Home » Articoli » Interview » Intervista a Gianni Gebbia

Intervista a Gianni Gebbia

By

View read count
Nella mia carriera ho sempre fatto dell'eclettismo una delle mie ragioni artistiche ma la forma che sta assumendo la mia musica e' abbastanza diversa dal collage postmoderno
E' difficile rintracciare Gianni Gebbia.

Perché non sai se vive a Palermo, a Okayama in Giappone o in qualche città attraversata nel suo peregrinare per il mondo. E' difficile rintracciare Gianni Gebbia perché non sai se trovarlo suonare il sax in un locale jazz, o darci dentro in una post-rock band, alle prese con canzonette pop, al seguito di un qualche regista underground, intento a dipinger una tela ad olio, fornire le sue idee musicali a qualche coreografo o danzatore, esercitarsi nella pratica zen. E' difficile rintracciare Gianni Gebbia, nonostante la sterminata discografia a suo nome e non, perché parafrasando un illustre conterraneo, Gebbia è, artisticamente parlando (o forse non solo), "uno, nessuno, centomila ". Ma i potenti mezzi della scienza e della tecnica serviranno pure a qualcosa, e così l'abbiamo raggiunto attraverso la rete, e attraverso la rete abbiamo sostenuto questa breve, intensa e spesso provocatoria conversazione.

All About Jazz: Come diversi tuoi colleghi vivi parte dell'anno all'estero. New York negli anni Ottanta, più stabilmente il Giappone, ora. Necessità, opportunità, curiosità? Come giudichi la scena musicale giapponese?

Gianni Gebbia: Si è vero, ormai il Giappone assieme all'Italia, fa sempre più parte della mia vita, visto che lo frequento da molti anni. Ci sono sbarcato per la prima volta negli anni Novanta al seguito del danzatore butoh (tecnica di danza contemporanea giapponese) Masaki Iwana e per dei concerti. Dal 2004 ho cominciato a ritornarci regolarmente come studente di meditazione zen, così ho potuto riallacciare contatti e intraprendere un'attività molto intensa e variegata.

Frequento sia la scena più strettamente jazzistica e dell'improvvisazione che l'avant giapponese, un po' di pop, di noise, di sperimentale, di post rock etc. Lavoro con musicisti splendidi e trasversali. La scena musicale giapponese è molto varia e richiederebbe una lunga analisi, ma posso affermare con certezza che nel paese del Sol Levante hanno grande qualità e tradizione i chitarristi ed i batteristi mentre altri strumenti sono in secondo piano. Noi italiani, per esempio, per i fiati siamo davvero forti ma lo stesso non si può dire per la batteria!

AAJ: La scena creativa italiana è legata a etichette/collettivo come El Gallo Rojo e Improvvisatore Involontario, per citare le più importanti. E' l'unica via d'uscita dalle gabbie di un mercato dominato da leggi diverse da quelle della qualità? O ci sono altri possibili sviluppi?

G.G.: E' un quesito difficile da risolvere. Il mercato italiano e, più in generale, europeo e mondiale, si è contratto per varie ragioni, principalmente economiche, che hanno messo in grossa difficoltà soprattutto i paesi a cultura latina. In Italia, Grecia, Spagna ed anche Francia non abbiamo mai avuto una tradizione secolare di liberismo come negli Stati Uniti, né una cultura del lavoro di tipo protestante come in Germania e dunque il passaggio è stato traumatico, quasi paragonabile alla caduta del Muro di Berlino e lo vediamo ogni giorno dai giornali e da quello che succede. In questo cambiamento è diminuito il sostegno pubblico tramite i finanziamenti, ciò ha fatto sì che i festival chiudessero i battenti e che i promoter non investissero nei giovani o in progetti meno altisonanti ma più creativi, terrorizzati come erano dal possibile fallimento e da questioni di bilancio. Ci sono delle eccezioni ma, in generale, vi è una forte paura di rimanere sul lastrico, o di non ricevere più finanziamenti. Questo "stato di pericolo" è la fonte del lobbysmo che uccide un paese meraviglioso come l'Italia e noi siciliani di "sette" e di lobby degli amici ne sappiamo qualcosa....

Tutto ciò sarebbe un mito da sfatare poiché la qualità in Italia non manca, vedi per esempio i musicisti dei collettivi che hai citato. Ma su questo problema si innesta anche un decadimento culturale strettamente intrecciato con quello della società italiana e non possiamo pretendere che tutto ciò non influisca sul mercato della musica.

AAJ: Vale a dire?

