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Fabbrica Europa 2022: due duetti all'insegna del contrasto

Fabbrica Europa 2022: due duetti all'insegna del contrasto

Courtesy Monia Pavoni

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Camille Bertault e David Helbock / Nicole Mitchell e Ballaké Sissoko
Firenze
Fabbrica Europa 2022
Giardino Istituto Agrario
6-7.9.2022

I primi due concerti della sezione musicale del festival fiorentino Fabbrica Europa 2022 hanno visto di scena interessanti progetti, entrambi in duo, basati sull'idea di far incontrare e interagire personalità musicali dotate sì di indiscutibili affinità, ma anche di altrettanto marcate differenze.

Martedì 6 settembre ha iniziato il duo del pianista austriaco David Helbock e della cantante francese Camille Bertault: medesima generazione, quella dei trentenni, entrambi in costante crescita di attenzione e sempre pronti ad avventurarsi con grande libertà nell'improvvisazione, ma tuttavia piuttosto diversi caratterialmente e come approccio alla musica, quanto lo possono essere le rispettive culture di provenienza: serio, attento e rigoroso, perfino un po' timido e schivo il pianista; estroversa, piena di verve e di divertita ironia la cantante.

L'idea di farli interagire viene da lontano, tanto che già nella primavera di quest'anno hanno pubblicato un disco per la ACT, Playground, che include più o meno il programma presentato dal vivo nel suggestivo Giardino di Agraria, nel complesso delle Cascine. Un programma estremamente variegato, eppure che si tiene lontano dall'ovvio—leggi, dagli standard...—per affiancare a Scriabin, Bjork ed Egberto Gismonti una serie di brani originali (con dediche a Monk e a Toninho Horta) ora frammentati, complessi e articolati—quelli a firma di Helbock—ora invece vere e proprie canzoni, distese o scoppiettanti—quelli a firma della Bertault.

La sorprendente varietà del materiale, tuttavia, non ha minimamente comportato disorganicità della musica: sempre e comunque, a darle unità, erano il serratissimo modo in cui i due costruivano la tessitura, fatto di accelerazioni e decelerazioni, di arpeggi fatti a velocità vertiginosa dall'uno sulla tastiera e dall'altra con la voce, sempre intrecciando le rispettive linee con abilità apprezzabili sia come virtuosismi, sia —soprattutto—-per il modo in cui erano impiegate al fine di realizzare qualcosa di assolutamente personale.

A tutto ciò si aggiunga il contrasto tra la presenza scenica della Bertault—mobilissima sul palco e soprattutto straordinaria interprete mimica della musica che eseguiva—e il sussiego del pianista—che tuttavia invece di scomparire ne emergeva per contrasto—e si capirà il perché della riuscita del concerto, che è infatti stato assai apprezzato dai presenti.

Il giorno successivo è stata la volta del duo composto dalla flautista afroamericana Nicole Mitchell e dal suonatore di kora maliano Ballaké Sissoko. In questo caso l'incontro nasceva proprio grazie a Fabbrica Europa, a cui va il merito di aver messo assieme due artisti assai diversi per cultura musicale, ma entrambi per l'appunto interessati all'interazione con il diverso. La Mitchell porta con sé la spinta trasversale della ricerca musicale statunitense, che attinge alla tradizione afroamericana ma anche agli sviluppi della musica contemporanea; Sissoko, invece, ha un retaggio che affonda nella tradizione africana, della quale suona uno degli strumenti più tipici, ma spinge la sua musica ben oltre, interpretando la kora come uno strumento armonico pari al pianoforte, con il quale suonare di tutto, sebbene con un timbro caratteristico.

Nel corso della performance fiorentina è stato proprio Sissoko a sostenere la parte principale: le meravigliose sonorità del suo strumento hanno infatti dato vita a melodie cangianti, entro le quali anche la presenza di alcuni tipici stilemi etnici finiva per costituire solo una peculiarità di un discorso musicale senza né tempo, né origine. Su un tale contesto la Mitchell interveniva dialogando o aggiungendo nuovi elementi, con grande libertà improvvisativa e alternando il flauto al canto, spesso senza soluzione di continuità—singolari e ben realizzate le alternanze di emissione vocale e di fiato sull'imboccatura dello strumento. Con il risultato di dar vita a qualcosa di ancor più inclassificabile: una musica sognante, ora meditativa, ora ritmicamente incedente, ora dallo splendido lirismo—sempre, comunque, senza che se ne potesse indicare all'impronta l'origine e l'identità culturale. Il tutto, inoltre, sviluppato dai due artisti con una lieta complicità resa tangibile per tutto il concerto dagli sguardi, dai sorrisi, dalla loro stessa soddisfazione per l'essere lì, assieme, a fare qualcosa di nuovo, di inaudito. Qualcosa che, come ascoltatori ma anche come cittadini, potremmo perfino definire necessario, vista l'urgenza del nostro mondo, non solo musicale, di andare oltre gli steccati e le culture per produrre forme di vita che permettano una pacifica e lieta convivenza.

Forse anche questa necessità è passata dalla musica alle coscienze dei presenti, che hanno richiamato due volte i musicisti sul palco, per poi applaudirli ancora a lungo, dopo il secondo bis.

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