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Intervista a Nils Petter Molvaer

Vera icona della scena musicale scandinava contemporanea ha avuto l'opportunità di suonare fin dall'inizio della carriera, grazie all'originalità del suo suono, con Elvin Jones, George Russell, Gary Peacock, e raggiungere una prima notorietà poco più che ventenne: era l'inizio degli anni '80 e lui era il co-leader dei Masqualero insieme ad Arild Andersen, Jon Balke, Tore Brunborg e Jon Christensen.

Nato nel '60 a Sula, sulla costa occidentale della Norvegia, si è affermato definitivamente nel '97 pubblicando per la ECM l'album del suo debutto solistico, Khmer che, assieme a New Conception of Jazz di Bugge Wesseltoft e Electronique Noir di Eivind Aarset, ha dato inizio alla corrente del "Nu-jazz".

Dopo un paio di album ha lasciato la ECM per fondare la Sula Record con cui ha realizzato NP3 e Er, oltre a Streamer (live) e Remake (remix), entrambi caratterizzati da molta elettronica, con dj e campionamenti, e da ritmi quasi dance.

Da qualche tempo realizza anche musiche per film: la prima colonna sonora è stata quella del film francese Edy, in parte confluita assieme ad altre nel suo penultimo album Re-Vision.

Con il nuovo album, Hamada, realizza un lavoro di grande poesia in cui musiche per film ed elementi del periodo di Khmer si fondono, segnando un evidente cambiamento nelle sonorità. Si riducono ritmo ed elettronica e la musica si fa più "ambient," alla ricerca, pur con qualche eccezione, di un suono più suadente.

A Bergamo Jazz 2009 si è presentato con due concept assai diversi tra loro: più scarno e distaccato il solo di mezzogiorno, più narrativo, coinvolgente e tellurico il trio della sera con cui, supportato da immagini, ha presentato il nuovo album.

Lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare qualcosa in merito ad Hamada.

All About Jazz Italia: com'è nato questo nuovo disco, Hamada? Puoi raccontarci qualcosa in merito all'idea e alla sua realizzazione?

Nils Petter Molvaer: Sono diverse le ragioni che mi hanno spinto a realizzare Hamada.

Generalmente, a un musicista occorrono un paio di anni per pubblicare un disco, e io era da un po' che non facevo un vero e proprio album: il mio precedente Re-Vision era di fatto il frutto di colonne sonore per film a cui avevo lavorato negli ultimi anni, e poi, cosa ancor più importante, era da quasi dieci anni che suonavo con la stessa band, per cui sentivo il desiderio di cambiare musicisti e musica.

Rune Arnesen è un ottimo batterista, ma volevo un taglio netto e così ho pensato ad Audun Kleive. L'idea iniziale era quella di un quartetto, anche se poi per gran parte del disco abbiamo registrato in trio; quanto invece al suono, l'intenzione era di ridurre l'uso di elettronica, campionamenti e dj.

Tutto ha avuto inizio verso la fine della scorsa estate: io, Eivind Aarset, Jan Bang e il tecnico del suono Johnny Skalleberg dovevamo suonare in Italia, in montagna, e ci siamo rimasti per tre giorni. Abbiamo suonato e registrato per tutto il periodo accompagnati da ottimo cibo e vino. Al termine mi sono trovato con un sacco di materiale e così ho iniziato una prima fase di assemblaggio rendendomi conto che non potevo tenere tutto. Ho coinvolto Eivind e Audun chiedendo il loro contributo attivo: hanno iniziato a mandarmi del materiale e a Tromso ho iniziato la fase di missaggio. Mandavo loro il risultato e su quello ci si confrontava, era come se stessimo assieme, ognuno in un posto diverso.

AAJ: Confermi che è il primo della trilogia annunciata qualche tempo fa? Come sarà il seguito?

N.P.M.: Forse sì, ma non ne sono più così certo, la trilogia sarebbe già dovuta uscire... chissà, vedremo.

AAJ: Da qualche tempo hai intensificato la realizzazione di colonne sonore, è una nuova via per il futuro? Ti piace particolarmente? Qual è l'approccio rispetto a un disco?

N.P.M.: In un certo senso è tutto collegato. Il cinema mi piace e trovo interessante fare musica per film. È assai diverso dal produrre dischi e andare in tour, ma posso usare e trasferire nei miei album elementi e riferimenti usati nelle colonne sonore. Mi consente di rimanere a casa con la mia famiglia per un po,' posso stare con i miei figli e vederli crescere, cosa che non riesco a fare quando sono in tour. Ripeto, mi piace, l'aspetto economico non è il più importante ma una semplice conseguenza.