G.G.: Voglio essere più preciso: il jazz è totalmente svenato e manieristico, sta perdendo la sua linfa vitale e diventando una forma piegata ad una specie di weltanschauung conservatrice, una sorta di circolo di tennis d'elite, o uno svago che fa tendenza, com'è avvenuto nella storia dell'arte e della letteratura nel corso dei secoli. Ai veri amanti e conoscitori del jazz viene da chiedersi cosa c'entri tutto ciò con una musica che ha rappresentato così tante istanze, ma mai conservatrici. Mi ricordo che ai concerti di Braxton o dell'Art Ensemble c'era una marea di pubblico! I promoter si sono concentrati poi in joint-ventures legate ai pochi luoghi dove il finanziamento pubblico ancora resiste, e succhiano la famosa mammella istituzionale tramite l'utilizzo chiaramente speculatorio di non più di dieci artisti "adatti al momento" e presenti ovunque. Fino ad arrivare al pietoso fenomeno parajazzistico della creazione, da un giorno con l'altro, di un Giovanni Allevi, una sorta di "Bollani per le masse" confezionato dai pubblicitari. Come sembrano lontani i tempi in cui il jazz in Italia muoveva delle grosse cifre mantenendo limpidità e una certa libertà, senza la presenza soffocante del marketing e con gli addetti che erano soprattutto veri appassionati! Un esempio: non avevo ancora trent'anni e divisi il palco più di una volta con musicisti del calibro di Wayne Shorter, Quatre, Art Ensemble of Chicago etc.; questo non succede più ed è una grossa perdita per le nuove generazioni.

AAJ: Nella tua carriera hai avuto modo di suonare con molti grandi improvvisatori, e con grandi artisti in generale, vista la tua frequentazione a 360° gradi con registi teatrali e cinematografici, pittori, artisti visivi... C'è un incontro che più degli altri ha segnato la tua vita e la tua carriera?

G.G.: Beh sono tanti, il primo che mi viene in mente è il compianto Peter Kowald, un grande da tutti i punti di vista, ma anche tutti i maestri del jazz che ho avuto modo di vedere da ragazzo al Brass Jazz Club di Palermo, Ornette Coleman, Charlie Mingus, Archie Shepp, Arthur Blythe, Oliver Lake, Dexter Gordon, Lee Konitz e tantissimi altri. In tempi più recenti senza ombra di dubbio Fred Frith per la sua poliedricità, per la grande forza di comunicazione e la trasversalità rispetto ai generi. Negli altri campi mi ha fulminato Pina Bausch che ho avuto la fortuna di conoscere bene da giovanissimo per la messa in opera di Palermo Palermo! E tanti registi, il cileno Raul Ruiz in testa, forse l'ultimo surrealista vivente, da cui ho appreso la creazione di metamondi immaginari. Senza dimenticare l'emozione che provai l'anno scorso a suonare con il mitico Alex Riel nel film di Franco Maresco sulla figura di Tony Scott!

AAJ: Sei autodidatta e al giorno d'oggi proliferano scuole di musica e il jazz comincia a comparire stabilmente nei Conservatori. Qual è il tuo pensiero in proposito?

G.G.: Sono autodidatta ma ho avuto una grande scuola all'antica basata cioè sulla trasmissione orale! Qua e là ho ricevuto anche qualche lezioni informale da musicisti quali Archie Shepp, Bruno Biriaco e vari amici siciliani che stavano crescendo con me. Per quanto riguarda le scuole ho un'opinione un po' provocatoria perché ritengo siano nate, tranne qualche eccezione, essenzialmente per accontentare le "esigenze professionali" di una serie di musicisti.

Il problema principale riguardo l'insegnamento del jazz sta nel manierismo e nell'eccessiva formalizzazione e standardizzazione del genere, che perde sempre più i suoi valori contenutistici per privilegiare una competenza tecnica spesso fine a se stessa. Vi è inoltre una visione unilaterale ed antistorica che sottovaluta molti periodi e stili per conformare tutto nel cosiddetto mainstream. Oltre a ciò le scuole hanno creato un surplus di musicisti sproporzionato che porta, per esempio, i club a dimenticare spesso il criterio qualitativo mettendo sullo stesso piano il musicista affermato con il neo diplomato. Ci sono, è vero, moltissimi newcomers eccezionalmente dotati, ne potrei citare davvero tanti ma ci sono pure un sacco di musicisti modesti che grazie alle giuste conoscenze suonano ovunque e inflazionano la scena musicale. Da ultimo, vorrei sottolineare come la figura del docente di jazz dovrebbe essere di comprovata autorità umana, storica e artistica mentre si vedono sempre più insegnanti giovani e giovanissimi che insegnano a musicisti ancor più giovani, con una inevitabile perdita di qualità e prestigio dell'insegnamento.

AAJ: I tuoi progetti presenti e futuri e in particolare il CD con il nuovo trio. Cosa ci puoi dire ?

