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Fano Jazz by the Sea 2024

Fano Jazz by the Sea 2024

Courtesy Chiara Broccoli

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Fano Jazz by the Sea 2024
Fano
20—28 luglio 2024

La trentaduesima edizione di Fano Jazz by the Sea ha in gran parte confermato l'impostazione consolidata del festival marchigiano, a cominciare da una programmazione artistica che alterna nomi nuovi del panorama internazionale, procurando sorprese impreviste, e protagonisti di peso, magari già presentati in passato, proposte più impegnative ed altre indubbiamente di facile consumo, anche per richiamare un ampio pubblico meno specialistico, riequilibrando nel contempo le sorti del bilancio economico.

Sempre ampia la mappa delle sedi coinvolte, tutte nel centro storico, dall'Arco di Augusto al Bastione Sangallo, dalle due ex chiese (San Francesco e San Domenico), collocazione ideale dei concerti di Exodus, all'ex Anfiteatro Rastatt. In una vera e propria "cittadella del jazz" viene trasformata la Rocca Malatestiana, sede del main stage, assieme all'area verde antistante che ospita il Jazz Village, centro del merchandising e della ristorazione, ma anche punto d'incontro e spazio di iniziative collaterali e soprattutto dei concerti al tramonto del Young Stage e di quelli notturni del Cosmic Journey.

Vale la pena di riportare le parole di sintesi con cui lo storico direttore artistico Adriano Pedini conclude la sua presentazione nel catalogo: "«...con i suoi 9 giorni di Festival, 43 concerti, di cui 35 gratuiti, 150 musicisti, e le tante diffuse location Fano Jazz by the Sea sarà ancora un tempo "sospeso," quello della "vacanza"». Il resoconto che segue si focalizza solo sui concerti principali che si sono susseguiti, di pomeriggio e di sera, nei quattro giorni centrali della manifestazione, dal 23 al 26 luglio.

Tigran Hamasyan, che torna a Fano per la terza volta nel giro di pochi anni, ha ripreso il repertorio del suo ultimo CD della Nonesuch The Call Within, anche se accompagnato da due partner diversi, ma del tutto funzionali alle sue direttive. I brani hanno presentato temi e intermezzi melodici, anche cantati con un fil di voce e memori della sua cultura armena d'origine, contrapposti a fasi martellanti, sottolineate dalla batteria di Martin Wangermee, sempre aderente alle metriche volute dal leader, e soprattutto dal basso elettrico di Marc Karapetian, con l'ossessiva fissità della sua pulsazione ritmica. Non sono mancati però un paio di brani più anomali: uno basato su un lento e suggestivo crescendo lirico ed uno perennemente reiterato su un tema percussivo e concitato.

Nel complesso mi sembra che si possa sostenere che alla testa di questo trio Hamasyan tenda a percorrere un approccio meno esplicitamente etnico rispetto ad altri suoi progetti del recente passato. Più in generale il suo mondo espressivo e comunicativo attuale appare meno evocativo e poetico, ma più determinato ed aggressivo rispetto a quello dei suoi esordi. È un'evoluzione piuttosto radicale quella percorsa dal pianista armeno verso una pronuncia esplicita, diretta, anche esteriore ma di sicuro impatto, in cui poco o nulla rimane latente, senza lasciare all'ascoltatore il fascino dell'inespresso e dell'allusivo.

Merita un'attenzione non superficiale l'esibizione di Ana Carla Maza, violoncellista, cantante e ballerina cubana, che rappresenta innanzi tutto un nuovo fenomeno di costume. Fano ha rappresentato una delle tappe del suo lungo tour europeo, da lei stessa promosso attraverso i vari canali social. A confronto con i protagonisti storici o recenti della musica cubana, ci si accorge che da un punto di vista artistico la Maza, sostenuta da un trio del tutto adeguato alle sue esigenze, sia in grado di aggiungere ben poco a quella tradizione gloriosa e più in generale alla musica latina, se non una semplificazione banale, reiterata e non problematica. Per quanto riguarda l'aspetto scenico, comunicativo e spettacolare il suo show Caribe è caratterizzato invece da una vitalità indubbia, da un incessante senso del ritmo.

Su un repertorio generico, strumentista non particolarmente virtuosa e cantante gradevole ma non di spiccata personalità, a Fano la ventinovenne emergente dello star system ha fatto leva sul pubblico esasperando altri fattori, per lo più esteriori: il suo perenne sorriso, un po' forzato ma contagioso, le continue movenze esagitate e gli ammiccamenti provocanti, la sua bellezza, di per sé non eccelsa ma resa esplicita e seducente, l'eclatante costume di scena... Tutti espedienti che le hanno permesso di diventare un caso virale sul web, richiamando un pubblico numeroso, che nella cittadina adriatica le ha tributato un'ovazione, partecipando attivamente alla festa-spettacolo fino ad arrivare al crescendo finale, reiterato all'infinito... Un successo che sicuramente non ha guastato ai fini degli organizzatori e degli incassi.