AAJ: Prima il film o prima la colonna sonora?

N.P.M.: Generalmente preferisco vedere prima il film e poi lavorare sulle immagini, ma qualche volta la colonna sonora deve essere pronta prima del film. Ora ad esempio sto lavorando ad una serie televisiva molto diffusa in Norvegia e Danimarca in cui la colonna sonora deve interagire con le scene del film, per cui sto lavorando sulla base delle immagini. La grande sfida è però rappresentata dal fatto che avrò a che fare con un'orchestra sinfonica ed è qualcosa che non ho mai fatto prima, si tratta di uno strumento molto potente, non un semplice "plug-in".

AAJ: Quanto le colonne sonore hanno influenzato Hamada?

N.P.M.: La verità è che non sono mai situazioni separate, è come un flusso, io uso elementi dell'uno nell'altro. Spesso scrivo cose già abbozzate in un disco o in una colonna sonora, altre volte invece qualcosa che piace al regista per cui mi chiudo in studio e ci suono sopra con la tromba. Credo siano moltissimi i musicisti che hanno questo tipo di approccio quando fanno musica per film e per album loro. Credo che almeno il 95% degli standard derivi da musiche per film o da musical, la musica jazz è piena di riferimenti a colonne sonore.

AAJ: E la collaborazione con Russell Mills?

N.P.M.: Oh, sì, Russell è una persona meravigliosa, un bravissimo artista (dipinti, grafica, ecc.), ma anche un ottimo compositore. L'ho incontrato per la prima volta molti anni fa, non ricordo nemmeno più quando, di preciso...

AAJ: Ha fatto diverse cose con David Sylvian.

N.P.M.: Sì, è vero. Ricordo di essere entrato in contatto con lui perché mi mandò una copia del suo CD Undark. Mi piacque, mi commissionarono un lavoro e lo invitai a venire a Arstad con Bill Laswell, la cantante etiope GiGi e forse anche Rune Arnesen, non ricordo con precisione, ma partimmo e gli chiesi se poteva fare la prima copertina di Re-Vision. Lui accettò e penso che abbia fatto uno splendido lavoro. Da allora mi sono appassionato alle cose che fa e ora ho molte opere sue nel mio studio.

Credo anche che le sue copertine siano molto diverse dalle precedenti, come d'altronde la musica, penso che le due cose vadano di pari passo e siano connesse...

AAJ: Punkt oggi è una community di grande creatività che sembra aver raccolto l'eredità del Nu-Jazz di fine anni '90 con estetica e idee nuove...

N.P.M.: La cosa è partita da Jan Bang ed Erik Honorè che volevano fare un festival con questa idea del live remix, dove all'Alpha Room registri un live che sta accadendo nell'auditorium al piano di sopra e subito dopo ne fai un remix. Tutto sta in quello che succede durante il concerto, e penso che sia un'idea geniale ed estremamente originale. Un concept che, credo, Jan ed Erik volevano esportare per introdurvi altri musicisti e dargli così nuova linfa, provando e riprovando affinché mai potesse accadere la stessa cosa. Sì, credo tu abbia ragione: Punkt nasce come un festival ma è diventato un concept che ha fatto nascere un gruppo di veri creativi che esplorano e realizzano lavori di grande interesse.

AAJ: Quello che dici mi fa pensare a quando, nel 1997-98, tu, Bugge, Audun, Eivind e altri vi affermavate a Oslo con il Nu-Jazz allargandovi però al resto del mondo tanto da includere nomi come quelli di Jon Hassell e Brian Eno...

N.P.M.: Sì, ovviamente posso parlare per me e non per Jan ed Erik, ma i riferimenti comuni sono tanti, come Jon Hassell e Brian Eno: ascoltarli, incontrarli e suonarci assieme credo sia stato molto positivo. Un autentico melting pot, qualcosa di importante che non può non crescere sempre di più, e la cosa più incredibile è che tutto è nato come un semplice festival.

Per tornare a noi, nel '97: non pensavamo a generi o a etichette, pensavamo solo a fare della musica, poi è stata la gente a dargli un nome. Sì, forse la cosa è partita da Bugge che, un po' provocatoriamente, intitolò il suo album New Conception of Jazz, ma per il resto noi avevamo delle idee e tutto quello che volevamo fare era musica, nient'altro.

