Home » Articoli » Interview » Intervista a Filippo Bianchi: Microlezioni di jazz

Intervista a Filippo Bianchi: Microlezioni di jazz

A partire dagli anni Settanta l'attività di Filippo Bianchi in ambito jazzistico si è dispiegata in molteplici direzioni: come conduttore di trasmissioni radiofoniche della RAI, come giornalista (la Repubblica, il Manifesto, l'Unità, il Sunday Times, il mensile Musica Jazz, di cui è stato il direttore per una decina d'anni fino alla fine del 2011). oltre che come organizzatore e direttore artistico d'importanti festival. Nel 1987 è stato l'ideatore del Europe Jazz Network. Nel 2003 l'Ambasciata di Francia gli ha assegnato il premio Django d'or.

Autore di due pièces teatrali, fra i suoi libri sono da ricordare Il secolo del jazz (Bachilega Editore, 2008) e 101 microlezioni di jazz (22 publishing, 2011).

Da quest'ultimo, che raccoglie una serie di massime, definizioni, aforismi di vari autori sul jazz, è stato tratto lo spettacolo multimediale Microlezioni di jazz, produzione originale che nel maggio 2012 ha toccato le città di Roma, Correggio, Vicenza, Firenze all'interno delle rispettive rassegne. Nella messa in scena la musica dell'inedito quartetto formato da Paolo Fresu, Roswell Rudd, Danilo Rea, Martux-m era accompagnata dalla voce recitante fuori scena dello stesso Bianchi e dalla proiezione della successione dei brevi testi sul jazz nell'elaborazione grafica di Pier Paolo Pitacco.

Di questa riuscita esperienza teatrale, del libro che ne è alla base e più in generale delle caratteristiche peculiari del jazz abbiamo parlato con Filippo Bianchi nell'intervista che ci ha concesso.

All About Jazz: Comincio con una domanda acida. Tu sei stato direttore di Musica Jazz fino alla fine del 2011; quasi contemporaneamente lo stesso editore della rivista, 22 publishing, ha pubblicato il tuo libro 101 microlezioni di jazz . È stato da parte sua un modo surrettizio per pagarti la buonuscita?

Filippo Bianchi: Direi semmai il contrario, visto che il libro vende benino e i proventi vanno quasi tutti all'editore. In realtà era tutto pronto da parecchi mesi, non so perché l'uscita sia stata ritardata. In effetti la buonuscita non era granché, perché sono stato io a dimettermi, e come sai questo è penalizzante.

AAJ: ...Ma il libro stranamente contiene 115 microlezioni, contraddicendo il titolo. Perché? Il numero 115 è approssimato per difetto o per eccesso, cioè hai dovuto rinunciare a molte massime o hai fatto fatica a trovarne 115?

F.B.: Diciamo che è stato un work in progress: ho accumulato tanta roba e poi scremato, quindi potevano essere di più. Io avrei tralasciato anche alcune di quelle pubblicate, perché fin troppo risapute: molti, ad esempio, conoscono le liner notes scritte da Bill Evans per Kind of Blue, o l'incipit dell'autobiografia di Mingus... Però, nei due casi suddetti, le immagini preparate da Pier Paolo Pitacco erano molto belle e mi dispiaceva rinunciarci. Il titolo è 101 microlezioni di jazz perché l'editore aveva già pubblicato un libro intitolato 101 microlezioni di architettura, immagino si fosse affezionato alla formula.

AAJ: Trovo che le massime più folgoranti, immaginifiche, cariche di significato siano quelle più brevi, lapidarie (di Monk, Steve Lacy, Woody Allen, Eubie Blake, Ellington...). Che ne pensi?

F.B.: Così come la logorrea è il problema numero uno del jazz (se sei Coltrane o Rollins lanciati pure in un assolo di venti minuti, sennò contentati anche di meno...), la concisione è spesso una sua grande qualità. Sono rari nella storia della musica i capolavori che durano meno di due minuti, ma se ascolti la "Night and Day" di Anita O'Day con Billie May ti rendi conto di come nella miseria di un minuto e 59 secondi smuova immense emozioni cantando di ciò che ci scandisce appunto il trascorrere del tempo, l'alternarsi del giorno e della notte.