G.G.: A parte l'attività di improvvisatore free lance in quel poco che rimane della scena improvvisativa acustica, mi sono concentrato molto sul nuovo trio AOI allestito con la pianista, cantante e batterista giapponese Eiko Ishibashi e con il bassista Daniele Camarda, messinese d'origine, americano d'adozione ed ora cittadino del mondo. Abbiamo inciso un disco a Milano lo scorso aprile per FMN Sound Factory, un'etichetta di Kyoto assai interessante con un catalogo ormai di tutto rispetto. Il CD, intitolato Maboroshi, "Miraggio," è uscito in Giappone a luglio scorso e, supportato da un tour promozionale con qualche ospite d'eccezione, ha venduto moltissimo tanto che è già in ristampa!!! Eiko e Daniele sono due musicisti incredibili e fuori dal comune, entrambi con una poetica molto forte. Daniele è un gigante del basso elettrico. Con questo trio effettueremo un tour europeo da fine febbraio a metà marzo circa. Oltre ad AOI sono impegnato con Switters, trio con Francesco Cusa e Vincenzo Vasi, che ha già licenziato due CD e che rispetto a quella giapponese è una formazione dal taglio molto più jazzistico.

AAJ: In che direzione sta andando la tua musica ?

G.G.: Il nuovo CD di cui ti parlavo rappresenta in parte l'attuale direzione della mia musica, un tentativo di mettere insieme tutte le mie esperienze nei vari campi musicali. Sono ritornato ad una dimensione estremamente melodica, ad una ricerca sull'efficacia sonora non più legata al volume ma alle dinamiche e alla trama delle singole note, ad una certa delicatezza intesa come forza. Poi vi sono influenze etniche e pop giapponesi, una vena sotterranea di jazz anni Settanta (Jarrett, Garbarek) ed ovviamente il bagaglio sonoro della musica improvvisata. E' un gruppo che suona solo nostre composizioni e in Giappone lo hanno addirittura definito un gruppo impro-pop, un genere nuovo!

Nella mia carriera ho sempre fatto dell'eclettismo una delle mie ragioni artistiche ma la forma che sta assumendo la mia musica è abbastanza diversa dal collage postmoderno che ha caratterizzato, per esempio, la produzione anni '80 e '90 di Zorn e compagni, musica che oggi trovo assai datata. Il meglio della produzione attuale è caratterizzato invece dalla ricerca di un suono meno eclatante e dirompente, piuttosto diafano, dai colori pastello, grazie anche all'ausilio dell'elettronica. E' come se la musica riflettesse lo stato incerto del mondo attuale, del clima, della società e di tutto ciò che ci circonda.

AAJ: Che cosa stai ascoltando ultimamente?

G.G.: Molti giapponesi che mi passano i loro dischi, tra i quali il bravissimo pianista Dairo Suga. Negli ultimi anni ho ascoltato abbastanza le evoluzioni del sound post Steve Coleman, ad esempio il saxofonista Steve Lehman e il pianista Vijay Iyer, con il quale ho avuto il piacere di suonare quest'anno brevemente. Anche molta elettronica contemporanea dalla lap top music alla minimal, musicisti come Ryoji Ikeda, Fennesz, Ethan Rose. Tra gli italiani mi è piaciuto il CD Shtik di Zeno De Rossi, lavoro sentito e poetico. Tra i sassofonisti ho riscoperto Paul Desmond, che trovo sempre più intrigante, ma ascolto anche il neozelandese Hayden Chisholm che è davvero interessante e suona con il trombonista tedesco Nils Wogram nei Root 70. Sto ascoltando anche Mark Turner, Soweto Kinch, il bravissimo sassofonista inglese, e l'ultimo David Sanborn, sempre più magistrale.

AAJ: C'è un musicista con il quale non hai mai suonato e con il quale vorresti fare un concerto o registrare un disco?

G.G.: Beh, sono moltissimi, ma il primo che mi viene in mente è Jim O'Rourke, ci suono tutte le volte che mi trovo in Giappone perché vive a Tokyo. Lo adoro, è un grande e mi piacerebbe davvero fare un'incisione con lui. Anche se a dire la verità anni fa abbiamo registrato per la Victo un CD live insieme a Lee Ranaldo dei Sonic Youth!

Foto di Claudio Casanova (tranne la penultima)

Tags

Comments


PREVIOUS / NEXT




Support All About Jazz

Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who make it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

Go Ad Free!

To maintain our platform while developing new means to foster jazz discovery and connectivity, we need your help. You can become a sustaining member for as little as $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination vastly improves your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

More

Popular

Read Take Five with Pianist Irving Flores
Read Jazz em Agosto 2025
Read Bob Schlesinger at Dazzle
Read SFJAZZ Spring Concerts
Read Sunday Best: A Netflix Documentary
Read Vivian Buczek at Ladies' Jazz Festival

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.