AAJ: Hai mai pensato di allargare le produzioni della tua etichetta ad altri artisti?

N.P.M.: No, per me la Sula Records è lo strumento per mantenere i diritti della mia musica. Chissà, magari in futuro cambierò idea, ma per il momento ho raggiunto lo scopo che mi ero prefissato. La distribuzione su licenza dei miei dischi messa a punto con la Universal mi rende molto libero e funziona ottimamente.

AAJ: A cosa si ispira il tuo suono, così originale, e come ci sei arrivato?

N.P.M.: È una storia che arriva da lontano e affonda le proprie radici nella ricerca di un suono vicino come quello della voce ma anche lontano, come quello di strumenti musicali nordafricani, il ney flute o il duduk armeno o ancora il flauto indiano: strumenti dalla sonorità setosa che sembrano emanare ossigeno... è il respiro, forse, la cosa a cui mi ispiro.

AAJ: Che componente ha l'elettronica nella tua musica? Le tue composizioni nascono al computer, alla tastiera o alla tromba?

N.P.M.: Dipende molto dalla situazione. Naturalmente uso il computer e il software come mixer per registrarvi cose su cui poi improvviso, isolo delle piccole parti che voglio utilizzare e da qui inizio a focalizzare delle idee.

Spesso cerco i colori... suono delle parti alla tromba e introduco dei plugin elettronici per ampliare il timbro del suono, oppure per cambiarlo completamente e trovare il suono che mi piace, quello che meglio si adatta armonicamente all'idea che ho in mente. Potrei utilizzare un pianoforte per comporre, ma in generale non ho delle regole precise.

AAJ: Che importanza ha il tuo strumento? La Eclipse fa la differenza? Come ci sei arrivato?

N.P.M.: La cosa più importante per me è il bocchino perché sono abituato a quello. Devo dire, tuttavia, che di tutte le trombe che ho provato e che sto provando l'Eclipse rimane la preferita. La prima volta che l'ho provata è stata un'autentica emozione. Andai in fabbrica e feci assemblare parti diverse di diverse dimensioni, e provandola mi sono reso subito conto che era fatta per me. Decisi di tenerla così, senza farci nulla, nessuna laccatura: grezza, come l'avevo provata in quel momento, era lo strumento perfetto e decisi di non toccarla più.

AAJ: Il "live" sembra essere la tua dimensione ideale. Puoi spiegarci il perché?

N.P.M.: Sì sono d'accordo, e la ragione è che quando sei sul palco tutto quello che accade è fluttuante, imprevedibile e molto bello. Se sei sfortunato quello che accade non ti arriva, magari il sistema di monitoring sul palco non ti consente di sentirlo, e allora tutto risulta essere estremamente frustante. Ma in realtà quello che più spesso succede è che il live diventi una sorta di meditazione, uno stato della mente in cui interagisci con gli altri: uno stato fragile e pieno di variabili, ma anche forte e intenso. Energia che arriva dallo scambio tra i musicisti e il pubblico che li ascolta... è la vera ragione per suonare, l'unica per cui suoni dal vivo.

AAJ: Qui a Bergamo suonerai da solo e in trio. Puoi sintetizzare le differenze di approccio?

N.P.M.: Il solo è un qualcosa che puoi fare in vari modi e direzioni. Mi siedo e posso fare diverse cose, posso iniziare con campionamenti e poi fare altre cose, ma oggi ad esempio non sapevo che era in una chiesa e volevo fare qualcosa di "ambient," con un suono sul genere "world music," con brevi passaggi melodici all'interno di alcuni brani. La prima volta che ho suonato in solo, diversi anni fa, suonai per 30 o 40 minuti solo tromba ed elettronica, con qualche campionamento e poco altro, ma pensai che volevo utilizzare anche dei files audio creando così diverse modalità di interazione con me stesso. Tre anni fa mi hanno commissionato un lavoro in solo da 1 ora e mezza: molto interessante, ma la durata rendeva tutto molto difficile.

Quando suoni con una band l'interazione è tra te e gli altri musicisti, la musica sgorga ed è assai diverso e, per me, più stimolante. È stato molto bello anche suonare da solo, ma ora voglio provare a fare qualcosa di diverso, è un po' come quando suono la tromba, uso le due mani, ma non è come se suonassi il pianoforte. Devo cercare di mettere in piedi un concept chiaro e preciso se voglio suonare da solo, c'è un lavoro a monte come quello che ha fatto Arve Henriksen in questi anni: lui ha fatto cose fantastiche da solo, ma penso che abbia lavorato molto sulla ricerca, prima di iniziare a portarle in giro. Ora anche Bugge sta suonando parecchio da solo e ha messo a punto un concept piuttosto preciso da seguire, ma il pianoforte è un'altra cosa. Penso che siano entrambi interessanti, sono due diverse sfide giocate con armi e ruoli diversi ma per me ugualmente stimolanti...