E poi ci sono una serie di citazioni che siamo abituati a dare per scontate perché le leghiamo alla musica considerandole solo titoli: Now's the Time, Tomorrow is the Question, Every Single One of Us Is a Pearl, Living Time... Ma isolandole dalla musica mi sono reso conto di quanto queste affermazioni siano geniali e profonde e poetiche.

AAJ: Come è nata la collaborazione con Pitacco, l'altro indispensabile coautore del libro?

F.B.: Ho pensato fin dall'inizio che il libro dovesse avere un aspetto visuale; in un primo momento cercavo un vignettista o qualcosa del genere. All'epoca Pitacco era art director di Musica Jazz e quando ho avuto in mano una bozza abbastanza definita del testo gliel'ho data per sapere il suo parere. Lui, invece di un parere, mi ha restituito una diversa idea del libro, in cui le immagini non erano separate dal testo, ma integrate.

AAJ: Tu comunque, nello scrivere come nel parlare, hai sempre fatto largo uso di citazioni da autori più o meno famosi, di massime epigrafiche e aforistiche; perché? Ti sembra un buon modo per sintetizzare in pillole una visione critica del mondo?

F.B.: Questione complessa. Magari è una forma di modestia, o di rispetto della paternità delle idee. Ma c'è anche un problema di imprinting: quando avevo vent'anni sapevo a memoria il Waste Land di T.S. Eliot. In particolare, ero innamorato del finale (che non a caso è citato in chiusura dello spettacolo Microlezioni di jazz). Quella concatenazione di citazioni è semplicemente epica, così come la confessione dell'autore incastonata dentro: "Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine".

Mi è sembrato fin da allora un gioco affascinante: come vedere le schegge del passato ricomporsi nel presente, magari assumendo nuovi significati. In generale, direi che la visione del mondo di ognuno è fatta di pillole. Il frammento puntella un pensiero altrimenti destinato a franare. Ed è difficile da rompere, perché è già frutto di una rottura precedente, spesso è ciò che resta e sedimenta nel nostro sentire: pochi conoscono a memoria Dante o Shakespeare, ma è c'è molta gente che cita la Divina Commedia o l'Enrico IV...

AAJ: Come sei passato dal libro all'idea dello spettacolo multimediale Microlezioni di jazz? Hai aggregato tu i quattro musicisti? Non ti sei trovato di fronte ad alternative imbarazzanti?

F.B.: In un primo momento a mia moglie, Sandra Costantini, era venuta l'idea di fare una "mostra di parole," quasi subito evoluta nel progetto di spettacolo. I quattro musicisti li ho scelti in quest'ordine: Paolo è il primo cui ho pensato perché era perfetto per la natura evocativa dell'operazione; poi Martux_m, perché in un racconto così spezzettato serviva un tessuto, e lui ne confeziona di bellissimi; poi Roswell, per ritrovare un aggancio alla terra, alle radici più profonde; infine Danilo, perché serviva un uomo d'ordine ma con senso dell'avventura, incapace di routine. Erano proprio loro quattro: non m'è venuto in mente nessun altro.

Tornando alla struttura "spezzettata" si può rilevare che nello spettacolo ogni situazione dura pochi secondi, al massimo un minuto. E probabilmente questa è una delle ragioni per cui il tutto funziona: asseconda quella "soglia di attenzione" breve cui il nostro tempo - fatto di ipertestualità, zapping e altri modi di rompere continuamente la concentrazione - ci ha abituato. Ma è una considerazione che ho fatto a posteriori, quindi se è una "furbata" sono un furbo inconsapevole.

AAJ: Quante prove hanno sostenuto prima di iniziare la tournée? O meglio, quali accordi preventivi ti risulta abbiano preso fra di loro?

F.B.: Mesi prima dello spettacolo ci siamo scambiati un po' di mail, non particolarmente utili: il jazz si fa in praesentia, non in remoto; i musicisti si devono guardare in faccia. Solo due prove all'Auditorium di Roma, il pomeriggio prima dello spettacolo. Più che altro per conoscersi. Abbiamo preso alcuni accordi preventivi, ma in scena sono stati tutti rigorosamente disattesi. Si è solo deciso di iniziare con quattro assoli, e a Roma non si è rispettato nemmeno l'ordine di entrata in scena prestabilito. Una sola regola, quella di sempre: "We improvise"...

