esperienze maturate con musicisti come Tim Hodgkinsom, in laboratori di improvvisazione, e col quale ho poi avuto la possibilità di suonare più volte, o quelle con Jean Marc Montera e altri improvvisatori europei, mi sono sempre servite per mettere a fuoco e quindi confermare che i miei studi e le ricerche sull'improvvisazione andavano nella giusta direzione. Studiare i testi come ["Improvvisazione. Sua natura e pratica in musica" di Derek Bailey, gli scritti di Wadada Leo Smith o Search and reflect di John Stevens o anche Genesis of a music di Harry Partch, e poi avere la possibilità di confrontarmi con altri musicisti, mettendo in pratica idee e concetti da questi libri, è fondamentale e importante per la mia crescita e per portare avanti le cose seriamente. Cosa che succede sempre con Elia, troviamo che scambiare testi, impressioni e parlare di tutto quello che circonda l'improvvisazione porta OnGaku2 sempre avanti.
E.C.: Sia io che Paolo portiamo avanti un lavoro teorico sull'improvvisazione, sia a livello individuale, sia insieme. Siamo sempre alla ricerca di saggi, letture, approfondimenti e ricerche, di seminari e percorsi formativi di varia natura e genere. Il bello di fare una ricerca prima di tutto personale sull'improvvisazione è che una volta che questo percorso viene terminato è importante e gratificante discuterne assieme, valutare gli aspetti negativi/positivi e le considerazioni dell'altro, in maniera tale che un percorso strettamente personale diventi un qualcosa da condividere insieme e un fattore di crescita umana e musicale collettiva.
AAJ: Alla vostra differenza d'età e di percorsi corrisponde anche un diverso modo di ascoltare musica? I vostri gusti sono davvero diversi...?
P.S.: Per me è molto normale passare senza problemi da un ascolto di musiche dei Pigmei Aka a John Cage. Non riesco e non sono interessato a chiudere la musica in generi, lo dicevo prima, e men che meno credo ci siano musiche "più importanti" di altre. Da sempre ascolto e studio musiche extraeuropee, con forte presenza di strumenti a percussione, in particolare di area orientale, siano esse popolari, classiche o legate al rito. Mi piace l'uso creativo della voce, mi piace e mi interessa l'idea di suonare in solo, mi interessa l'uso "intimo" di uno strumento. Senza dubbio abbiamo dei gusti musicali diversi ma sicuramente con molti interessi comuni visto che spesso c'è uno scambio di materiali musicali che vanno poi a sfociare in analisi e scambio di opinioni.
E.C.: Sebbene tra me e Paolo ci siano venticinque anni di differenza credo che fondamentalmente non esistano differenze significative tra il suo modo di ascoltare la musica e il mio. Condividiamo entrambe la passione per gli improvvisatori più radicali e creativi, odierni e non, il jazz e la musica contemporanea. Probabilmente una delle cose che ci differenziano è che Paolo ascolta e si nutre di molta musica popolare, aspetto che io non ho purtroppo mai approfondito.
AAJ: Come scegliete il vostro repertorio e come lavorate per l'esecuzione...?
P.S.: Partiamo dal fatto che l'improvvisazione totale non esiste. Detto questo, non abbiamo una regola fissa. Consideriamo OnGaku2 un laboratorio aperto, un work in progress. Normalmente ogni concerto è diverso, per nostra scelta. Anche perché può capitare di lavorare parallelamente, durante un nostro concerto, con altri artisti, siano essi dei video maker, ballerini di danza contemporanea, con la poesia, la pittura, foto o altro. Sentiamo qualche volta l'esigenza di fissare una sorta di "percorso sonoro" da seguire con indicazioni minime, usando dei segni in qualche caso personali, che ci lascia comunque "libertà di movimento" e fa riferimento ad un determinato strumento o timbro da usare. Altre volte ci muoviamo con molta più libertà senza fissare nulla. Abbiamo, poi, un arsenale sonoro fatto di chitarre elettriche, acustiche e preparate, più elettronica varia, il tutto gestito da Elia. Il mio set di percussioni cambia di volta in volta, mi piace "colorare" e trovare sempre nuove soluzioni. Assemblo dei set diversi con tamburi, piatti, gong, piccole percussioni, lamiere e materiali di riciclo.
E.C.: La scelta del repertorio segue metodologie sempre diverse. Alle volte improvvisiamo in maniera totalmente libera, senza precostituire nessuna regola, lasciando semplicemente che le cose accadano in una sorta di flusso musicale continuo, come è successo nel primo disco OnGaku2 (TiConZero 2008). Altre volte abbiamo strutturato l'esecuzione senza però decidere quale fosse l'oggetto stesso dell'improvvisazione, oppure partendo da una cellula ritmica o un idea melodica, come in Kado (ImprovvisatoreInvolontario 2010). È anche capitato per quanto paradossale possa essere, visto che abitiamo a soli otto km di distanza, di registrare due improvvisazioni in momenti e in ambienti separati, per esempio per i due brani, "Etude B 343" e "344" usciti nella compilation SoloRumore #1 (HysM? Indipendent music catologue 2010).
AAJ: C'è qualcosa del modo di suonare del vostro compagno d'avventura a cui non potreste rinunciare e che sentite profondamente vostro o - al contrario - che vorreste sentire in modo diverso, magari anche radicalmente diverso.
P.S.: Trovo il suono di Elia "intimo" nel senso bello del termine, molto attento, è un suonare quasi in punta di piedi ma sempre con una grande forza, una grande tensione sempre positiva, generata "da dentro" con molta energia come una sorta di "urlo interno". Sono un visionario, forse perché la musica non si vede ma si può sentire, e penso che il suono e l'approccio di Elia siano vicini al mio sentire. Credo poi che collaborando con un musicista creativo e consapevole delle proprie capacità ci sia veramente poco da dare indicazioni sul da farsi ... meglio suonare, ascoltarsi, vivere il momento! È la cosa che mi interessa di più!
E.C.: Ciò che mi ha colpito da subito di Paolo è il fatto che si tratta di un musicista assolutamente costante e sistematico nello studio e ovviamente questo si riflette nel suo modo di suonare. In aggiunta è uno dei musicisti di gran lunga più creativi che conosca. Credo che non riuscirei mai a rinunciare alla sua creatività e al suo modo di essere libero nella musica e nella vita, aspetto che sento profondamente mio.
Foto di Claudio Casanova
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