AAJ: La scena norvegese è molto bella ed effervescente, ma raramente accoglie musicisti di altri paesi: hai mai pensato a fare un lavoro a nome tuo con musicisti non norvegesi?

N.P.M.: In realtà sono stato ospite in molti progetti...

AAJ: Sì, è vero, il tuo suono è molto originale e spesso contribuisci a lavori altrui, ma non hai mai fatto lavori a nome tuo con musicisti non norvegesi.

N.P.M.: Verissimo, ma sai, si tratta di musicisti che conosco molto bene con cui ho una grande intesa. Ci sono anche gruppi a cui ho contribuito che mescolano diverse provenienze. Gli Spin Marvel ne sono un caso - Martin France, Tim Harris, John Parricelli e Terje Evensen - una band incredibile che fa musica fantastica. Ho partecipato solo in un paio di occasioni ma sono molto legato a loro e mi auguro di trovare il tempo per poter proseguire. Alle volte sei alla ricerca di un'idea, ti pare di averla messa a fuoco e devi poi invece cambiarla: è quello che mi accade ad esempio ora con Eivind Aarset, lui è molto impegnato e diventa difficile conciliare le sue date con le mie, per cui ho dovuto pensare a un chitarrista che potesse sostituirlo al meglio, e ancora una volta ho pensato a un norvegese, il giovane Stian Westerhus (Puma, Jaga Jazzist, Monolithic, Bladed, Khan). Gliene ho parlato e tutto è stato facile da subito. Credo che sia anche un fatto di comodità, di convenienza: non devi prendere accordi a distanza e tutto risulta semplice davanti a una birra ascoltando delle cose in studio; in poco tempo ogni cosa funziona a meraviglia perché i musicisti norvegesi hanno la mia stessa modalità di approccio e con loro mi trovo perfettamente a mio agio.

AAJ: Lo scorso anno a Stavanger ti hanno commissionato "On the Edge," una composizione che hai poi suonato in un faro. Pensi che uscirà un disco?

N.P.M.: Lo abbiamo registrato, ma non so ancora se lo pubblicheremo. Ho diversi progetti interessanti nel cassetto, a "sedimentare". Lo scorso anno, ad esempio, al Canal Street Jazzfestival di Arendal ho registrato con il gruppo di percussionisti di Adam Rudolph, Hu Vibrational, assieme a Eivind Aarset, Anders Jormin e Jan Bang, ma per ora non ho ancora preso alcuna decisione.

AAJ: Sei un sideman molto richiesto per la bellezza e particolarità del tuo suono (Danielsson, Zazou, Sylvian, Marcotulli sono solo alcuni esempi). Fino a che punto queste collaborazioni hanno aggiunto elementi al tuo lavoro o quanto, invece, gli hanno sottratto attenzione?

N.P.M.: È una questione di equilibrio. Il mio manager preferirebbe che io non le facessi ma il più delle volte queste collaborazioni mi intrigano, mi piacciono i musicisti coinvolti e mi piace anche il fatto che subentri un mix tra relazioni personali e abilità musicali. La vera difficoltà è data dal fatto che conosci le persone e vorresti dire di sì a tutti, ma devi cercare di concentrarti sui tuoi lavori e fare come Garbarek o come fece Esbjorn Svensson con il suo trio. Suonare troppo e con molti musicisti rischia di distruggere i tuoi progetti, le tue idee e la magia della band con cui suoni stabilmente.

AAJ: Progetti futuri?

N.P.M.: Ho da poco iniziato un tour con Hamada che mi vedrà impegnato per lungo tempo.

Sto lavorando a una composizione per un lavoro televisivo sulla nascita della monarchia norvegese della durata di 3 ore. Ho un paio di proposte per il cinema che non ho ancora deciso se accetterò o meno, ma dovrò rispondere a breve, e ancora un'offerta per un'opera teatrale su Virginia Woolf. Ma soprattutto, tutto il 2009 e parte del 2010, sono impegnato con date in Sudamerica, Stati Uniti, Asia ed Europa... poi bisognerà che inizi a pensare al prossimo album e magari (ride) riposarmi un po'!

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