AAJ: Secondo me nello spettacolo, a cui ho assistito a Vicenza, dalla successione delle massime da te selezionate risulta una certa idea di jazz. Si tratta di un risultato del tutto intenzionale o in parte casuale? Sapresti sintetizzare per AAJ l'idea di jazz che ti sta a cuore?

F.B.: Come nel jazz: un po' intenzionale e un po' casuale. Più che "un'idea" complessiva del jazz mi hanno sempre affascinato certe sue caratteristiche fondanti: la potenza metaforica così aderente alla vita (l'esistenza per nostra fortuna non è scritta ma improvvisata); la serendipità, cioè la fecondità dell'errore (la scoperta dell'America: cerchi le Indie e trovi un'altra cosa più interessante di quel che cercavi); la certezza che le norme rigide mal si conciliano con la libera espressione; la capacità di filtrare la passione attraverso l'ironia e il disincanto; la coscienza che della bellezza fanno parte i difetti tanto quanto le qualità (di Venere ricordiamo proverbialmente lo strabismo, non le magnifiche cosce); l'importanza dell'ascolto; il cosmopolitismo delle informazioni, la permeabilità del linguaggio, coerente con l'origine multiculturale e multirazziale; la metafora sociale nel rapporto fra individuo e collettività (Alfred Schütz: "Society is making music together," ma Evan Parker dice la stessa cosa, non a caso le due "lezioni" sono in sequenza); l'abilità nel cogliere istantaneamente una sollecitazione...

AAJ: Personalmente ritengo che i contenuti delle massime in sequenza abbiano trovato una coerente traduzione musicale nell'interplay rilassato e simbiotico ma anche imprevedibile fra i membri di questo quartetto inedito. Sei d'accordo?

F.B.: Completamente d'accordo: se non c'è rischio non c'è gioco. Sulla carta la compatibilità, per dire, fra Roswell Rudd e Martux_m mi suscitava qualche preoccupazione. In scena è stata una passeggiata. E non poteva che essere affrontata in pieno relax. Sai, tanti anni fa con Gino Castaldo facevamo un programma radio "d'autore," quotidiano, un'ora e mezza al giorno. Un'impresa durissima. Abbiamo convenuto: è possibile che noi ci divertiamo e chi ci ascolta si annoi, ma non è possibile che se noi ci annoiamo chi ci ascolta si diverta, quindi pensiamo a spassarcela noi, poi si vedrà. Direi che in questo spettacolo si è seguita la medesima equazione.

AAJ: Mi sembra comunque che nello sviluppare assieme l'improvvisazione ognuno dei quattro si sia assunto spontaneamente un ruolo, in pratica confermando la propria indole, il proprio mondo espressivo.

F.B.: Come si diceva prima, la capacità di ascolto è fondamentale. Nella più classica tradizione jazz, chi sa ascoltare trova facilmente il suo posto, e di conseguenza le condizioni ideali per esprimersi. Come avviene nelle migliori conversazioni.

AAJ: Tu hai potuto seguire tutti e quattro i concerti; c'è stato uno dei quattro musicisti che si è preso maggiori responsabilità degli altri nell'indirizzare l'interplay, nel suggerire i temi da affrontare?

F.B.: Non direi. Roswell semmai ha un'indole un po' ridondante, gli altri si sono divertiti a lasciarlo "ridondare"... Ma in generale le situazioni erano naturalmente equilibrate. Già il libro in sé è in qualche modo un'opera collettiva: lo spettacolo non poteva essere altrimenti.

AAJ: Nei quattro concerti è emersa l'interpretazione di standard o temi ricorrenti?

