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Italian Instabile Orchestra alla Casa del Jazz

Courtesy Adriano Bellucci
Roma
Una striscia di terra feconda
Casa del Jazz
16.10.2025
Dodici anni: tanto era passato dall'ultimo concerto di quella che è probabilmente l'orchestra più prestigiosa di tutta la storia del jazz nazionale: l'Italian Instabile Orchestra. Più volte, scorrendo interviste di alcuni suoi membri storici, era capitato di leggere che la formazione non era stata sciolta, che era solo in letargo e che, al momento opportuno, sarebbe tornata sulla scena e avrebbe di nuovo detto la sua. Ciononostante, gli anni passavano e dal 2013 quel momento sembrava non dover più presentarsi.
E invece l'occasione è finalmente arrivata, grazie alla rassegna romana Una Striscia di Terra Feconda, il cui direttore artistico Paolo Damiani è membro dell'orchestra, che ha messo in cartellone l'Instabile per la sua seconda data, spingendo gli appassionati ad affrontare appositamente la trasferta per celebrare un evento che va a buon diritto ritenuto storico. Come chi scrive, presente nel maggio di trent'anni fa alla registrazione di Skies Of Europe, secondo disco dell'Orchestra e pubblicato da ECM, che non ha potuto mancare l'appuntamento.
E infatti la sera del concerto la Casa del Jazz di Roma ha fatto registrare il tutto esaurito, con la presenza entusiasta di appassionati, critici, musicisti, certi di non esser lì per un'appuntamento all'insegna della nostalgia. Ipotesi che l'Instabile ha subito fugato, mostrando di non aver perso né spirito, né smalto, con allegria e ironia che si percepivano fin da prima dell'accesso al palco e che erano evidentemente il frutto dei due giorni di prove che avevano preceduto il concerto. Poi dopo la presentazione, breve, del resto cosa c'era da presentare con cotanta storia alle spalle? l'avvio, inedito, con un'eterea versione di "Spiritual" di John Coltrane, omaggio alla settimana della pace che iniziava quel giorno e perciò intrecciata con testi di Nelson Mandela recitati da Vittorino CURCI, con Pino Minafra "inventore" dell'Orchestra nel 1990. A seguire un classico della formazione, "Scongiuri" di Eugenio Colombo, infatti chiamato a dirigere come da prassi di un'orchestra in cui a comporre sono chiamati in molti e il direttore è di volta in volta il compositore del brano che viene eseguito un caso più unico che raro, specie in Italia. Tipico dello stile del multistrumentista romano (in quest'occasione al flauto e al sax soprano), frammentato e pieno di invenzioni, "Scongiuri" è stata l'occasione per ricordare Mario Schiano, che ne interpretava la divertente parte vocale, fatta appunto di una fitta serie di scongiuri in napoletano, stavolta spettata a Sebi Tramontana.
In un crescendo di apprezzamento da parte del pubblico, che con il procedere del concerto riprendeva sempre più contatto con quella musica che ha segnato i due decenni a cavallo del cambio di millennio, hanno poi trovato spazio brani di Daniele Cavallanti, Damiani e Alberto Mandarini, ovviamente diretti dai medesimi, tra loro diversi ma caratterizzati da un comune spirito: quello di una musica articolata, contemporanea più che jazzistica, ricca di riferimenti trasversali ora alla musica orientale, ora a quella popolare, ora alla mimica teatrale collettiva e collegiale, ma anche caratterizzata dal lavoro dei solisti. E che solisti! Splendidi tutti, con menzioni speciali a uno straordinario Gianluigi Trovesi al clarinetto contralto, al vivacissimo e ardito Emanuele Parrini al violino, all'intenso Roberto Ottaviano al sax soprano (ma alla fine, a sorpresa, impegnato anche al per lui inusuale baritono), al nitido ed espressivo Mandarini alla tromba (e la sua direzione è stata forse la più spettacolare, con una gestualità che stava al pari della musica). Ma anche chi ha avuto meno spazi e opportunità ha fatto la propria parte in una musica che, alla fine, è appunto soprattutto corale: dai trombonisti Lauro Rossi, Giancarlo Schiaffini (anche all'euphonium) e Tramontana a Luca Calabrese alla cornetta; da Martin Mayes al corno a Paolo Damiani, per una volta al contrabbasso; da Vittorino Curci al sax contralto a Fabrizio Puglisi al piano e Tiziano Tononi alla batteria, fino a Minafra, stavolta senza tromba e impegnato solo al megafono e a un dijeridoo "casalingo."
Una musica che ancora una volta, dopo tanto tempo, sorprende come sempre accaduto nei ventitrè anni e dieci di dischi di attività prima della "sosta"perché al tempo stesso tanto singolare e "difficile," quanto accogliente e fruibile: un mistero che si spiega, chissà, forse anche con l'allegria, l'ironia, la passione per l'arte e finanche per l'impegno sociale che l'orchestra porta con sé, coltiva al suo interno e rende poi contagiosi nel suo far musica.
C'è stato poi tempo per ricordare i membri storici che non ci sono più oltre Schiano, Giorgio Gaslini e Renato Geremia , di leggere alcuni divertentissimi brani dell'autobiografia di Schiano sulle prime, avventurose trasferte all'estero dell'Orchestra, e per suonare ancora bellissima musica: prima due pirotecnici arrangiamenti dell'ellingtoniana "Come Sunday" e di "St. James Infirmary" di Schiaffini (il decano della formazione, con i suoi ottandadue anni da compiere giusto la settimana successiva ) e poi, come l'orchestra era solita fare in passato, per concludere con la festosa, spiritosa e macchiettistica "Fantozzi," con ancora ironiche letture di Curci e la direzione teatrale di Minafra al megafono. Una festa per chiamare il tripudio del pubblico, soddisfatto infine dall'Orchestra rientrata alla spicciolata, tanto che Trovesi ha suonato fuori dal palco con una seconda versione dell'iniziale "Spiritual."
Dopo il concerto, la festa è continuata con saluti, ringraziamenti, abbracci, chiacchiere e anche auspici: "musica così non se ne fa più," è stato giustamente detto, ma si sussurrava che qualcuno se ne fosse accorto e che qualcosa si fosse mossa.
Forse non dovremo aspettare altri dodici anni per rivedere sul palco questa formazione: lunga, lunghissima vita all'Italian Instabile Orchestra!
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