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Due serate al Brussels Jazz Festival 2020

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Il festival jazz di Bruxelles è diventato in breve tempo un importante punto di riferimento per l'attivissima scena musicale belga, grazie a un programma che dà molto spazio ai giovani musicisti locali, pur senza rinunciare a qualche importante nome straniero.
The Best of Belgian Jazz 19|20
Flagey
Bruxelles
15-16.1.2020

Giunto alla sua sesta edizione, il festival jazz di Bruxelles è diventato in breve tempo un importante punto di riferimento per l'attivissima scena musicale belga, grazie a un programma che dà molto spazio ai giovani musicisti locali, pur senza rinunciare a qualche importante nome straniero. Approfittando della nostra temporanea presenza nella capitale belga, abbiamo assistito a un paio delle serate del festival, di cui riferiamo.

Il festival si è svolto interamente presso il centro culturale di Flagey, la sede più appropriata per questo tipo di eventi, come recentemente dimostrato in occasione delle celebrazioni per i 50 anni di ECM che si sono recentemente tenute in questa sede, e di cui abbiamo riferito. L'ampia disponibilità di spazi sia per i concerti in sale di diversa capienza che per esposizioni a corredo del festival hanno permesso l'offerta di più concerti nella stessa serata senza troppi affanni causati dall'alternanza dei gruppi musicali.

Prima serata: 15 Gennaio

Il clou della serata, e uno dei gruppi di maggior richiamo di tutto il festival come ha dimostrato la corposa affluenza, è stato il concerto del Portico Quartet. Il gruppo inglese, attivo dal 2007, si è presentato nella sua formazione tipo ormai consolidata dal 2011, quando uno dei membri fondatori, Nick Mulvey, lasciò il quartetto per dedicarsi a una carriera solistica, e fu sostituito da Keir Vine, determinando allo stesso tempo il passaggio verso una ricerca sonora più basata sull'elettronica. La loro musica è presentata come un mix di jazz (in realtà progressivamente diminuito parallelamente alla crescita dell'elettronica, e legato essenzialmente al timbro del sax di Jack Wyllie), elettronica, ambient music, minimalismo e sonorità cinematografiche, impossibile da inquadrare in un solo genere, tra post-rock e nu-jazz se vogliamo per forza appoggiarci ad etichette. Il quartetto ha presentato brani dall'ultimo album Memory Streams, costruiti per lo più attraverso la sovrapposizione di strati sonori sulla base dei loops ritmici minimalisti creati dalle tastiere elettroniche. Più che seguire uno sviluppo orizzontale, i brani crescono sull'accumulo di layers e giocando sulla dinamica, con un effetto tutto sommato piacevole e interessante, anche se alla fine rimane la sensazione di una certa uniformità di fondo.

Il tempo di spostarsi verso il piccolo palco approntato nell'ingresso del teatro, e già il trio Wildflower, cui è affidato il compito di concludere la serata, ha cominciato a suonare. Per oltre un'ora la musica del trio ci sospinge in un viaggio intenso, meditativo e spirituale, ispirato a grandi sassofonisti come John Coltrane in primis, ma anche Pharoah Sanders, Yusef Lateef, Charles Lloyd e Sam Rivers. Il sax tenore dell'inglese (di origini bengalesi) Idris Rahman riunisce in sé una grande energia sonora e una tensione incessante verso l'assoluto, in una sorta di rituale iniziatico ipnotico e trascinante. Sostenuto da un groove continuo e pulsante fornito dal contrabbasso di Leon Brichard e dalla batteria di Tom Skinner, Rahman si lancia in oltre un'ora di musica praticamente ininterrotta, salvo qualche breve rallentamento per riprendere fiato insieme ai suoi accompagnatori.

Un concerto di straordinaria intensità, che ci ha catturato dall'inizio alla fine con la sua dirompente energia e la grande carica spirituale. Rahman, musicista e produttore proveniente dal mondo dell'afrobeat inglese, è praticamente sconosciuto dalle nostre parti, e sarebbe il caso di rimediare alla grossa mancanza facendolo partecipare a qualcuno dei nostri festival con il suo trio, o con il quartetto Ill Considered, che è praticamente il trio espanso con l'aggiunta di un percussionista (e un batterista differente), ma con più o meno lo stesso repertorio.