Un altro nome nuovo approdato a Fano Jazz by the Sea 2024, il cui approccio è diametralmente contrapposto a quello della Maza, è lo spagnolo Daniel Garcia, che ha all'attivo un recente CD per la Act. Gli original del pianista incorporano e filtrano varie matrici della musica spagnola, includendo il tango-flamenco, diverso dal tango argentino, oppure prendono spunto da aspetti ambientali e urbanistici di Salamanca, sua città natale. Alla Rocca Malatestiana i suoi sviluppi pianistici, conseguenti e convinti, hanno alternato suggestivi episodi intimisti e più vivaci progressioni ritmiche. Notevole per la densità del sound e per il piglio determinato nel condurre il pizzicato, si è distinto il contrabbassista Reinier Elizarde "El Negron," di origine cubana; il suo lungo spazio solistico, articolato e swingante, ha costituito uno dei momenti più sorprendenti del concerto. Il batterista Fathi Shayan non è certo uno di quegli strumentisti iper-tecnici e frastornanti che oggi vanno per la maggiore; il suo drumming è anzi parsimonioso, asciutto, ma efficace; del tutto particolare è il suo hi-hat, formato da una coppia di piatti forati, che ottengono un'inconfondibile sonorità leggera, frusciante, sabbiosa. In definitiva Garcia e il suo trio hanno presentato un jazz dall'approccio innovativo tutt'altro che sconvolgente, anzi un classico jazz acustico, tuttavia condotto sempre con buon gusto e con un'autentica onestà culturale, senza perseguire soluzioni furbesche per avvicinarsi a stilemi alla moda ...e questo non è poco.

Dopo nove anni The Bad Plus, anche se con una formazione totalmente diversa, sono tornati sul main stage di Fano. In quest'ultima edizione del gruppo, le redini sono saldamente nelle mani di Reid Anderson e David King, componenti storici della formazione e autori di tutti i brani interpretati, escluso il bis, a firma di Chris Speed; oltre a temi già noti, sono stati presentati anche brani nuovi, che saranno inseriti nel prossimo CD. Come prevedibile, anche nel concerto fanese sono stati loro a determinare le atmosfere e le direzioni da intraprendere: il contrabbassista, con il suo sound morbido e il suo fraseggio mobilissimo ma perentorio, ha costituito un pilastro costante, mentre il drumming leggiadro e frastagliato di King, forse meno corposo di un tempo, ha aggiunto un colore smagliante. In queste trame si sono inseriti con classe e precisi approcci personali sia Speed che la chitarra di Ben Monder, capaci di interloquire fra di loro con concentrazione e fantasia. Il sound trattenuto e l'eloquio del clarinettista e tenorista, all'inizio non sufficientemente amplificato, sono parsi poco appariscenti, tenuti sempre sotto controllo, previlegiando un procedere meditabondo e introspettivo. Monder, salvo esporre i temi all'unisono con il sassofonista, ha prodotto impasti armonici ampi e riverberanti o, nei brani più mossi, linee più sgranate, veloci ed allucinate.

Nel panorama jazzistico attuale questo affiatato quartetto offre una proposta molto caratterizzata, che non possiamo definire neo-cool—altre esperienze sono più esplicitamente orientate in tal senso—ma che tuttavia elabora un jazz sofisticato e suggestivo, dal senso narrativo avvolgente ed evocativo; un jazz misurato, di classe, lontano da eccitanti riti replicati all'infinito, sopra le righe e di facile effetto.

I concerti pomeridiani della serie Exodus: Gli echi della migrazione, che dal 2016 vengono ospitati nella chiesa di San Francesco, a cielo aperto, o nella Pinacoteca San Domenico, anche quest'anno hanno presentato proposte mirate, interessanti, con momenti di eccellenza. La serie, in cui hanno prevalso protagonisti italiani relativamente noti, è stata aperta dal polistrumentista e cantante curdo Ashti Abdo, che si è districato con autentica genuinità fra strumenti tipici della sua tradizione e non solo: il saz, il duduk, il siculo marranzano, percussioni varie... Nato ad Aleppo, Abdo risiede in Italia da quando era adolescente: esempio quindi di un emigrato perfettamente integrato nel tessuto sociale del Paese che lo ha ospitato, ma che ha mantenuto solidi legami con la musica e la cultura del suo paese d'origine. Oltre a dare prova delle sue doti vocali e strumentali, parlando un perfetto italiano egli ha trasformato la sua performance in un concerto-lezione, chiarendo ora l'origine dei vari strumenti, ora i temi delle canzoni interpretate.