F.B.: Non mi pare. Gli spunti comunque erano sempre estemporanei. A Roma Danilo ha pensato bene di accennare "Satin Doll" nel momento in cui era citata di sfuggita in un brano letterario di Richard Powers. È stato emozionante. Non l'ha più rifatto, probabilmente perché gli sarebbe sembrato poco spontaneo. A Correggio, a pranzo, avevo raccontato a Roswell le grandi tradizioni progressiste di quelle terre, e lui nel bis ha intonato "We Shall Overcome"... Martux aveva preparato sue letture di "Well You Needn't," "Bamako" e "Naima," ma anche quelle sono state suonate solo una volta. Così come "Moonlight in Vermont," "The Peacocks," "Tea for Two"... I frammenti sullo schermo erano uguali tutte le sere, quelli in scena cambiavano continuamente.

AAJ: Fra una performance e l'altra si sono verificate differenze nella tensione, nell'andamento dinamico, nella motivazione dei musicisti...?

F.B.: Semmai un progressivo crescente affiatamento. All'ultima data, alla Leopolda di Firenze, forse anche suggestionato dal luogo, Danilo ha detto: "Ormai sembriamo un collettivo anni Settanta"...

AAJ: Come nel libro, ho trovato molto riuscito anche il lavoro grafico di Pier Paolo Pitacco: il lettering, le immagini, i colori e le forme variano passando da una massima all'altra, interpretando ogni volta l'autore e/o il contenuto del testo. Pitacco ha svolto il suo lavoro del tutto autonomamente o c'è stato fra di voi un preventivo scambio di idee?

F.B.: Pitacco ha lavorato in piena autonomia, ovviamente ogni tanto gli ho dato degli spunti o suggerito delle lievi modifiche, che peraltro ha sempre assecondato. Abbiamo collaborato molto bene insieme. Considera anche che lui ha una certa cultura jazzistica (suonava pure la batteria), e si vede. Una cosa così non si fa solo col mestiere: ci vuole la sensibilità giusta, la passione.

AAJ: Nello spettacolo tu compari come voce recitante fuori scena. Hai esordito come attore o avevi già nel tuo passato calcato le scene in qualche modo?

F.B.: È stato un esordio e rimarrà un episodio unico. In passato ho avuto sporadiche esperienze come autore teatrale e, diciamo così, regista: a Sabbioneta nel 1980 con Castaldo, Carlo Monni, Misha Mengelberg e Han Bennink mettemmo in scena una pièce intitolata Opzioni. Molti anni dopo Emanuela Giordano ha tratto un lavoro teatrale da un mio libro. Tutto qui.

AAJ: Per finire, prevedi/auspichi un futuro per questo singolare e riuscito progetto, dal vivo o magari riportato su CD o DVD?

F.B.: Spero che ci possa essere un futuro. Quel quartetto ovviamente è l'ideale, ma mi piacerebbe farlo anche altrove, con altri musicisti. Con amici olandesi stiamo ragionando su una versione da fare ad Amsterdam, con l'Icp Orchestra, però forse è una partita troppo complicata. Vedremo... Altri amici, inglesi, mi hanno proposto di utilizzare il libro come base per un progetto "educational," che forse non è una cattiva idea. Quelli che vengono dalla musica classica, ad esempio, pensano che una frase come quella di Paul Bley ("le prove sono controproducenti, la ripetizione è una spirale verso il basso") sia diseducativa. È perché non capiscono l'importanza della soggettività, il fatto che siamo tutti diversi.

Quella frase, come ogni cosa nel jazz, non ha un valore assoluto: va bene per alcuni, di certo per Paul Bley, visto che pensando in quel modo è diventato un gigante della storia della musica. La spiegazione ce la dà Eubie Blake, quando dice "non ho cattive abitudini, potranno essere sbagliate per gli altri ma per me vanno bene". La sua vita non fu certo all'insegna della sobrietà, però è arrivato a cent'anni... Si vede che lui sopportava bene quelle che di norma vengono considerate "cattive abitudini". Forse se questo libro ha un valore educativo, ce l'ha soprattutto per chi viene dalla musica classica...

Foto di Danilo Codazzi (la prima e la quarta), e Pino Ninfa (la terza).

Per vedere le immagini di un concerto "Microlezioni di Jazz" clicca qui

Tags

Comments


PREVIOUS / NEXT




Support All About Jazz

Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who make it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

Go Ad Free!

To maintain our platform while developing new means to foster jazz discovery and connectivity, we need your help. You can become a sustaining member for as little as $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination vastly improves your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

More

Popular

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.