Seconda serata: 16 Gennaio

La serata successiva era aperta da un altro dei grandi ospiti stranieri del festival, ovvero il chitarrista Jeff Parker con il suo gruppo New Breed, un quartetto completato dal bassista Paul Bryan, il batterista Jamire Williams e il sassofonista e tastierista Josh Johnson. Con i Tortoise, Parker è stato tra i principali artefici dell'abbattimento delle barriere tra tutti i diversi generi che trovavano spazio nella loro musica. Il chitarrista ha presentato qualche brano dal nuovo album Suite for Max Brown, in uscita alla fine di Gennaio. Il suo ultimo progetto rimane saldamente ancorato al jazz e alla musica afroamericana, anche se non mancano le escursioni verso forme e sonorità differenti soprattutto nell'uso dei ritmi, mentre l'approccio chitarristico è abbastanza tradizionale. Pur senza avere più l'impatto della novità questa musica rimane un tentativo di esplorazione interessante verso aree contigue al jazz per allargarne i confini.

Passaggio in sala grande per il concerto sulla carta più interessante ma anche più insidioso, "Variations on Bitches Brew" del gruppo URBEX ELECTRIC [foto] guidato dal batterista belga Antoine Pierre. Nonostante la giovane età (27 anni), il batterista è già una star locale, e gli erano state affidate ben tre serate del festival come artista residente. Le prime due (cui non abbiamo assistito) lo hanno visto alla guida di un quartetto in compagnia del sassofonista Joshua Redman, e in un set completamente improvvisato in compagnia di altri due batteristi. Per questa serata finale della sua residenza l'artista ha voluto presentare il suo personale omaggio a quella musica di Miles Davis che lo ha segnato profondamente come musicista. Non si è trattato di una semplice rilettura dell'album che mezzo secolo fa ha segnato una svolta epocale nel mondo della musica jazz (e non solo), ma di una suite di composizioni originali volte a ricrearne lo spirito, integrando l'improvvisazione dei solisti all'interno di strutture rigorosamente composte.

La formazione del suo gruppo URBEX, con cui ha già inciso due album, è stata allargata per la circostanza (e anche il nome aggiornato con l'aggiunta di ELECTRIC), per avvicinarla a quella utilizzata da Davis per la realizzazione di Bitches Brew. Sul palco si è così presentato un nonetto, con due pianisti (acustico e elettrico), due chitarristi, un bassista, un trombettista, un sassofonista e un percussionista, oltre naturalmente al leader alla batteria. Il risultato è stato entusiasmante sotto tutti i punti di vista, per la qualità sia delle composizioni che delle improvvisazioni dei musicisti, perfettamente aderenti allo spirito della musica da cui il progetto ha preso ispirazione, il tutto sotto la direzione e la guida esperta di Pierre che ha dimostrato una maturità sorprendente. Come bis finale il gruppo ha offerto la propria versione di "Directions," il brano che ha rappresentato per anni nei concerti la sigla del Davis elettrico. Il concerto è stato registrato per realizzare un disco che uscirà in Aprile, e che aspettiamo ansiosamente per rivivere tutte le emozioni di questa fantastica serata.

L'ultimo concerto della serata, tenuto sul piccolo palco nell'ingresso, ha visto all'opera il trio MDC III del sassofonista belga Mattias De Craene sostenuto da due batteristi in un dialogo ispirato a Interstellar Space di John Coltrane e Rashied Ali. Anche qui non è mancata la componente mistico-spirituale, ma con un'intensità complessivamente minore rispetto a quella esibita da Rahman la sera precedente. Le volate del sassofono, col suono parzialmente alterato dall'uso di echi ed effetti elettronici, si sono innalzate vibranti sul tessuto ritmico incalzante dei due percussionisti, in un rito tribale di forte impatto, anche se perdente nell'inevitabile confronto con la serata precedente. comunque un'ulteriore testimonianza della vivacità della scena musicale belga capace di muoversi efficacemente in tutte le direzioni, una realtà da tenere attentamente d'occhio per la qualità e quantità delle proposte.

Foto: Stefaan Temmermans

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