Il parmense Emiliano Vernizzi, che con il trio Pericopes + 1 ha appena edito il pregevole CD Good Morning World!, è stato artefice di una prova attinente e persuasiva. Il suo sax tenore è dotato di un sound rotondo e pieno, il suo fraseggio traccia linee aperte ed evocative, ma è il frequente uso dei live electronics che ha alterato, riverberato, integrato il suo procedere, dando forma a "Budokan," un progetto pensato appositamente per Exodus. Soprattutto, è stato il ricorso a voci registrate in situazioni drammatiche e in momenti temporali diversi a dare un senso all'operazione. Con una regia accorta dei suoi mezzi tecnico-espressivi Vernizzi ha complicato la parabola della sua performance che, intrecciando composizione e parti improvvisate, ha creato un percorso in cui poesia e strutturazione astratta, memoria e proiezione nel futuro si sono strettamente compenetrate, dando vita ad un viaggio senza tempo, interiore e fisico al tempo stesso.

Fra i quattro concerti di Exodus ascoltati, quello del bolognese Carlo Maver è stato l'unico a svolgersi nell'acustica risonante della Pinacoteca San Domenico. Allievo del bandoneonista argentino Dino Saluzzi, Maver ha riproposto il repertorio e le atmosfere del suo ultimo CD Solenne, dedicato ai genitori scomparsi in questi ultimi anni. Ovviamente per una serie di fattori la performance concertistica non può mai essere una fedele riproposizione del disco preso a riferimento. A Fano, nella prima parte si è verificata una conduzione forse più nervosa e contrastata, per poi far emergere l'approccio meditativo e introspettivo, senza escludere trattenuti slanci lirici, con cui sono stati intrecciati riferimenti a culture diverse, dal tango al Mediterraneo. Particolarmente intensa e struggente l'esecuzione dell'emblematico "La Morte non esiste," da lui eseguita ai funerali di ambedue i genitori. Al bandoneon, su cui ha presentato una notevole ricchezza armonica e dinamica, Maver ha alternato anche seducenti original ai flauti, le cui sonorità sono state sovrapposte dall'uso del loop.

Il personaggio più sorprendente che ha calcato l'Exodus Stage è stato il calabrese trentenne Alessandro Santacaterina, che con la sua chitarra battente, integrata dai live electronics e da piccoli accorgimenti auto-costruiti, ha percorso un repertorio composito che ha compreso canzoni etniche e composizioni di autori spagnoli del periodo barocco o di Baden Powell. Ma non sono mancati suoi original, anche molto ambiziosi e trasversali, perfino vicini alla musica contemporanea, aggiungendo, come lui stesso l'ha presentata, "un po' di improvvisazione violenta e arrogante," in realtà condotta su metriche e su aspetti tecnico-espressivi tratti dalla musica barocca. Sta di fatto che egli è riuscito ad ottenere un mondo sonoro imponente, personalissimo, avvincente. Le risonanze, la velocità del pizzicato, le deformazioni dovute all'elettronica hanno fatto sì che sembrasse di trovarsi di fronte non a un solo chitarrista, ma di volta in volta a un organo o a dieci clavicembali, a due chitarre acustiche o tre chitarre elettriche... Ovviamente Santacaterina, con il suo strumento a cinque corde doppie, ha reinterpretato anche la tradizione calabrese della chitarra battente, ma sempre contaminandola coraggiosamente con altre culture, tecniche e poetiche. Il suo è un esempio di musica totale di oggi, che affonda le radici nella tradizione, ma si proietta in un futuro inevitabile e intrigante; una musica pensata con preparazione ferrea, con grande consapevolezza e con la forza visionaria della sperimentazione, sempre eseguita con passione palpabile.

Fra i tanti gruppi, non solo italiani, che si sono susseguiti al Jazz Village e che meriterebbero ben altra attenzione, cito soltanto il Lorenzo Simoni Quartet, diretto dal notevole contraltista che vinse il Premio Massimo Urbani nel 2023. Il suo jazz si configura come un neo-bop attuale, ma pensoso, un po' introverso, che si sviluppa conseguente, con andamento compassato, senza impennate eclatanti. Oltre al leader si è messo in evidenza il pianista Guglielmo Santimone (presente quest'anno al Premio Urbani), dall'atteggiamento concentrato e trasversale, omologo a quello del contraltista.

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