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Gato Barbieri

Festival delle arti contemporanee "Futuro Presente" "Effetto Bertolucci" Auditorium Melotti - Rovereto - 08.05.2007

"Effetto Bertolucci" era il titolo attribuito quest'anno al Festival delle Arti Contemporanee "Futuro Presente" di Rovereto, in programma dal 3 al 12 maggio. Una manifestazione che ogni anno individua una personalità di rilievo da porre sotto i riflettori: le edizioni precedenti erano state dedicate rispettivamente a Merce Cunningham e Philip Glass. Dunque un omaggio al maestro italiano, al suo cinema e al suo mondo. Omaggio nel quale, dopo un concerto di Ryuichi Sakamoto, in concomitanza alla proiezione de "L'ultimo Imperatore", non poteva mancare la presenza di Gato Barbieri, autore delle musiche di "Ultimo Tango a Parigi".

Nell'affollatissimo concerto all'Auditorium Melotti di Rovereto, Barbieri ha portato il suo quintetto, una formazione ormai ben rodata, con musicisti provenienti da varie aree geografiche: il bassista Mario Rodriguez dal Paraguai, il percussionista Roberto Quinteros dal Venezuela, il pianista Charles Blenzig dagli Stati Uniti, il batterista Portino, ultimo arrivato nel gruppo, dal Brasile. Dunque un quintetto variegato, ma ben focalizzato sull'estetica del sassofonista, che si muove dentro un sanguigno tessuto poliritmico creato da Quinteros e Portino, sulla precisa e fantasiosa scansione di Rodriguez, sul vivace e spigoloso apporto di Blenzig.

Il leader è apparso in buona forma: il suono del suo tenore, pur non sprigionando l'energia tellurica dei tempi d'oro, resta inconfondibile nella sgranatura timbrica, intatto nell'espressività sinuosa, percorsa da sciabolate laceranti, con i caratteristici scarti verso i registri sovracuti e con i toccanti squarci lirici. Oltre che sul repertorio di "Last Tango", con il delizioso waltz di It's Over e lo struggente tema di Jeanne, il programma si è dipanato ad ampio raggio, toccando alcuni cavalli di battaglia di Gato, da Fiesta a She Is Michelle, da Bolivia a Summertime ed Europa. Una musica ricca di forme ritmiche latino americane, ma anche andine, che riesce a glissare con grande generosità ed eleganza il rischio costante della banalità, in particolare attraverso le idee melodiche, ritmiche ed espressive del leader, che alimentano e indirizzano con autorevolezza le direzioni prese dal gruppo.

Il concerto è stato preceduto da un incontro tra Gato, Franco D'Andrea e il giornalista Marco Molendini: tre amici che si ritrovavano dopo tanti anni a chiacchierare dei tempi in cui il jazz viveva momenti eroici a Roma, negli anni Sessanta e Settanta, in locali come il Clubino, a pochi passi da Via Veneto, e il Purgatorio di Meo Patacca. L'incontro era aperto al pubblico, ma il contesto avrebbe potuto essere quello di un salotto domestico, tanta era la familiarità instaurata subito tra i presenti. Gato siede in mezzo, tra D'Andrea e Molendini. L'immancabile cappello a larga tesa, la mandibola in costante movimento: "Scusate se mastico gomma, ma le pastiglie che prendo mi tolgono la salivazione. Questo è un problema anche quando suono". Il suo raccontare ha un andamento rapsodico, come l'improvvisazione del suo sax. Ricorre molto spesso a metafore prese dal calcio, cita un suo illustre connazionale, Maratona, quando vuole dire che ogni attività deve essere sostenuta dalla passione.

Quando gli viene chiesto il segreto della sua prodigiosa sonorità, racconta: "Il mio primo sax era molto vecchio, ho dovuto aggiustarlo e costruirmi il bocchino da solo, dandogli una forma particolare, inusuale. Questo, e l'uso di ance piuttosto dure, ha modellato il mio suono, che da allora non è cambiato. Ma anche l'ascolto assiduo della musica rurale del Sud America ha avuto un ruolo importante nella formazione del mio suono, del mio stile".

A proposito di "Ultimo Tango", Barbieri ricorda: "Bertolucci mi ha chiamato e mi ha chiesto di scrivere belle melodie. Credo di esserci riuscito, perché ancora oggi, quando le ascolto, mi stupisco di averle scritte io. Non ci credo". E D'Andrea aggiunge: "Ho un ricordo nitido di quelle sedute. Bertolucci aveva chiesto alcuni brani a Gato, e lui mi aveva chiamato per registrarli in duo e sottoporli al regista. Mi colpì subito la bellezza dei temi, la loro pregnanza espressiva. Riascoltando la registrazione, effettuata poi con gli arrangiamenti di Oliver Nelson, mi convinco ancora di più che quello è il Gato Barbieri migliore: raggiunge il massimo dell'espressività senza dare molto spazio all'improvvisazione, lavorando sulle melodie, sui dettagli delle dinamiche, sull'energia trattenuta e sull'essenza poetica".

Significative anche le parole di D'Andrea sul suo rapporto con Gato: "Il nostro primo incontro risale al '63. Io ero un ragazzino di ventidue anni. Suonavo nella sezione ritmica fissa di un locale gestito a Roma da Carlo Loffredo, il Clubino. Gato mi fece un'impressione enorme: lui suonava cose molto avanti per me, che ero legato alle strutture del be-bop. Ricordo che in una session si suonò un pezzo di Coltrane, Mr P.C.. Io conoscevo le cose che il pianista Tommy Flanagan aveva fatto nella registrazione di Coltrane. Ma dopo due giri, mi accorsi che Gato faceva cose per me incomprensibili. Lui fu molto gentile, si complimentò con me, ma io mi sentivo inadeguato.

Poi, nel corso del '64, suonai con lui per mesi al Purgatorio di Meo Patacca. C'era Enrico Rava, anche lui giovanissimo, e Gege Munari era alla batteria. Ormai avevamo assorbito quel nuovo modo di pensare e fare musica: registrammo molte trasmissioni in Rai con Pepito Pignatelli e con Nunzio Rotondo. Quelli erano tempi formidabili, in cui la Rai dava molto spazio alla musica e alla cultura in generale".

Il pianista ricorda Gato come "Una persona gentile, amichevole, calma nella vita, quanto era irruente nella musica. Emanava sicurezza. Era cosciente del proprio valore, senza ostentazione. Era incoraggiante. Mi ha dato una grande forza per sviluppare la mia personalità artistica. E' stato per me uno dei punti fermi. Sicuramente uno dei più importanti".

Foto di Fulvio Fiorini

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